Nonostante l’enorme problema della mancanza di spazi, l’Italia è ricca di artisti di talento, una linfa vitale per quella che con orgoglio e senso di appartenenza ci ostiniamo a chiamare col suo nome: scena alternativa o underground.
Un sottobosco di necessità ma che grazie alla sua mai doma voglia di emergere porta in superficie Arte pura che, magari non permetterà più di trasformare la passione in lavoro, ma che sicuramente migliorerà il nostro vivere in un mondo tutt’altro che rassicurante.
In occasione del lancio della sua nuova avventura discografica con Marcio Mcfly, abbiamo incontrato Carlo Vergani, in arte Plasman, uno di quelli che la resistenza sonora la sostiene tutti i giorni insieme agli amici di sempre, compagni di progetti ed etichette, per portare attraverso la musica elettronica da club nuova luce.
Ciao Carlo, che ne dici se iniziamo questa chiacchierata chiedendoti un po’ di te? Sei parte attiva da diversi anni della scena elettronica milanese, in particolare con la crew della 51Beats Records, ma come nasce la tua passione per la musica elettronica?
La passione per la musica elettronica nasce in famiglia, intorno ai 10 anni. Mio fratello Max, di qualche anni più grande di me, era un fan dei Depeche Mode. In casa avevamo parecchi loro LP e dischi della scena electro rock dell’epoca, soprattutto inglese. L’ascolto di quei dischi inizialmente mi è stato imposto dal fatto che io e mio fratello condividevamo gli stessi spazi. Nello stesso tempo, però, credo di aver sviluppato un’attitudine per quei suoni alieni, sintetici, acidi. Pochi anni dopo mi sono fatto regalare un Roland SH-101. Nel frattempo, i miei ascolti personali, sono diventati soprattutto electro e breakbeat, legati alle sonorità che ormai avevo introiettato e che percepivo come stimolanti anche a livello creativo.
Sei rimasto fedele a Milano, una città che negli anni è cambiata, in Italia, più di ogni altra. Come la descriveresti oggi? Ti è mai venuta voglia di andare altrove?
Sono un milanese periferico. Per lavoro sono a Milano tutti i giorni, conosco la scena da tanti anni, anche se ho un luogo ameno in Brianza dove andare a rifugiarmi.
Certo, la città ha vissuto momenti artisticamente più interessanti di quello attuale, soprattutto in termini di spazi liberi dove andare ad ascoltare musica. Devo dire però che, anche grazie a 51beats e a Milano Modulare (altro collettivo con cui collaboro), ho spesso la fortuna di intercettare nuove proposte e conoscere artisti interessanti legati a Milano. C’è sempre un certo fermento musicale ed artistico, legato all’elettronica, forse poco espresso. Ma la città si muove veloce, le cose continuano a cambiare ed in fretta. Nessun altro luogo in Italia ha lo stesso dinamismo, credo.
Sicuramente in Europa ci sono posti dove fare musica elettronica è molto più gratificante ma sono legato a questa città e mi piace essere qui.
Secondo te qual è il punto su cui la comunità musicale dovrebbe lavorare di più per migliorare la situazione cittadina?
La comunità musicale, da sola, può fare relativamente poco. Il problema, secondo me, sono gli spazi a disposizione, che negli anni si sono ridotti e, tendenzialmente, devono un po’ “nascondersi”. L’aria che tira purtroppo la conosciamo…
La comunità musicale deve però esserci, proporsi, creare connessioni e interazioni tra le persone. C’è bisogno di una socialità positiva, non basata sulla diffidenza e sull’odio tra le persone. Music is Love, diceva David Crosby.
La tua musica ha sempre avuto una sensibilità da dancefloor molto caratteristica, pur nelle sue diverse sfumature di genere. Qual è il tuo rapporto con il clubbing e cosa ti interessa comunicare a chi balla in pista?
Mi piace tantissimo quella tensione positiva che si crea quando il pubblico balla sulla musica che stai facendo. Sono dei momenti di estasi per me. Adoro il clubbing molto alternativo, sia come proposta musicale che come situazione. Quando suono mi piace stupire e creare sensazioni di estraneazione, allontanamento dalla realtà, psichedelia. Da qualche tempo ho sperimentato bellissime sensazioni anche facendo live set di musica kosmische. Mi piace pensare che sia musica che si balla con la mente, che ti lascia immobile ma ti porta lontano, nello spazio e nel tempo.
Come si sviluppa il tuo processo creativo in studio?
In studio, come dal vivo, mi piace molto improvvisare. Ho abbandonato ogni programmazione a pc. Accendo i synth e li faccio suonare. Spesso la macchina conduce verso percorsi imprevedibili. Le registrazioni che finiscono negli album sono take di sessioni di improvvisazione fatte in studio, non riproducibili.
