La Riviera di Ricky Montanari

Dopo l'uscita del nuovo volume della Riviera Traxx compilation abbiamo incontrato il celebre Dj riminese

0
2319

Ricky Montanari è una delle colonne portanti della musica house italiana. Legato a filo doppio alla Riviera Adriatica, è un vero pioniere che, per primo nel nostro Paese, ci ha regalato quei party ai tempi chiamati fuori orario, oggi noti come after hour, e ha contribuito a trasformare la figura del Dj in un artista a tutto tondo.
Il suo sound porta un marchio di fabbrica molto netto e apprezzato in tutto il mondo, che lo catapulta stabilmente nelle lineup più prestigiose del pianeta. Eppure a parlarci, della superstar non c’è traccia, abbiamo davanti un uomo profondamente innamorato del suo lavoro e della musica.

Ciao Ricky benvenuto sulle pagine di Frequencies!
Che ne dici se partiamo dall’attualità, ovvero che cosa si prova ad uscire con uno dei progetti discografici più rappresentativi non soltanto della Riviera adriatica come luogo geografico (Riviera Traxx Compilation su Major Underground n.d.r.), ma dell’immaginario a cui rimanda, giornate al mare sotto al sole e notti infuocate nei club, nell’anno del silenzio forzato?

Ciao, è stato emozionante vedere quanto amore ci fosse ancora verso questa idea. Questo nome, il concetto di Riviera Traxx, da parte dei ragazzi a cui ho parlato del progetto.

Com’è nato questo nuovo volume della serie? Che obiettivo avevate in mente?

Di base è nato nel periodo di lockdown. Ci si sentiva spesso, ognuno isolato con i propri pensieri. Si facevano tracce, si rovistava negli archivi in cerca di qualche idea, qualche unreleased. Sempre comunque con la musica come trait d’union, e allora mi, ci, siamo detti: perché non riunire tutti questi lavori e fare sentire la nostra flebile voce? Per dire ehi! Noi siamo ancora qua vivi, produttivi più che mai!

Come giudichi lo stato attuale della club culture rivierasca e su cosa vorresti si facesse/investisse di più?

Non saprei, ho l’impressione che abbiamo gettato il bambino con l’acqua sporca tempo fa. Ora ricostruire, ricreare quell’allure sembra un percorso in salita. Una cosa che però mi è sempre mancata qua in riviera è una radio “Riviera”, per cosi dire, una cosa tipo Ibiza Global Radio, ma a volte penso sia tardi anche per quello.

Dall’inizio del nuovo millennio la club culture in tutto il mondo ha trovato una sua routine, diventando un’industria collaudata e standardizzata. Credi che i nuovi scenari imposti dall’emergenza Coronavirus possano far saltare gli equilibri e perché no portare aria nuova nei locali?

Senz’altro niente sarà come prima. In quanto ad aria nuova non saprei, bisogna vedere cosa si potrà e non potrà fare.

Quanto è stata determinante una certa dose di incoscienza per il successo del periodo magico dei club della zona? Oggi è davvero impossibile permettersela?

Ci vuole un po’ di incoscienza per osare e cercare qualcosa di nuovo, le leggi lo permettevano, la riviera era strapiena e funzionava. A andava bene per tutti, si ballava quasi tutti i giorni, inverno o estate che fosse, mattina pomeriggio o sera, come poi è successo in altri luoghi tipo ibiza. Ora non credo sarebbe possibile.

In un’epoca di smaterializzazione totale della musica, accelerata al massimo dallo tsunami di set in streaming dei mesi passati, non trovi che il club sia l’ultima roccaforte della socializzazione fisica? Anche rispetto ai grandi festival dove il pubblico sembra più interessato a far presenzialismo postando storie online. Che ne pensi?

Oggi sono particolarmente pessimista, ma club di quel tipo ne vedo pochi in giro.

Quali erano le caratteristiche che doveva avere un Dj quando hai scoperto che mettere i dischi da semplice passione sarebbe diventato il tuo lavoro principale?

Ah beh in quel periodo, oltre a una buona tecnica di base, la cosa principale, se volevi lavorare in uno della miriade di locali localini e localoni che c’erano in riviera e portare a casa la pagnotta, magari comprarti tutti i dischi che avresti voluto comprarti, e vivere solo di quel lavoro, dovevi saper fare ballare e tenere la pista sennò ciao e grazie!
A volte bisognava tapparsi il naso e suonare l’insuonabile e questa era la gavetta. Poi se si aveva la fortuna e bravura di andare a lavorare in locali fighi, allora lì si te la giocavi sul lato artistico e si tirava fuori tutto il background.

Cosa vuol dire per te fare il DJ? Trovi corretto che i ragazzini partano già con l’idea di ottenere la celebrità attraverso una consolle?

Come dicevo prima, sono partito proprio dal basso e credo che per arrivare da qualche parte ci vuole talento, fortuna e passione, ma soprattutto ci vogliono i locali dove esibirsi.
Credo che per i ragazzi di oggi sia totalmente diverso, a partire dai locali che non ci sono.

Oggi grazie alla tecnologia è possibile avere sempre a disposizione tutta la propria collezione di dischi, eppure la maggior parte dei Dj propone selezioni monotematiche senza mai scostarsi dalla propria micro-nicchia. In Riviera, nella sua golden age, il pubblico impazziva ascoltando ciò che ancora non conosceva, quindi ti chiedo: è il pubblico che si è totalmente impigrito o sono i Dj che non sanno più rischiare?

I Dj bravi lo sanno sempre fare, è che ora che di Dj ce ne sono così tanti i bravi bravi è più difficile ascoltarli, le differenze si assottigliano, la tecnologia ha livellato parecchio, c’è tanta di quella musica a portata di clic.

Come si fa a “leggere la pista”?

Stando in consolle una vita, guardando i volti della gente reagire a qualcosa che hai messo, cogliere piccole sfumature nell’atmosfera del locale: si stanno divertendo le donne? Oppure per esempio ragionando: adesso gli metto questo pezzo che mi aiuta a predisporli emozionalmente per quest’altro brano che tocca il cuore. Ma anche stando in pista per provare le stesse emozioni di un cliente, o quello che si provava da ragazzino andando a ballare.

In quanto pioniere del djing moderno e dell’house music in Italia, il libro della tua carriera conta parecchi capitoli. Ti capita mai di guardarti indietro? Che rapporto hai con la nostalgia?

Mi capita di pensare che siano stati anni fantastici, una “belle epoque” irripetibile ma non sono un nostalgico anzi…

Ci sono dischi che non hai mai tolto dalla borsa?

Ormai di dischi ne porto pochi in giro perché usando l’Hd i miei brani del cuore posso portarmeli sempre quasi tutti.

Qual è il tuo di club ideale? E quello dove in carriera ti sei divertito di più?

Più passa il tempo e più mi manca un club come l’Echoes, che prima era after hour come Vae Victis, un luogo a cui sono visceralmente legato, dove ho passato momenti meravigliosi, musica e Dj spettacolari, un divertimento infinito.

Hai un nome di un artista che ci consigli di tenere d’occhio?

8TT8

Un’ultima domanda: quali anticipazioni ci puoi dare sui tuoi prossimi progetti?

Ho appena finito il remix di Vamos a la playa dei Righeira, un altro paio di remix, uno per Dj Fede su Irma e una mia produzione ancora su Major Undeground; poi vediamo, se non si potrà suonare in giro si produrrà in casa.

Federico Spadavecchia