La musica dei Real Lies è soprattutto sentimento. E’ quel mix di nostalgia per un’utopia perduta e voglia di piangere con le mani al cielo che hai durante una serata che non vorresti finisse mai.
L’eco della grande capitale inglese, che fa vibrare le finestre di giovani sognatori ai margini della periferia, quasi in aperta campagna, spinge Kev, Tom (uscito dalla band nel 2019) e Pat, a fare il grande salto e tentare l’avventura nel mondo della musica. A sette anni dal primo album arriva Lad Ash, disco dai brillanti toni elettronici e, soprattutto, dall’incredibile scrittura, che riporta sul dancefloor storie come non se ne sentivano da tempo.
A novembre il duo si è esibito al Circolo Arci Bellezza di Milano, dove per noi c’era il mitico Fred Ventura che ci ha descritto così il concerto:
Sono riuscito finalmente a vedere i Real Lies a Milano, malgrado fosse impensabile sino a qualche mese fa, visto che sono tornati a pubblicare un nuovo album a ben 7 anni di distanza dal primo, dopo svariate vicissitudini discografiche. Kev Kharas e Patrick King, perso per strada Tom Watson, hanno continuato a produrre brani usciti solo in digitale e soprattutto tramite Bandcamp, strumento fondamentale per la loro politica di comunicazione con la fan base. Lo scorso aprile hanno finalmente reso disponibile “Lad Ash”, un disco tanto atteso ma non facile al primo ascolto rispetto all’immediato e riuscitissimo “Real Life” del 2015. Tuttavia è grazie al concerto a cui ho assistito che ho potuto scoprire tutto il valore di questo nuovo lavoro e delle release digitali degli ultimi tempi. Sono riusciti a catturare l’attenzione di un pubblico che solo in parte li conosceva, ed io mi sono sentito in alcuni passaggi come trasportato per le strade pallidamente illuminate di Londra, di notte, nei primi anni novanta; in altri invece ha prevalso la percezione di stare vivendo in un futuro senza regole sonore, tra gioia e malinconia. Insomma è stata una soundtrack urbana moderna e nel contempo ricca di nostalgia, narrata con intensità emotiva da Kev Kharas, trascinato fisicamente dal groove dall’abile manipolatore sonoro Patrick King. Alla fine eravamo tutti “blissed to be alive”.
Dopo qualche giorno li abbiamo sentiti per porgli qualche domanda.
Ciao ragazzi benvenuti su Frequencies! Che ne dite di presentarvi ai nostri lettori raccontandoci le origini del progetto Real Lies?
Il progetto Real Lies è iniziato nel 2013 in una grande casa vicino a un lago a Londra. Perdevamo interi fine settimana scrivendo musica, e uscivamo di notte col gommone. Quel modo di vivere ha alterato per sempre la nostra chimica cerebrale, e adesso la nostra musica ha lo stesso effetto di quei weekend persi e le lunghe notti sull’acqua.
Quando hai iniziato ad appassionarti di musica elettronica e clubbing?
Nel modo più diretto, direi, ai Suburban house parties all’età di 13 anni. Roba UK garage. C’è stata una progressione naturale da quelle situazioni ai piccoli rave nei campi, fino alle notti nei club.
Ma, in maniera più veritiera, penso che la mia prima esposizione a queste cose avvenne quando ero ancora più giovane, a 8 anni circa. La sera stavo sdraiato a letto, in camera, a guardare dalla finestra il cielo che diventava rosa. Oltre la finestra c’era una staccionata e oltre quella l’autostrada per Londra. Tutto ciò che avevo per compagnia era una radio a onde medie, di cui giravo la manopola per ore, beccando un mix di talk e radio pirata in mezzo alle indicazioni del traffico per tutta la notte. Se ero fortunato sarebbe pure piovuto! Quella fu la prima introduzione alla musica elettronica e al clubbing, e a quello che potresti chiamare “nightlife”. Ha dato la direzione ai miei sogni.
C’è stato un episodio dopo il quale hai pensato fosse il momento di iniziare a fare musica?
Yeah, ho provato quando avevo 18 anni dopo la prima scappata a Londra dai sobborghi. Ho avuto però la sfortuna di incorrere in qualcuno che era molto più talentuoso di me, così mi sono fermato per parecchi anni fino a quando è partito Real Lies.
