Il Panteismo Cosmico di Anton Webern

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Il filosofo tedesco Gottfried Leibniz sosteneva in una sua massima che “ogni porzione di materia può essere concepita come un giardino pieno di piante o come uno stagno colmo di pesci; tuttavia ogni ramo di pianta, ogni membro animale, ogni goccia dei loro umori, è ancora un giardino ed è ancora uno stagno”. Queste parole – tratte dalla sua opera filosofica Monadologia – esprimono e sintetizzano il nous di tutto il suo pensiero: l’universo vive e si regge su un’armonia prestabilita nella quale l’infinitamente grande e l’infinitamente piccolo si integrano a vicenda ed in tutte le cose esiste una particella microscopica che è in grado di contenere il primo, fosse anche un granello di sabbia od un microrganismo monocellulare. Dio invece rappresenta la forza, il soffio spirituale che unifica e regola tutti i corpi: è il Grande Orologiaio, il Grande Architetto universale. Leibniz ha colto una pera matura.

La sua ideologia affonda le origini non solo in Platone e nel suo mondo delle idee ma anche nel francescanesimo che vedeva in ogni elemento della natura come nei fratelli alberi, nella sorella luna e nel fratello sole, la presenza dell’afflato divino. Da qui all’elaborazione della celebre teoria delle monadi il passo è breve: ogni cosa esiste in un flusso perpetuo dal quale le particelle vi entrano e vi escono ed il cosmo è costituito da una serie infinita di forze che vivono di una propria autonomia intrinseca e sono incomunicabili fra loro.

Se vogliamo cercare in musica un referente della filosofia di Leibniz, lo troviamo nel compositore viennese Anton Webern. E’ un membro della triade dodecafonica della capitale austriaca, insieme ad Arnold Schoenberg, il demiurgo di questo stile e ad Alban Berg; ma fra i tre è quello che si è spinto oltre, arrivando a concepire una ricerca dove si esprime il tutto, in chiave puramente cosmica, sintetizzando il suono in una serie di brevi e semplici frammenti attimali. Un’opera avanguardistica mai raggiunta finora, che fa di lui il più estremo e contemporaneamente il più lirico del terzetto.

Se vogliamo costruire un altro parallelismo per una migliore comprensione, pensiamo ai generi letterari: se Schoenberg con il suo stile narrativo e linguistico è l’autore in prosa e Berg con la sua tensione emotiva è il drammaturgo, Webern è l’arte elevata della poesia. In lui confluiscono il romanticismo eroico di Wagner e il postromanticismo crepuscolare di Mahler e di Richard Strauss. Ma la sua poiesis sonora arriva a trascendere tali umori per raggiungere il lirismo cosmico. Per realizzare la sua poetica Webern scompone la composizione in una serie di frazioni micropolifoniche definite “poesie espresse con un solo gesto”. Queste sono concepite in modo tale che ognuna racchiuda non una parte del tutto ma il tutto stesso. La sua avanguardia ha una traiettoria orizzontale, non verticale; infatti non mira alla ricerca di soluzioni sonore ardite per emancipare l’arte dalle maglie ristrette della tonalità; egli punta alla riduzione della struttura sonica in elementi semplici che però esprimono il cosmo. Riesce nel suo intento, ricusando il ricorso a soluzioni barocche quali la giga, la siciliana, la bourrèe che invece adotteranno Schoenberg e Berg.

Per chiudere il circolo ermeneutico sull’autore, occorre introdurre altri due concetti: quello di aforisma e quello di silenzio. La tecnica compositiva di Webern si può sintetizzare come una massima che esprime un significato ampio e profondo con poche parole, opera di uno spirito arguto. Ma il termine va inteso nel suo referente tedesco di Geist più che a quello francese di ésprit: quest’ultimo sottende un guizzo di arguzia e vivacità momentanea, mentre il primo  invece ha la potenza di trascendere l’istantaneità per cristallizzarsi in un eterno poetico.

Questo è un punto fermo del musicista.
In seconda battuta viene il silenzio. La musica di Webern è sospesa in profondi puntini di sospensione identificabili in pause silenti. La nozione non è da intendersi come una funzione di annullamento della percezione sonora in chiave aleatoria (lo sarà in John Cage). Nel caso in questione è un elemento fondamentale per realizzare la più felice legge dei contrari: magnificazione del suono, tassello propedeutico per il risalto dell’arte musicale. Forse bisogna partire proprio da qui, per comprendere questo compositore sfuggente e misterioso.

Marco Fanciulli