Archeologia psichedelica: Ritorno al futuro con la Black Sweat Records

La Black Sweat Records è una delle etichette discografiche fondamentali per la riscoperta di perle sommerse della musica non convenzionale italiana. Abbiamo avuto il piacere di parlarne con Andrea Maria Simoniello

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La Black Sweat Records, insieme ad altre label italiane spuntate come funghi in neanche un decennio, penso alla Four Flies Records, alla Sonor, alla Penny, ha svolto un ammirabile lavoro di archeologia, recuperando di alcune primizie discografiche del nostro passato – mai ristampate o, addirittura, mai date alle stampe.
Ammirabile, in quanto nessuno dei fondatori di queste etichette, principalmente per un discorso anagrafico, fece parte dell’industria musicale italiana dell’epoca.
Abbiamo intervistato Andrea Maria Simoniello, collaboratore dell’etichetta, penna di The New Noise e conduttore per conto di Neu Radio.

Vi siete subito caratterizzati per aver puntato ad avere un catalogo composto anche dalla créme della scena psichedelica e sperimentale, che caratterizzò i nostri ‘70’s. 
Oltre a essere le vostre sonorità predilette, cosa vi ha portato a fare questa scelta? Perché, secondo voi, è importante recuperare, culturalmente parlando, determinati artisti e determinate esperienze? 
Cosa vi evocano, anche se non le avete vissute in prima persona?

Innanzitutto ci terrei a precisare che sono un semplice collaboratore della BSW, per la quale realizzo delle brevi presentazioni delle uscite discografiche. Il vero fondatore e animatore è Davide Domenichini, per tutti Dome, con il quale abbiamo stretto un’importante amicizia non solo in virtù di questa attività. Condividiamo certamente l’amore per certe sonorità tipiche delle frange più originali della musica italiana di quegli anni, musiche contenute in alcuni album che senza le dovute ristampe, in alcuni casi resterebbero accessibili solo a chi può permettersi l’alto costo collezionistico delle stampe originali. In questo senso le due ristampe dei capolavori di Rzewski e List su Opus One credo siano significative. Molte delle musiche proposte da BSW evocano un aspetto di ricerca pioneristica che ancora oggi può influenzare gli artisti più contemporanei.
Se penso a Futuro Antico, come anche ad altre registrazioni uscite solo su tape per la Sound Reporters fondata dai vari Fred Gales, Walter Maioli o Nirhod Fortini, l’impressione è proprio quella di un’avventura agli albori della purezza della suono. Anche se non abbiamo vissuto quegli anni ne può nascere un fecondo dialogo di confronto con quegli stessi protagonisti e la così si fa anche molto divertente.
Con Riccardo Sinigaglia ad esempio ho un ottimo rapporto, mentre una volta con Dome siamo andati a trovare Maioli nel suo covo di Castellamare di Stabia, non posso qui raccontarti bene, ma con Walter è sempre come stare nella nave dei folli, tra pranzi pitagorici, campanellini e sonagli di ogni sorta.

A tuo avviso, quel fermento politico, spirituale e creativo che caratterizzò gli anni settanta in Italia, potrebbe in qualche modo rigenerarsi? Ovviamente viviamo in un momento storico diametralmente opposto a quello che generò, per dire, esperienze come Re Nudo e il festival del parco Lambro, nonostante anche quelli furono anni di “crisi” e disoccupazione alle stelle…

Per quanto mi riguarda sono molto scettico riguardo ciò. Nella società di oggi viviamo in una tale confusione estetica di stili e sensibilità che credo sia quasi impossibile convogliare il tutto verso un fenomeno di controcultura così intenso ed omogeneo come quello del periodo da te citato. Oggi proliferano i generi, le tendenze, ma le esperienze sembrano più spesso vivere separatamente. Io credo fermamente che un tempo uno stesso giovane andava ai concerti della Incredible String Band e dei Fairport Convention, dei Traffic, dei Gong, di Terry Riley, di Pharoah Sanders e Miles Davis, e quelle musiche erano davvero rappresentative di una generazione. Quello che caratterizza di più la condizione giovanile attuale credo sia proprio la mancanza di un medesimo e coagulante substrato filosofico, culturale e spirituale.

