“Ci sono delle occasioni durante le quali sfuggire sia a delle etichettature, ma anche alla possibilità di essere riconosciuti, determinano il senso di quel tipo di evento”.
Con questa frase, la semiologa Claudia Attimonelli spiega uno dei temi princeps di Loopera Reload, documentario incentrato su tre macroargomenti: l’attuale declino della vera cultura rave a vantaggio del capitalismo, l’evoluzione storica della musica da ballo a partire dalle sue origini e la figura di Liza ‘N’ Eliaz, icona della scena underground hardcore e industrial degli anni novanta.
Ideato nel 2022 in seguito all’uscita dell’omonima fanzine, Loopera Reload è stato realizzato nel 2024 da Jan Hartungen e Simone Pietro Poggesi, con la collaborazione di Claudia Attimonelli e Riccardo Balli.
Attraverso un incipit di carattere storico, la bravissima prof e semiologa Claudia ci racconta la storia della musica da ballo a partire dall’occupazione nazista in Francia negli anni Quaranta del Novecento. Lo fa attraverso un linguaggio forbito e accattivante con il quale narra di una notte in cui tre giovani, nella Parigi stravolta dall’occupazione tedesca, si intrufolano di nascosto in un locale notturno per ballare Jazz, genere musicale inventato dagli schiavi neri deportati dall’Africa e prodotto in Europa soprattutto da musicisti ebrei.
Questa musica divenne così un facile bersaglio del Nazismo, intento a colpire gli ebrei in quanto considerati gli artefici della rovina del popolo tedesco. Divenne quindi necessario celare tali raduni musicali, poiché sarebbero stati oggetto di rastrellamenti e deportazioni. Ecco dunque che la musica da ballo, come ben spiegato nel documentario, nasce in seno alla Resistenza e in un’ottica di liberazione dalle catene del totalitarismo; negli anni ha poi trovato terreno fertile proprio nella cultura rave, espressione sociale in cui sciaborda la contestazione giovanile, la ribellione nei confronti del sistema, l’anticonformismo, il trasgredire e l’opporsi alla cultura di massa di matrice capitalista.
Dopo questa introduzione in cui vengono analizzate le radici, il significato e le evoluzioni della musica da ballo, il documentario prosegue con un approfondimento su Loopera, originalissima fanzine che nasce sia come prodotto atto a sensibilizzare il pubblico sulla cultura rave, e sia come book di tributo alla figura mitica di Liza ‘N’ Eliaz.
In particolare, l’autore concentra l’attenzione sulla funzione stessa della musica e della produzione discografica: l’obiettivo non è creare qualcosa che risulti in linea con le esigenze del pubblico e di un circuito economico chiuso, ma produrre sonorità che abbiano una funzione essenzialmente catartica, liberatoria e purificatoria, esattamente come la intendevano Aristotele e Nietzsche.
Questo era ciò che faceva la Néliaz: produceva e suonava non affatto per rispondere a delle esigenze di mercato, ma per realizzare una musica pura, in linea con le interpretazioni aristoteliche e nietzschiane: la medicina dell’anima, la cura del male, il benessere interiore, il piacere dell’ascolto e la valvola di sfogo.
Con una destrezza ammirevole, Simone Pietro Poggesi inframezza le parti del film attraverso un abile gioco di immagini in sequenza al ritmo di storiche tracks di Liza (tra cui la supersonica “Is it dark”) riguardanti locations in disuso, vecchi flyer di celeberrimi rave parties europei e luoghi abbandonati che costituiscono il simbolo di un sistema culturale ormai in declino e in completa destrutturazione a causa dell’entrata in scena, in modo esponenziale, del capitalismo.
Molto interessante anche l’intervento del dj e produttore Riccardo Balli, autore tra l’altro di testi quali Sbrang gabba gang e Frankenstein goes to holocaust. Egli sofferma l’attenzione su ciò che chiama “ipertrofia dell’estetica” in cui è caduta la gabber, ovvero l’eccessiva necessità di apparire, mostrare, filmare e condividere piuttosto che ascoltare, capire, esserci e divertirsi. Prosegue poi parlando della Breakcore, di cui è uno dei pionieri, e la sua particolare conformazione come genere musicale fuori dagli schemi della musica dance, che invece rimane confinata in precise categorie e sonorità. Di conseguenza, anche chi suona questi generi underground assume un aspetto significativo, configurandosi come personalità eclettica, che fa beat mixing in vinile attraverso una tecnica di messa a tempo “a orecchio”, che è attento alla selezione musicale in relazione alla tipologia di evento e che riesce a mettere in atto estrosi passaggi da una traccia all’altra con un abile turntablism, ovvero l’arte dello scratch. Ed è proprio in queste precise caratteristiche che si inserisce la figura di Liza ‘N’ Eliaz, artista poliedrica che ha segnato la storia della cultura rave in Belgio, in Francia e, più in generale, in Europa. Classe 1958, Liza proveniva da una famiglia fiamminga di musicisti talentuosi: in tenera età suonava il piano a quattro mani con il nonno, direttore orchestrale di alta fama.
Comprese sin da subito l’arte della musica declinandola in un’espressione straordinaria e futuristica. Esordì in gruppi rock/new wave e, a partire dagli anni Novanta, fu membro imponente della scena rave hardcore, terror, breakcore e tekno come dj e produttrice di notevole estro.
Nota per le sue abilità di mixaggio con l’uso contemporaneo di quattro giradischi, così come afferma il co-fondatore di Astropolis, suonava ad una carica di BPM elevatissimi denotando maestria e competenza. Collaborò con artisti di calibro quali Manu Le Malin, Armaguet Nad, Laurent Ho, David Lagon e divenne paladina della scena fin quando non si spense a 43 anni a causa di un cancro ai polmoni.
La sua onda musicale fu fonte d’ispirazione per contemporanei e posteri, nonché oggetto di svariati omaggi, tra cui il tributo di Micropoint, Torgul e Armaguet Nad all’Astropolis nel 2014. Ciò che lascia all’attuale scena è il ricordo di un mondo in cui la musica era oggetto di contemplazione, e non fonte di guadagno; dove il ballo e la frequentazione di questi eventi rispondevano a un’esigenza di puro divertimento e liberazione, un’espressione libera del corpo, e non certo oggetto di divulgazione attraverso i social.
E’ Liza, l’emblema della vera cultura rave, quella che pian piano ci sta abbandonando per far strada a nuovi contesti musicali che hanno ormai perso il vero senso e la purezza originaria della musica underground.
Con questa recensione si intende infine ringraziare chi da sempre si batte per dare un nome, una voce e un significato a tale onda musicale.
Un grazie a chi ci crede davvero, perché lo fa con amore e passione. A chi suona, produce, organizza, scrive, parla e omaggia tale musica. Perché non è solo “rumore”, come molti la definiscono, ma il suono di un movimento che ha segnato e sta segnando la storia della musica a livello internazionale.
Anksunamun