Il vostro sound si è evoluto parecchio dal debutto: da un mood più synth pop a un sound techno sofisticato, molto vicino a leggende del calibro di Dave Angel e Claude Young, nomi molto amati dai veterani del clubbing. Come avete vissuto questo processo? Come sono cambiati i vostri bisogni artistici attraverso il tempo?
Nei sette anni tra i nostri album abbiamo imparato ad articolare meglio il senso di perdita e nostalgia che è quanto di più vicino a ciò che crediamo sia l’essenza di Real Lies. Non puntiamo mai veramente a un genere, un suono o una scena in particolare. Partiamo col sentimento e lo seguiamo fino a quando la canzone è finita.
Com’è strutturato il vostro workflow in studio?
Pat manda un sacco di demo che ascolto tutti a ripetizione. Alcuni mi restano in testa e continuano a suonare anche quando non li sto ascoltando. Quindi, non appena prendo a lavorare sulla mia vita quotidiana, ecco che il mio monologo interiore si fonde con quei pezzi di musica e nascono i brani. Dopo di ciò, continuo ad ascoltare e a scrivere fino a quando la storia è perfettamente in sintonia con i demo di Pat, come la catena del DNA. E’ praticamente tutto qui, ok il processo di scrittura in un certo modo, ma davvero, si tratta solo di sbloccare la storia intrappolata nelle atmosfere di Pat.
A proposito dei testi, il disco si concentra sulle tue esperienze londinesi, una città che ha il mutamento insito nel proprio DNA. Perchè hai sentito il bisogno di scriverne? In che modo Londra ti da ispirazione?
Penso che risalga tutto a quelle notti da bambino con la mia radio a onde medie. Ascoltavo le notizie sul traffico e mi domandavo dove andasse tutta quella gente così di fretta in tarda notte. Non mi sono più ripreso!
Lad Ash nel mood mi ha ricordato di weak become heroes di The Streets, con questa capacità di riportare sulla pista lo storytelling. Pensi che i ragazzi e le ragazze più giovani siano interessati al romanticismo della club culture? C’è un testimone che vorresti si tramandasse?
No assolutamente, non si tratta di nessuna eredità. Se te ne preoccupi troppo finirà per ucciderti il più delle volte. Io amo le storie da sempre e per sempre. Penso che in ogni generazione ci siano persone votate alla nightlife. Queste persone sono spesso romantiche, perfino quando non gli va di ammetterlo. La nostra musica è per quelle persone e le notti che fanno di noi ciò che siamo.
Conosci la teoria sull’ardkore continuum elaborata da Simon Reynolds? Possiamo guardare Lad Ash sotto questo aspetto?
Sì la conosco. Non penso però che Lad Ash ne faccia parte, non è fatto per la pista dei club. Se il continuum potesse essere pensato come un aereo in volo forse la nostra musica potrebbe essere come i fuochi artificiali che salgono dal terreno sottostante.
Ti piacciono i social media? Strumento letale per la musica di nicchia o un valido aiuto?
Sono quello che sono. Preferirei spendere meno tempo sul telefono, ma rispondo a ogni messaggio che riceviamo. E’ un buon modo per capire a chi piaci e perchè.
Continui a frequentare i locali? Chi è il tuo Dj preferito?
Yeah, usciamo e ci divertiamo! Attualmente mi piacciono molto Sherelle, Ali Berger, Shanti Celeste, Powder.
Cinque dischi da avere per forza:
Roger Doyle “Spring Is Coming with a Strawberry In Its Mouth”
Fontaines DC “Roman Holiday”
Sunshower “Weekend Millionaire”
The Necks ‘Sex’
DJ Sprinkles ‘House Music Is A Controllable Desire You Can Own’
In autunno avete suonato in Italia, com’è stata l’esperienza? Vi siete divertiti?
Entrambi gli show (Bologna e Milano n.d.r.) sono andati oltre le nostre aspettative. Trovo che gli Italiani abbiano una voglia di romanticismo e vita notturna molto simile a quella che abbiamo noi. Sono state grandi notti e le persone non le dimenticheranno mai. Non vedo l’ora di tornare a Bologna e Milano e esplorare il resto del Paese.
Federico Spadavecchia