E nel privato cosa ti piace ascoltare?
Compro tanti vinili, è la mia passione. Ultimamente sto prendendo tanta musica cosmica, sotto vere sfaccettature, non solo elettronica.
Mi piace viaggiare con la musica. Adoro la psichedelia anni ‘60 e ‘70, il Kraut Rock, anche nelle attuali rivisitazioni. Alcuni programmi che propone Fango Radio li ascolto sempre volentieri, ad esempio Pangea di Alarico Mantovani.
Un’avventura significativa di cui sei protagonista è quella con i Cani Giganti insieme a Marcio McFly e Pepè, molto apprezzati soprattutto per le performance dal vivo. Come funziona lavorare in gruppo e a che punto è il progetto oggi?
Il processo creativo in gruppo è stimolante e allo stesso tempo difficile. I miei gusti cambiano in fretta – e anche quelli di Marcio McFly e Pepè 🙂 (siamo grandi amici e ci vediamo regolarmente). Il progetto Cani Giganti è finito da tempo. Abbiamo fatto tante altre cose insieme che hanno avuto meno risonanza ma che ci hanno appassionato molto. Anche il progetto Sud Afternoon Tapes nasce in condivisione con Marcio. In rare occasioni, seppur con nomi diversi (Fanciulli Goom) facciamo ancora esibizioni tutti e tre insieme.
Il tuo nuovo progetto discografico si chiama Sud Afternoon Tapes, cosa ci puoi raccontare a riguardo? Ci sono altre persone coinvolte?
Sud Afternoon Tapes nasce dalla passione mia e di Marcio Mcfly (aka Dj Barefoot) per la musica psichedelica e il misticismo cosmico. Il nome deriva da un brano del maestro Franco Battiato, del 1978.
Abbiamo tanto materiale, registrato negli anni nei contesti più disparati e frutto di varie collaborazioni. Si tratta di una sublabel di 51beats, che però ha come focus la psichedelia musicale, solo su cassetta.
Perché hai scelto il formato della cassetta? Pensi sia importante avere la musica in forma fisica?
Il formato cassetta mi è sempre piaciuto. Insieme ai vinili è il formato che preferisco. Con la cassetta si possono fare tirature molto limitate, ad un costo contenuto. Ci sono tantissime tape label veramente interessanti che seguo, quindi l’idea nasce anche come tentativo di emulazione di quei progetti.
Ho sempre preferito aggiungere la dimensione dell’oggetto alla musica, probabilmente per una questione di età e abitudine. Il formato digitale ha innumerevoli vantaggi, ovviamente. Ma ascoltarsi una cassetta sull’impianto Hi-fi di casa mi sembra la dimensione giusta per la proposta musicale di Sud Afternoon Tapes.
Nonostante l’immensa mole di musica che esce costantemente, avere in piedi un’esperienza nel mondo della musica indipendente che sia sostenibile è ai limiti dell’impossibile, perché allora è importante aprire etichette di nicchia?
Il desiderio di esprimersi artisticamente è pressoché insopprimibile per me e per tante persone. Aprire un’etichetta che abbia una sua dimensione, anche se di nicchia, è un modo per dare forma a quel desiderio e allo stesso tempo dare la possibilità ad altri di esprimersi e sentirsi parte di un progetto collettivo. Il fatto che possa essere antieconomico non deve togliere entusiasmo. Chiaro, la sostenibilità è importante… ma, paradossalmente, ritengo che sia più sostenibile una tape label di una etichetta completamente digitale.
Al momento attuale la label conta due uscite, una di Dj Barefoot e una direttamente tua, hai già una programmazione pronta? Accettate demo da altri produttori?
Abbiamo già tante proposte molto interessanti, alcune già pronte per la stampa. Per marzo dovremmo uscire con altri tre nastri. Le prime due cassette sono state una specie di prologo della label. Ora viene il bello 🙂
Certo, ascoltiamo le demo che ci vengono inviate che siano in linea con il progetto.
Parlando della tua tape, su cosa dovremmo concentrarci maggiormente?
Si tratta di una raccolta di brani dal sapore neokosmische. Mi interessava soprattutto esprimere un concetto di ambivalenza: la musica è sintetica, prodotta da mezzi elettronici, ma la sua struttura ricalca l’aspetto delle forme naturali – la ripetizione, il ciclo, i pattern; una specie di tunnel di presenze/assenze di elementi sonori disallineati nel tempo che pulsano come classi di stelle – le variabili Mira.
Ci sarà l’occasione di vedere uno showcase dal vivo?
Assolutamente sì. Poche settimane fa ne abbiamo fatto uno al laboratorio di NONO Modular, in Brianza. Sicuramente, insieme alle nuove pubblicazioni, faremo uno showcase a Milano o dintorni.
Federico Spadavecchia