Alla fine ciò che conta è solo la Musica. Parola di Mauro Picotto

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Cinquantadue anni, di cui oltre venticinque passati nelle consolle di tutto il mondo, finalista DMC, 700 produzioni, e 7 milioni di dischi venduti, Mauro Picotto che piaccia o meno, è uno dei pochi esempi di top dj italiani che hanno lasciato un’impronta significativa nella scena elettronica internazionale.

In occasione della serata del 5 gennaio al Cyborg Discoclub di Attigliano, lo abbiamo, sentito telefonicamente per un’intervista a cuore aperto.

Chi è Mauro Picotto?

Mauro Picotto nasce Dj e diventa produttore discografico e poi torna Dj e produttore discografico (n.d.r ride). Mi spiego meglio: prima è nata la passione per la musica, e poi quella per il djing, attività che va detto, ai tempi non era ancora esplosa. Da quel momento poi tutto è venuto da se, ho scoperto le prime macchine, i campionatori e mi venuta voglia di cimentarmi nella produzione di house music, la “musica fatta in casa”. Tutto è nato per puro hobby e solo in seguito si è trasformato in una professione. Sono uno della vecchia leva, vecchio stampo.

Hai iniziato negli anni ’80, vivendo in prima persona una buona parte della storia della musica elettronica; cosa resta in te di questo lungo viaggio? Ci sono influenze che sono diventante parte integrante del tuo background?

Gli anni ’80 sono il periodo della mia adolescenza, quando ho iniziato a uscire e andare ad ascoltare la musica da ballo nelle discoteche. Il fenomeno di allora era quello della musica afro, legata a sonorità tribali ed elettroniche, influenzate da gruppi come Kraftwerk, Tangerine Dream e anche Pink Floyd, tutte band che in quei tempi iniziavano a utilizzare suoni nuovi che non erano quelli degli strumenti classici.
E’ inutile dire che tutto questo mi ha influenzato tantissimo, tanto che ancora oggi quando ci sono delle serate tipo la “Big reunion” del 26 di dicembre a Torino con i dj che ascoltavo da bambino sono tentato di andarci. In quel periodo c’erano artisti come Mozart, Sergio Flash a Torino, Raffaele Giusti. E’ un genere musicale che mi è rimasto dentro.

E Daniele Baldelli?

Sì, anche Baldelli però per me lui è arrivato in una fase successiva, l’ho scoperto dalle cassettine. Ai tempi quando andavo a comprare i jeans usati, nel negozio si potevano acquistare anche le registrazioni della Baia Imperiale e del Cosmic.

Nella tua carriera ti sei misurato con diversi generi, senza disdegnare incursioni anche nel pop, la tua è stata una scelta dettata dal bisogno di esplorare continuamente nuove sonorità o hai anche fatto delle scelte dettate da logiche più commerciali?

Io faccio sempre scelte dettate dalla mia pancia, amo molto cambiare, quando qualcosa per me arriva ad essermi saturo il gusto devo assolutamente andare alla scoperta di qualcos’altro.
Non sono legato ad uno stile musicale in particolare, come non sono mai stato legato a un genere musicale, amo la musica in generale. Può piacermi la techno come la house o la commerciale; ecco magari, con la musica commerciale ho un po’ più difficoltà visto che ovviamente con questo genere ci si stufa velocemente. E’ un po’ come se ti invitassero a una cena e ti servissero solo il dolce; magari se hai fame lo mangi anche volentieri ma se tutta la cena deve essere a basi di dolci ovviamente ci si stufa.

sì ho capito cosa intendi…

Io sono sempre alla ricerca di musica che abbia carattere. Ultimamente per esempio, mi sono un po’ allontanato dalla musica techno perché mi sembra tutta uguale. Un sound fatto solo di loop ed effetti che tra l’altro erano cose che noi facevamo già ai tempi con i dischi. Trovo che i dj siano andati un po’ tutti fuori strada da quel punto di vista. Conosco molti addetti ai lavori che quando ci parli ti dicono: “eh ma io ho fatto la mia versione…” sì la tua versione, peccato però che su quei loop ci mettono sopra un vocal che ne so, di Frankie Goes to Hollywood perché hanno bisogno di far ballare la gente.
Alla fine per me questa è comunque musica tamarra a prescindere da chi l’ha fatta.
A me piacciono quelli che vanno alla ricerca di cose nuove, piuttosto fai commerciale ma cerca almeno di essere innovativo.
Che poi a dirla tutta, non lo fanno perché per loro è un’impresa troppo difficile.