Visto che abbiamo parlato di ristampe, oltre a pubblicare i dischi della band di cui Dome è fondatore (gli Al Doum & The Faryds, n.d.r.), come nascono le collaborazioni con altre realtà attive oggi, come Fratto9? Come siete entrati in contatto con Maurizio Abate e con i teutonici Metabolismus e Embryo? Oltre, suppongo, alla comunità di intenti che vi lega a livello attitudinale.

Maurizio e Dome sono legati da una forte amicizia da tanti anni e appunto, come suggerisci, la sensibilità e la comunità d’intenti è la medesima. Nel momento in cui Maurizio, dopo l’esperienza coi Neokarma Jooklo Trio, ha intrapreso la sua ricerca sonora da solista, era abbastanza logico e naturale che potesse pubblicare alcuni dei suoi lavori per la nascente BSW, e credo che sia Loneliness, Desire And Revenge, che il più recente Standing Warters, rispecchiano una delle sue doti espressive più emotivamente coinvolgenti. Virginia e David dei Jooklo conoscevano già il combo freak e folle dei Metabolismus e credo siano stati loro a far da tramite con Dome. Ma se non ricordo male, all’inizio della loro vicenda, gli Al Doum fecero qualche data in Germania e alcuni di loro andarono a trovare Werner Notzel nella sua casa-studio Sumsilobatem a Degenfeld, vicino Stoccarda. Credo da quelle frequentazioni che nacque l’idea di pubblicare A Circle Inside A Square Inside a nome Metabolismus Und Fifty-Fifty. Dome mi ha poi sempre raccontato che Werner ha una collezione di dischi e strumenti musicali “disumana”. Per quanto riguarda il disco degli Embryo fu Riccardo Biondetti degli In Zaire che a Berlino mostrò a Dome una tape che aveva trovato, con alcune registrazioni inedite live della band tedesca del 1976. Nella formazione di quelle incisioni c’era anche Massimo Urbani, oltre agli storici Bunka e Burchard e Dieter Miekautsch.

Quanto è importante per te il contatto con la natura? Vivi sull’appennino tosco emiliano, in una specie di borgo-comune che ricorda tanto gli esperimenti di green economy narrati in “Via dalla città” di Dematteis. La scelta pare stimolante per il tuo percorso spirituale e artistico, mi parlavi di live organizzati a casa tua e di workshop di chitarra in frazioni limitrofe…

Vivo un rapporto quotidiano e meditativo con il bosco, un po’alla Thoreau se vogliamo, che certamente si accorda a molte delle frequenze BSW. Nelle mie passeggiate posso certamente ritrovarmi e riconoscermi in alcune immagini sonore di Ariel Kalma o J.D Emmanuel, di Maurizio Abate e degli Al Doum & The Faryds o, ancora, del solito combo di Futuro Antico e Sound Reporters. Le vibrazioni della natura, solari o oniriche, si accordano anche con la corrente dello psych-folk, che rimane una delle mie più grandi passioni. Tuttavia, non vivo per nulla nel contesto che suggerisci, anzi la mia è quella di una realtà montanara dove è difficile trovare persone sulla tua stessa lunghezza d’onda, con la quale aprirsi ad una comunicazione senza mediazioni. La mia impressione è poi che la natura sia vissuta molto di più in termini di proprietà e possibilità di risorse, che per semplice espansione della coscienza. Con la mia ragazza abbiamo provato a fare alcuni eventi di musica folk e danza indiana, ma con scarsi risultati di pubblico. D’altronde come diceva una volta Dome, in montagna non puoi andare al baretto e parlare di Krautrock; tuttavia qualche personaggio curioso lo si trova, come il chitarrista Roberto Menabò, che è un cultore di John Fahey e del vero blues, animatore di workshop casalinghi.


