Il Sudafrica è una terra complessa, conflittuale, con le colpe e le responsabilità dei conquistatori europei ben evidenziate dalla Storia. Parlandone, le prime cose che vengono in mente sono Nelson Mandela, la lotta all’apartheid e il rugby, difficile che la musica locale vada in copertina.
E’ successo coi Die Antwoord, controverso duo hip hop, è vero, ma nel loro caso la molla dell’interesse scattava dalla particolarità dei personaggi più che dalle note. Come scena, poi, il gqom non è mai andato oltre i magazine underground.
Intorno all’inizio del 2019, però, è successo un qualcosa di straordinario: l’amapiano si è imposto come genere di riferimento, mostrando una capacità di attrazione molto più forte rispetto a quelli internazionali, dati streaming alla mano!
Ma che cos’è l’amapiano?
Stando alle parole di Dj Moma rilasciate a Rolling Stone, si tratta dell’evoluzione dell’afrobeat che, ritrovando le proprie origini house di derivazione newyorkese, si è spinto ancora più avanti: “It’s almost sacrilege to say, but they basically took all the elements of New York house — jazzy chord progressions, Afro percussion, soulful vocals — and they just made it better. Especially on the drum programming, because it just has that African sound”.
Insomma, per la prima volta i ruoli si ribaltano: il colonizzato diventa colonizzatore, e si ristabilisce l’ordine tra multiculturalismo e appropriazione culturale.
In Italia a divulgare il verbo amapiano ci sta pensando un’artista romana che si è sempre distinta per la vena pionieristica fin dai primi anni 2000. Dagli esordi raffinati con la lounge ai dancefloor bui e sudati con la minimal, The Witch aka Rossella, aka Rosa Maria Melchionda, dj e, per ora, ex producer, ha intuito l’enorme potenzialità di questa nicchia e l’ha fatta sua.
E’ quindi lei che troviamo ai controlli del nostro nuovo podcast con una selezione total amapiano, e a questo punto non potevamo farci sfuggire l’occasione per parlare con lei e indagare a fondo sulla faccenda!
Ciao Rossella per cominciare quando e come è arrivato il tuo debutto ai piatti? Cosa ti ha spinto dall’altro lato della consolle?
Nel 2000, dopo un periodo della mia vita vissuto a Parigi. Erano i tempi del Buddha Bar, che musicalmente portava avanti un discorso nuovo, una lounge caratterizzata da un mix di musica etnica di provenienza mista, dalla araba all’indiana, dalla sudamericana all’afro. Tornata in Italia, provai a importare a Roma questo concetto nei posti trendy dell’epoca e questo piacque molto, soprattutto presentato da una donna.
Quando hai scoperto di avere una passione per la musica elettronica?
Dalla musica etnica, c’è stata un’evoluzione continua attraverso esperienze sempre diverse, che mi hanno portato, senza mai tralasciare il mio spirito innovativo, a conoscere e poi a proporre la versione meno complessa e più facilmente ascoltabile, se vogliamo, di musica elettronica: la minimal. Da Herbert a Villalobos, dalle produzioni Perlon e Playhouse alla Minus (per citare le più note o quanto meno le primitive). Iniziai anche una certa attività di producer, sempre di elettronica minimal. Le mie produzioni vennero pubblicate soprattutto su Elettronica Romana e su Ciclical Tracks (label di Tadeo, del gruppo spagnolo CMYK).
La scena romana ha avuto diverse fasi, in quale di queste hai iniziato a lavorare regolarmente nei club e che rapporti avevi con l’ambiente techno e house di quel periodo?
Il passaggio dalla lounge al club avvenne come diretta conseguenza della mia residenza al Ketum Bar, dove suonavo atmosfere etniche in prima serata durante l’orario della cena, poi da mezzanotte la situazione si animava a disco bar e quindi il genere cambiava. Fui invitata a partecipare regolarmente al Goa, prima alla serata After Tea, e poi fui resident in Wonder Woman, serata prettamente al femminile con ospiti internazionali; inoltre, periodicamente in serate specifiche al Brancaleone, poi in tanti altri locali di Roma, e successivamente anche in Italia e all’estero.
In quel periodo storico a Roma, si creò una sorta di squadra di djs (in parte quella racchiusa sotto la label di Elettronica Romana) che portava avanti un discorso musicale elettronico innovativo a livello internazionale, e anche se col tempo ognuno di noi scelse la sua direzione, lo spirito di partenza fu lo stesso, la stessa anima.
Pur non avendola mai abbandonata, la pura minimal regge poco la pista, quindi è stata necessaria un’evoluzione verso la deep house o la techno (mie scelte), a seconda delle occasioni.
Che rapporto ti piace instaurare con il pubblico durante una serata?
Oltre alla volontà di trasmettere un concetto di armonia, credo di non poter prescindere dalla voglia di innescare curiosità, non scelgo mai tracce scontate, c’è un gran lavoro dietro di ricerca e di selezione, e sono soddisfatta quando noto che la gente in ascolto cerca di shazammare o mi viene a domandare di che musica/traccia si tratta.
Come hai vissuto artisticamente gli anni del Covid? E’ cambiato qualcosa nel tuo rapporto con la musica?