La melodia è sempre stata una costante nelle tue produzioni, è un retaggio culturale italiano o più semplicemente è il frutto del tuo amore per la trance?

Io semplicemente amo la musica che regala delle emozioni, canzoni, tracce anche solo strumentali l’importante è che mi comunichino qualcosa; ovviamente non disdegno neanche certa Techno perché mi da energia, ma come ti ho già detto la musica deve avere carattere, se è solo una cassa o un’altra cosa che non trasmette nulla, la trovo solo noiosa e vado alla ricerca di altro, di qualcosa che io possa ricordare.
Qualche tempo fa, ai tempi dei viaggi quando andavo a suonare o ad ascoltare altri dj, c’erano delle serate dove ascoltativi per tutta la notte la stessa cosa, che fosse la prima o la decima ora. Ora dimmi, cosa potevi ricordarti di una serata del genere?

Effettivamente…

Soprattutto la gente gonfia non ricordava nulla, di sicuro non era la musica per cui andava a ballare.

Le tue produzioni sono tutte figlie “legittime” o esiste anche qualche “figliastra”?

Mah, io direi che i miei lavori sono tutti figli di qualcuno, (n.d.r ride), credo che nulla nasca da zero, secondo me c’è sempre qualche parte del subconscio che interviene.
Magari hai sentito qualcosa e nel rifarla ti viene fuori un’altra cosa, quindi diciamo che alla fine tutti hanno un padre.
Va detto però che magari anche quello che ti ha ispirato molte volte a sua volta è stato ispirato da qualcun altro; alla fine è un cane che si morde la coda. (N.d.r. ride)

Un po’ di tempo fa hai dichiarato che uscire dalla Media Rec ti in qualche modo salvato, continui a pensarla allo stesso modo?

Sì, certo. Quella scelta è stata al 100% la mia fortuna, se fossi rimasto lì ancora un paio di anni penso che sarei dovuto andare a lavorare sul serio. Secondo me, decidere di lasciare perdere quel tipo di attività discografica e dedicarmi a fare il dj e le produzioni per conto mio, è stato come fare bingo. Non a caso il mio periodo più fortunato è stato dal 2002/2003 fino al 2015.

In che rapporti sei rimasto con Bortolotti?

Non ho rapporti con nessuno, perché a quei tempi, nel momento in cui ho deciso di andare via me ne sono andato punto e basta. Successivamente lui mi ha ricontattato nel 2015, avrebbe voluto ritornare a fare il produttore discografico per ritagliarsi un posto importante in America e tutte queste cose qua, megalomani come al solito, ma ho declinato l’invito.
Fare il fenomeno in Europa piuttosto che in America non è mai stato il mio obbiettivo, amo fare il dj e andare a suonare, punto e basta.
Questo tipo di cose non mi interessano più perché ho già fatto tutto quello che volevo, e in più ho messo su famiglia.
Diciamolo, se Bortolotti fosse stato così bravo poteva farcela anche da solo, che poi, se da vent’anni uno non combina più nulla magari dovrebbe farsi qualche domanda, io almeno, bene o male ci sono ancora.

Un buon dj deve strizzare l’occhiolino al pubblico dandogli quello che si aspetta o deve tentare di educarlo per portarlo un po’ alla volta nel proprio territorio?

Sono più d’accordo sulla seconda opzione, però a volte ti ritrovi davanti a un pubblico che è un po’ infatuato e il termine educarli sinceramente trovo sia un po’ pesante; quando dici alla gente voglio educarti ti manda a fanculo!
Magari la parola più adatta è divulgazione.
Utilizzando sempre la metafora del cibo, al pubblico puoi dare degli assaggi; magari sai che a uno piace il pesce ma provi a servirgli anche un po’ di carne, magari rimane soddisfatto e gli si apre un mondo nuovo. Ho visto tante persone che si sono “convertite” a generi musicali che non conoscevano minimamente, e che nemmeno pensavano potessero loro piacere.
A mio avviso in definitiva, la via mezzo è sempre la scelta migliore. Tanti artisti si nascondono dietro un genere perché in realtà non sono in grado di fare altro.
Ci sono dj che conosco da decine di anni che propongono sempre la stessa musica, magari hanno un loro mercato, un pubblico che li segue e che gli volterebbe le spalle in caso di cambiamento o magari chissà più semplicemente, non sono più in grado di proporre altri generi e non hanno la credibilità per farlo.
Durante la mia carriera io ho fatto commerciale, ho fatto, house, trance, techno, adesso invece faccio solo quello che voglio che diciamolo, è la cosa più bella; scelgo addirittura quando e dove andare a suonare, non vado più per lavorare, vado solo per suonare, per mettere i dischi come piace a me; non mi pagano, suono a gratis, mi pagano solo il tempo che perdo per il viaggio. Ora quando suono mi diverto, non è più come una volta quando era un’esigenza.

