Il Manifesto dell’EBM: DAF “Alles ist Gut”

Pulsazioni cibernetiche e dualità uomo-macchina nell'amicizia tedesco-americana

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DAF in Cologne, Germany 23 January 1982

I Daf sono stati i demiurghi dell’EBM. L’acronimo significa Deutsche Amerikanische Freundschaft (amicizia tedesco-americana) e le loro origini risiedono nella città di Düsseldorf. Il duo, formato da Robert Görl e Gabi Delgado Lopez (quest’ultimo purtroppo recentemente scomparso), esordisce risale al 1979 col primo album, disco intriso di sperimentazioni elettronico-minimali molto obliquo e laterale, seppur ancora acerbo e alla ricerca di una messa a fuoco sonora.
Dopo un secondo sulla scia del precedente, nel 1981 ecco Alles ist Gut, la release della maturità artistica, dove l’EBM è ormai un fatto compiuto (non a torto considerato come vero e proprio manifesto). Le radici del suono non vanno cercate nella Kosmische Musik tedesca degli anni ’70 più psichedelica e nemmeno nella scena industriale inglese, verso la quale anzi erano in disaccordo sia musicalmente che ideologicamente. Le origini sono nell’asse Kraftwerk-Suicide. Dai “Robots” mutuano le pulsazioni cibernetiche e la dualità uomo-macchina, dagli altri prendono il senso d’oppressione metropolitana e la cultura della giungla urbana. Fondendo queste due influenze, si compie un’operazione chirurgica di scarnificazione minimalista della materia elettronica, sfrondando ogni orpello e ogni fastigio decorativo. E’ la creazione di un nuova sonorità danzereccia e muscolare, dove la fisicità del corpo è il perno su cui tutto ruota; tuttavia essa è né una dimostrazione di machismo né una ricerca di pulizia formale, bensì va intesa come un movimento a carattere marziale (in fede alla migliore tradizione teutonica) e dalla connotazione spasmodica, figlia di uno spleen urbano. Il sound è infatti oscuro e ammantato di nevrosi e la voce di Delgado Lopez riprende l’angoscia di Alan Vega dei Suicide.

SATO-SATO: il brano di apertura. Un oscuro giro di synth ed una voce ora sussurrata ora declamatoria. Isteria covante sotto pelle.

DER MUSSOLINI: La loro hit più famosa: un ballo moderno teatrale di un’umanità di automi. A causa del testo venne affibbiata al duo la nomea di neonazisti, senza comprendere che in realtà vi è una chiave sarcastica: la citazione di Mussolini, Hitler ed anche di Gesù Cristo è un’invettiva iconoclastica ad alcuni simboli verso cui il potere si identifica o che lo stesso usurpa. Vi è un incontro fra la civiltà tecnologica della macchina e il primitivismo dei primordi umani. Trapela anche un certo gusto sadomaso.

ROTE LIPPE: Minimalismo e monologo tremante d’angoscia erotica.

MEIN HERZ MACHT BUM: La nevrosi assume il volto di un disperato lamento pulsante dietro a una freddezza robotica. Un brano eccezionale dove il synth accompagna lo stato d’animo di un Delgado Lopez novello Alan Vega calato in estasi mitteleuropea.

DER RÄUBER UND DER PRINZ: Elettronica scarna a guisa di carillon per una danza burattinesca.

ICH UND DIE WIRKLICHTKEIT: Oscura ed ansiogena alienazione urbana dove Delgado avverte dentro sè il vuoto esistenziale e lo trasferisce in un mondo ipotetico di androidi. Non c’è luce oltre il buio.

ALS WÄR’S DAS LETZE MAL: Umori militareschi e scampoli di melodia meccanica in un momento di apparente relax.

ALLE GEGEN ALLE: Tutti contro tutti. Il nichilismo. Marziale falange oplitica dai toni quasi apocalittici con cantato new-wave da paranoia.

ALLES IST GUT: La title track è un movimento circolare di tastiere con recita in tono di sarcasmo rassegnato come degna conclusione voluta di questa opera.

Marco Fanciulli