E’ stato un periodo noioso per l’inattività da un lato, ma vantaggioso dall’altro, perché ha concesso tregua e tempo per resettarsi, per rinnovarsi, per studiare e per nuove scoperte. In ogni caso, la salute viene prima di ogni altra cosa.
Veniamo adesso all’amapiano: quando e dove ti sei imbattuta in questo suono?Circa un anno fa, sono rimasta estasiata da una traccia (che ho incluso anche nel mixtape): Emlanjeni, una canzone d’amore in lingua zulu ma con base elettronica, che mi ha incuriosito e affascinato. Dopo ho scoperto che non era unica nel suo genere, ma che esisteva un intero filone dietro.
Che tipo di scena è? Che tipo di pubblico attira?
Direi che è una scena assolutamente nuova, una nuovo filone della scena musicale elettronica, proveniente dal Sudafrica, esistente già da qualche anno ed è in velocissima crescita; sembra essere anche un simbolo di una nuova cultura giovanile e di un nuovo lifestyle.
Da un punto di vista estetico chi ascolta amapiano si riconosce per qualche caratteristica precisa, o come ormai per tutte le altre sottoculture giovanili, è tutto uniformato?
In realtà non saprei esattamente, bisognerebbe viverci in Sudafrica, ma immagino ci siano caratteristiche comuni, come si può vedere nei video, quanto meno riguardanti la moda e la danza.
Chi sono i Dj amapiano che ti hanno impressionato di più?
Parlando di DJ, sicuramente i Major League Djz sono tra quelli che hanno permesso all’amapiano di uscire dai confini del Sudafrica, ma non si può dimenticarne altri come Kabza De Small e Dj Maphorisa, a cui si riconosce il merito di fondatori ecc…e tra le donne, la mitica Uncle Waffle e mi piace molto anche DBN Gogo.
Sai se in Europa si sono già esibiti?
Allo scorso Sonar, è stata dedicata ad amapiano un’intera session by night; inoltre a Londra esistono già serate all’insegna di amapiano.
A livello di produzioni chi sono i nomi riferimento come artisti?
Volendo parlare di producer, ce ne sono diversi che meritano di essere nominati: a partire dal mio preferito per stile Kelvin Momo, De Mthuda, Busta929, Josiah De Disciple, Mr. Jazzi Q, Musa Keys, Jazzidisciple, Reece Madlisa & Zuma, e gli stessi Kabza De Spall e Maphorisa, che hanno avuto un ruolo fondamentale nell’iniziale diffusione di questo genere.
Si trova qualcosa in formato fisico o è tutto digitale? Ci sono canali di distribuzione diversi rispetto a Bandcamp?
A dire la verità i canali musicali più noti ancora non riportano un’ampia sezione di amapiano e su alcuni occorre cercarlo sotto altre voci, come afrobeat, e non credo esistano attualmente molte produzioni in vinile. Trovo addirittura più possibilità di scelta su YouTube ma bisogna impegnarsi.
La selezione del tuo podcast ha un effetto straniante: da principio sembra classica deep house americana, ma basta fare attenzione al cantato per accorgersi che la lingua non è inglese e che quelle percussioni vengono da un altro continente! Finalmente pare che l’Africa a ribalti il concetto di “ispirazione esotica” in una dimensione davvero multiculturale, che ne pensi?
I sintetizzatori usati in amapiano sono sicuramente quelli della deep house, ma la caratteristica inconfondibile, a parte la lingua zulu, è data dalle potenti bassline (woww!!!), dall’insuperabile e autentico schema percussivo del sound africano, in assenza di cassa e con beat lento da 111 a 113 BPM, e dal contributo di meravigliose voci dal timbro particolare, come ad esempio quelle di Sir Trill e di Babalwa.
A proposito, finora abbiamo parlato del lato sofisticato dell’amapiano, ma ha anche un volto più aggressivo e tribale, non è vero?
Assolutamente sì, la mia selezione è diciamo un po’ europeizzata, ma in realtà amapiano può vivere di atmosfere più scure e tribali rispetto a quelle da me presentate nel podcast, che può essere considerato un ponte per arrivare a concepire sonorità più distanti dalla nostra cultura.
Ci puoi segnalare 5 dischi fondamentali del genere?
Dipende dai gusti, alcune sono molto popolari in Sudafrica e i relativi video contano milioni di visualizzazioni: Tanzania (incluso nel mio mix) , Woza, Isphithiphithi, Izolo, Emlanjeni, Iy’ntsimbi Zase Envy.
Perché pensi sia una scena su cui puntare anche in Italia?
Non sono certa che sia una scena su cui puntare, ma sicuramente ritengo sia positivo ampliare gli orizzonti musicali, parlando sempre di musica di qualità.
Quali saranno le tue prossime mosse? Un ritorno in studio in chiave amapiano ci potrebbe stare o continuerai unicamente col djing?
Le produzioni richiedono tempo e mi piacerebbe molto avere il tempo di farne; spero in un progetto con Dj Jacko, profondo conoscitore di musica black e anche di amapiano, ma è difficile conciliare i rispettivi impegni.
Sicuramente mi piacerebbe continuare a fare djing, proponendo delle session unicamente amapiano.
Federico Spadavecchia