A metà febbraio scorso Juri Camisasca è passato al Baraccano, per la presentazione del docufilm “Non cercarti fuori”. Non so se lo avete visto, ma gli insegnamenti dell’uomo, quanto hanno fatto effetto su di voi? Come siete riusciti a mettervi in contatto con lui e a uscire con un album incredibile come “Evoluzione interiore” ?

Evoluzione Interiore” nasce dal recupero di una tape d’archivio contenente i nastri della performance di Juri alla famosa rassegna “L’evoluzione interiore dell’uomo”che si svolse al Teatrino della Villa Reale di Monza nel 1978. Organizzatore di quell’evento fu Giordano Casiraghi, con il quale di fatto ci siamo coordinati per la realizzazione del progetto. La registrazione del concerto di Camisasca fu fatta dallo stesso Casiraghi, ma di fatto per la realizzazione del disco abbiamo utilizzato una tape che apparteneva ad Al Aprile, autore insieme a Luca Majer del fondamentale “La Musica Rock-Progressiva Europea”, che secondo me è ancora un insuperato saggio appassionato di critica musicale del decennio magico degli anni ‘70. Di fatto si deve a Gianmaria Aprile di Fratto9, che ha ereditato l’archivio dello zio, la concessione della tape per la realizzazione del master finale. Ho conosciuto Juri allo Zuma dell’anno scorso e mi è sembrata una persona umanamente cordiale e solare. Ci sembrava suggestivo poter riproporre nel festival quell’atmosfera sacra che si respira nel disco, e il momento musicale insieme a Roberto Mazza e Federico Sanesi è stato decisamente intenso. A parte ciò, non sono mai stato attratto totalmente dalla sua vicenda come uomo; solitamente la biografia di un artista m’interessa meno rispetto al beneficio che può derivare dalla sua musica, anche se le cose vanno di pari passo. Non so, penso a Florian Fricke e Peter Michael Hamel, due fari luminosi per me, che non avranno preso i voti benedettini, ma non credo la loro musica e vicenda sia inferiore in termini di spiritualità interiore. Del Juri artista apprezzo alcune canzoni profondissime, mi rapisce nelle collaborazioni come in Prati Bagnati di Messina-Lovisoni e nei dischi di Lino Capra Vaccina, ma non sono un fan dei suoi lavori solisti. Anche un disco storico come La Finestra Dentro, non sono mai riuscito ad amarlo, rispetto al coevo e per me influente Claudio Rocchi.

Parlaci dell’esperienza radiofonica Folk Bottom. 
Cosa significa, per te, fare radio nel 2019 e condividere le tue influenze musicali con chi ti ascolta?

La mia vocazione nel fare radio vive momenti alterni, ti direi a volte anche di disillusione, dato che ormai son così tanti gli altri canali di comunicazione musicale. Mio padre ha vissuto il tempo delle radio libere negli anni Settanta e tuttora conduce un programma in una piccola emittente locale in provincia di Caserta. Di certo, questo retaggio paterno mi spinge ancora a farlo, e con Folk Bottom, dal 2013 al 2016 su Radio Città Del Capo, ora su Neu Radio, cerco di diffondere il verbo del folk psichedelico e delle contaminazioni etniche sperimentali, che per me vogliono dire traduzione in suono della varietà degli elementi naturali puri e dei paesaggi vergini, cardini di una bellezza troppo dimenticata nella società urbana sempre più caotica.

Veniamo al discorso Zuma. Quanto ti ha dato, sino ad ora, quest’esperienza e come viene vissuta e fagocitata, secondo te, dai partecipanti.