Per un dj è più importante la selezione o la tecnica?

Secondo me la selezione è alla base di tutto ma la tecnica anche. Se io vado ad ascoltare un dj, famoso, bravo, con dischi pazzeschi, ma poi fa cavalloni tutta la sera, perché è gonfio, ho buttato via i soldi del biglietto. Un grande dj deve avere un po’ di buona tecnica ma soprattutto una grande cultura e selezione musicale.
Se prendiamo gli stessi dischi messi da da due dj diversi, quello che è più bravo è quello che ha il mood giusto, quello che riesce a fare il “predatore dell’umore della gente”, che ti porta nel suo tunnel e ti fa fare un viaggio incredibile. Magari è un po’ borioso dirlo, ma a me è successo in diverse serate di creare quella situazione in cui il pubblico faceva veramente quello che volevo, riuscivo a far ballare alla gente generi che prima di quel momento non conosceva e che mai avrebbe pensato di ballare. Quando capita è un’emozione unica e tra te e te ti dici: “cazzo ho toccato il top!”

E’ quel famoso momento magico, quasi mitologico, che ogni dj insegue…

Porti il pubblico nel tuo tunnel, è li e ne fai quello che vuoi. Ballano e son tutti col mood perfetto, sono nel tuo trip, nel tuo viaggio, è la cosa più bella. Certo c’è da dire che esiste anche il rovescio della medaglia e che a volte sbagli la serata, è la stessa cosa di un calciatore che a volte ti fa cinque gol con cinque magie e altre volte invece non combina niente, si è umani.
Ci sono dj che amo che in certe serate mi hanno fatto letteralmente cagare mentre in altre al contrario hanno suonato così bene che mi sono detto: “cavolo ma perché non suona sempre cosi?”
Alla fine molto dipende dall’umore della persona e da tanti altri fattori. A meno che tu non sia una sorta di dj jukebox che mette sempre la stessa sequenza di dischi.

Mai come in questo momento storico le serate “remember” riescono a fare grandi numeri, paradossalmente anche tra il pubblico più giovane. Cosa sta succedendo? La musica elettronica ha perso la sua carica innovativa? Si può ancora definire il suono del futuro o ha definitivamente subito un processo di normalizzazione?

La realtà è che hanno rotto i coglioni a forza di andare tutti dalla stessa parte, quindi i giovani che non conoscono come è nata certa musica, quando la ascoltano nei dischi vecchi si avvicinano anche a quel genere.
Tu dici che in Italia questo fenomeno è molto accentuato, ma all’estero invece non è mai esistito che un dj suoni solo dischi nuovi o solo dischi vecchi, lì cercano sempre di creare un viaggio. In realtà molti dj fanno i fenomeni ma poi alla fine se vogliono far saltare una pista con tre/quattromila persone guarda caso devono per forza tirare fuori un jolly.
Ti parlo così perché sono dentro questo ambiente da 35 anni e certi artisti li ho visti nascere. Un amico tempo fa mi ha inviato dei video dove per esempio, Charlotte de Witte suonava Taub, un mio vecchio disco prodotto sotto lo pseudonimo di Megamind, e un altro che non ricordo suonava invece Baguette per non parlare di Nina Kraviz che suona le tracce della Bonzai. Molti tirano fuori dischi vecchi perché in realtà sono quelli che fanno ballare di più.
Tutto questo è successo perchè si è andati troppo da una parte, e ora tentano di rientrare un po’ in corsia anche perché, quando vuoi far ballare tanta gente, non puoi limitarti a mettere un loop e un po’ di effetti per tutta la sera. Probabilmente è questo il motivo per cui le sale si sono riempite con le serate remember.
C’è da dire però che anche proporre tutta la sera musica vecchia rompe un po’ i coglioni. Al pubblico bisogna dare le cose giuste; in una buona cena ci vogliono sia gli antipasti, che i primi, i secondi, i dolci e il caffè.

