Viaggio al centro del mondo: intervista a Donato Dozzy

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Dopo l’edizione estiva del Festival, Anticorpi, a partire da oggi e fino al 31 dicembre Dancity torna nella sua versione invernale presso il complesso dell’Auditorium S. Domenico e altri suggestivi luoghi del centro storico. Tra gli artisti presenti nella line up della prima giornata c’è anche Donato Dozzy che abbiamo sentito in occasione del suo ritorno a Foligno.

Ciao Donato, benvenuto sulle pagine di Frequencies.eu, grazie per la tua disponibilità. Scorrendo la tua discografia non si può non restare impressionati dalla varietà e quantità della tua produzione artistica. Come ti presenteresti a chi ti si avvicina per la prima volta?
Un artigiano con poteri, talvolta, da medium.

Quali sono stati i dischi o le sonorità che hanno definito la tua idea di musica?
Veramente tanti, da Pet Sounds dei Beach Boys a Tommy degli Who, passando per la psichedelia dei Jefferson Airplane. Ho un profondo legame col periodo del Krautrock tedesco che in Italia, durante gli anni ’70, è coinciso con l’ascesa dei festival pop. Ho ascoltato tantissime cose nella mia vita e la discografia che ho a casa mi permette di saltare da un genere all’altro per costantemente aggiornare la mia percezione del suono.

E invece quando hai iniziato a fare il Dj quale musica ti intrigava proporre di più?
Tanta e varia, ho sempre spaziato fra generi ed in quegli anni (credo di aver fatto la mia prima serata nel 1986) ho preso molta ispirazione dal dj barese Maurizio Laurentaci e da “Dimensione Dance” di Faber Cucchetti, un programma radiofonico che ha letteralmente incantato una generazione di romani durante la seconda metà degli anni ’80.

Che cosa rappresenta per te la Techno? Più mezzo per raccontare il futuro o navicella per fuggire dalla realtà?
Linguaggio universale del nuovo millennio, dobbiamo tanto a Detroit. Secondo me è una navicella si, ma per incontrare una realtà condivisa e non per fuggirla.

Un argomento di cui mi piacerebbe parlare è la tua mitica residenza al Brancaleone, cosa hai imparato da quell’esperienza che ti è servito fino a oggi?
Sul finire degli anni ’90 il Brancaleone è stata un’importante finestra sul mondo e poi per almeno un decennio in quel posto si sono svolti alcuni degli eventi più spettacolari di cui io abbia memoria. Al Brancaleone ho imparato ad essere uno spirito musicale libero e sviluppare le mie idee in modo radicale, senza compromessi.

Cosa consiglieresti ai tanti giovani che tentano questa strada? E’ ancora possibile trasformarla in un vero lavoro?
Sì, a patto di avere una sana passione, pazienza e umiltà, per i risultati serve tempo.  E oggi in molti tendono a dimenticarlo.

C’è un disco che non esce mai dalla tua borsa?
No. Ma ci sono dei dischi che ciclicamente ritornano, anche a distanza di decenni.

Quando hai provato la necessità di creare da te la musica di cui avevi bisogno?
Sul finire degli anni ’90; avevo delle “atmosfere mischiate a ritmi” in testa che non vedevo l’ora di mettere in pratica.

Come si sviluppa il tuo processo creativo? Parti da un’idea ben definita o ti abbandoni all’improvvisazione?
Entrambe le cose.

Se pensiamo agli strumenti, quelli che associamo subito a te sono l’EMS Synthi AKS e la Roland TB-303. Cosa significano per te queste macchine e perché sono così speciali?
Ogni musicista lega in particolare con uno strumento o due. Nel mio caso le corde son state toccate da queste due splendide creature che ho la fortuna di possedere. La TB che uso è modificata “Devilfish”, il che significa un universo espanso applicato alla 303. E poi c’è il Synthi. E’ uno strumento a se, creato da menti geniali e destinato a rimanere unico nel suo genere; anche a distanza di 50 anni il Synthi intona le emozioni.

C’è un elemento chiave che ricerchi in ogni lavoro per ritenerlo davvero concluso?
Il lavoro è concluso quando smetto di metterci le mani su, questo processo a volte richiede anni.

Come ti immagini il tuo ascoltatore ideale? Qual è la prima cosa a cui dovrebbe porre attenzione di fronte a un tuo pezzo?
Non lo so, ma sono grato e voglio bene ai miei ascoltatori!

La musica elettronica per sua natura è un’esperienza soprattutto percettiva, pensi che i tuoi lavori vengano recepiti dal pubblico come vorresti?
Sì. E se anche non volessi, non cambierebbe nulla.

Insieme a Andrea Noce alias Eva Geist hai dato vita al Quadro di Troisi, un affresco di ricercata musica Pop cantata in Italiano, ricca di riferimenti a epoche e sound differenti. E’ un’esperienza che ti piacerebbe ripetere? Cosa ti ha lasciato?
Ne avevo bisogno, amo il pop di un certo tipo e intimamente desideravo di farlo un giorno. Poi ho incontrato Andrea nel momento giusto e tutto ha preso un corso naturale.

Qual è stato, se c’è stato, il progetto che ti ha messo di più in difficoltà?
Sicuramente il Quadro. Non ricordo di aver lavorato cosi tanto in altri progetti come in questo. Ed è giusto così, come ogni cosa che ci sta a cuore.

Parliamo di Voices from the lake insieme a Neel. All’inizio era un act di pura dub tech ma in poco tempo si è sviluppato in diverse direzioni pur conservando la sua anima dub. A che punto è oggi il progetto?
Siamo sempre rimasti in contatto, anche negli anni di silenzio. Recentemente abbiamo rimesso mano alle registrazioni del 2011 ed ora Il cofanetto che celebra il decennale dalla pubblicazione è in via di uscita su Spazio Disponibile.

C’è molta differenza tra come viene concepito in studio e come viene portato dal vivo?
Non molta, fatta eccezione del fatto che dal vivo abbiamo meno strumenti a disposizione.

Ci sono dei luoghi con cui hai instaurato un rapporto particolare: dal Circeo fino alle labirintiche foreste giapponesi…c’è una storia che ti lega a Foligno e Dancity?
Come potrei non essere legato a Foligno, il centro del mondo? E’ stato uno dei primi posti dove sono stato invitato ad esibirmi qui in Italia, al di fuori dal Brancaleone.

Cosa dobbiamo aspettarci dal tuo show?
Vorrei passare dei dischi dalla battuta un po’ più lenta, tra hip hop strumentale e dub. Vediamo se funziona.

Trovi ancora importante il concetto di “circolare”?
Sì, ed essendo nel frattempo cresciuto, ho avuto modo di applicarlo ad uno spettro musicale molto più largo. Tutto torna.

E visto che siamo a Natale non posso che chiudere chiedendoti cosa vorresti trovare sotto l’albero…
Un robot giapponese. Ed è arrivato.

Federico Spadavecchia


Annunciata la lineup di Dancity Winter 2022