Da tre anni a questa parte Zuma è per me un appuntamento imperdibile. Lo vivo innanzitutto come immersione in una dimensione armonica di family allargata. Credo che per definire ciò che accade in quei tre giorni tornano ancora utili e attuali le parole di Claudio Rocchi in Volo Magico n.1: “Mente, cuore, mani, occhi, braccia, bocca, gambe, nome, C’è sempre tempo per cantare il cielo, l’acqua, un corpo, tutti. Poi puoi andare dove vuoi, poi puoi esser come vuoi, Poi puoi stare con chi vuoi, poi puoi prendere o lasciare, poi puoi scegliere di dare”. Quest’anno ho avuto l’onore di aprire le danze con un dj-set in tandem con Dome e Stefano degli Al Doum, abbiamo tirato fuori tutti i nostri Lps feticci: John Mayall, Joe Cocker, Traffic, Gal Costa, Byrds, CSN&Y, Eric Burdon & The Animals, Spirit, Silver Apples, Fairport Convention, Joni Mitchell etc, tutta roba classica insomma, tanto già le selezioni notturne erano zeppe di cose più ricercate. Tra gli artisti di quest’anno ho apprezzato particolarmente il set di Federico Sanesi con Pak Yan Lau e il solo di piano di Giovanni Di Domenico. Fortissimi nel ritmo sono stati i Cucoma Combo e i Maistah Aphrica, i Damily dal Madagascar e i tuareg Tartit. Il set con Riccardo Sinigaglia, il Trio Cavalazzi, Ariel Kalma e Davide Zolli degli Squadra Omega è stato tra i più emozionanti, mentre il connubio arcaico-psichedelico tra i Tenores Di Orgosolo e i light-shows di Hybrida è stato quasi il culmine della festa. Zuma comunque non è solo musica, di certo essa fa da padrone, ma è un lungo viaggio in cui succedono tante altre cose e molte te le perdi. Di base rimane la volontà di ritrovarsi ed esperienzare una forma di benessere collettivo e di fusione interculturale, nel pieno rispetto della Cascina in cui si svolge e nella totale armonia. Per coloro che vivono quotidianamente la caoticità di Milano, entrare nell’aria della Cascina è sicuramente gratificante, e per quanto non scompare la sensazione di essere nell’estrema periferia urbana, la si può vivere come una piccola oasi-magica di pace e serenità.

Ascolti altro oltre agli artisti e alle sonorità menzionate prima? Quali sono le tue passioni, musica esclusa?

Ho avuto la fortuna di crescere nel negozio di dischi che mio padre ha gestito a Sessa Aurunca dal 1979 al 1998. Questo mi ha permesso di ricevere una solida educazione d’ascoltatore e cultore, per poi estendere con solidi basi e in modo disparato la varietà degli interessi sonori, pur non avendo una formazione da musicista. Sono cresciuto con il mito di Crosby e di tutta la West Coast psichedelica, l’amore per Sandy Denny e la Incredible String Band, per i Soft Machine e i Gong. Oltre all’acid folk, i miei orizzonti sonori più amati sono perciò Canterbury,il british progressive degli anni ’70, il jazz-rock europeo e americano e i risvolti più estatici dello spiritual-jazz con una venerazione particolare per Pharoah Sanders. Venero la Germania teutonica dei Popol Vuh e degli Amon Duul e tutto quel filone d’ibridazione naturale tra jazz, folk ed etnica che da maestri come Paul Horn, Paul Winter e Oregon arriva a caratterizzare specialmente il catalogo della Ecm. 
Sono laureato in storia dell’arte, perciò prediligo anche la pittura sacra del ‘400 e del ‘500 europeo, e l’arte psichedelica degli anni Sessanta. Ho un certo legame con le montagne e i paesi del Nord, specialmente i paesaggi scandinavi e le baie misteriose della Bretagna. Adoro autori come Emerson, Whitman, Hemingway e i visionari romantici.

Francesco Augelli