I club stanno attraversando una crisi epocale, sono stati i grandi festival a ucciderli o stiamo assistendo semplicemente a un lento suicidio?

Non vivendo in Italia da molti anni non so dire quale sia la causa, c’è da dire però che i club stanno attraversando un periodo di crisi in tutto il mondo. I cachet dei dj sono molto alti e spesso i locali non riescono a coprire i costi.
Inoltre, quando in un festival pagando un biglietto di 50-60 Euro la gente riesce a sentire una cinquantina di dj importanti, mentre in un club per sentirne uno solo ne spende 30 è ovvio che da questo sistema ne esce danneggiato il club.
Poi c’è da dire che in Italia i club sono stati ammazzati anche da molte altre cose: orari limitati, controlli ecce cc. Ci sono troppe menate intorno ai locali da ballo, troppe restrizioni. Non c’è libertà. La gente alla fine va a Berlino perché può fare festa per tre giorni di fila. Loro possono fare quello che vogliono, noi no. Chiediamoci il perché.

Probabilmente esiste anche un problema politico…

Certo che è un problema politico, ci mettono il paraocchi, fate tutti la stessa cosa, pagate le tasse e non rompete i coglioni.
Poi si va vedere il calcio, quando negli stadi c’è un giro di droga molto più grosso di quello delle discoteche ma in questo caso nessuno dice nulla perché è lo sport nazionale e guai a toccare il calcio agli italiani.

I social network hanno inevitabilmente cambiato il modo di intendere la professione del dj. Nei profili dei dj e aspiranti tali ormai  non si contano più i book fotografici mentre per la musica c’è sempre meno spazio. E’ vero che oggi conta di  più l’immagine della musica?

Personalmente non ho mai seguito troppo questo aspetto, perché arrivo da una generazione dove il web non contava nella riuscita di una carriera. Quando io facevo numeri spaventosi, in particolare dal 2002 al 2009, tanti social non erano ancora nati o comunque non erano ancora esplosi).
Ricordo che ai tempi, i miei vecchi agenti mi dicevano: “non hai Facebook, apriti un profilo”, io però non avevo tempo di stare dietro ai Facebook, volevo solo fare musica, suonare e andare a divertirmi. Io ho vissuto in un periodo dove la gente andava a ballare, non c’era il telefonino.
Oggi invece si è cominciato a dare valore ai social perché ti danno visibilità, e si ha l’impressione che un dj che ha molti like sia più importante di un altro che ne ha di meno. Si sta dando importanza a degli aspetti che secondo me non rappresentano la realtà.

Si può arrivare ad alti livelli senza scendere a compromessi?

Io non ho mai accettato compromessi.
Pensa che ad un certo punto ho rinunciato alla mia quota della Media records perché avevo annusato l’arrivo del fenomeno del digitale. Vedevo i primi dj usare il Final Scratch e nel contempo calavano le vendite dei vinili e mi sono detto: “non posso rimanere in questa barca che rischia di affondare”.
Alla fine ho avuto ragione. Ora non so se l’hanno riaperta, ma alla fine l’etichetta come diceva il buon Gigi D’agostino la puoi mettere sulla scatola di fagioli.

Chi è il miglior dj del mondo?

Il miglior dj del mondo credo sia ancora Sven Vath, che è quello che alla fine mi fa divertire di più, non è noioso e se è in buona serata, è uno che suona i dischi come nascono. E’ un artista che fa molta ricerca.

Dove sta andando Mauro Picotto?

Mah adesso sto andando a cena, (n.d.r ride)! A parte questo, a 40 anni ho detto: “ai 42/43/45 smetto”. Ora ne ho 52 e sto ancora andando a suonare, quindi in realtà non so dove sto andando; diciamo che mi piace seguire la famiglia questo sì, di conseguenza cerco di lavorare non più di 3-4 volte al mese, poi vado in studio una volta ogni due mesi e basta.
Lo faccio perché come dice mia moglie a volte se mi levo dai coglioni faccio anche un favore a casa (n.d.r ride);
La realtà è che sono stato un ragazzo molto fortunato, ho fatto tutto quello che volevo, ho vissuto in pieno il mio sogno e lo sto ancora vivendo. Non so dove sto andando, per ora posso dire soltanto che sto seguendo la mia famiglia.

Samuele Dalle Ave

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