Il 7 settembre rimarrà purtroppo sempre impresso nella mia memoria e penso non solo nella mia: sì, perché il 7 settembre 2018 ha lasciato le sue spoglie mortali un grande uomo: Dmitry Vasilyev.
Non potrò mai dimenticare il momento in cui ho ricevuto quel laconico messaggio in cui mi veniva comunicato da uno di quegli amici comuni che aveva invitato per un breve tour in Russia, che il Mar Nero lo aveva inghiottito per sempre.
Il mondo mi è crollato addosso e una sensazione di enorme pesantezza si è impossessata della bocca dello stomaco.
Dmitry, Dima per gli amici, era fondamentalmente un visionario, un pazzo se volete, ma con un cuore e un’umanità senza eguali: giornalista, produttore, organizzatore di concerti, boss di un’etichetta discografica, scrittore, ma meglio iniziare con ordine. Leggendo qua e là vari strascichi presi da vecchie interviste, racconti ascoltati in prima persona, post fatti da gente che ha voluto testimoniare il proprio dolore per la scomparsa, Dima iniziò ad appassionarsi di musica sperimentale grazie a un amico tranviere che per primo gli permise di duplicare i propri cd.
Siamo agli inizi degli anni ’90 e la Russia, ex Unione Sovietica, è un Paese letteralmente allo sbando: il comunismo è finito ma la gente ancora non sa cosa farsene di tutta quella nuova libertà.
Anche la musica non è di facile fruizione, men che meno quella undeground.
Ma il nostro eroe non demorde: piano piano la musica occidentale prende sempre più piede, incomincia l’era di internet e Dmitry inizia a farsi sempre più spazio. Entra in una piccola fanzine (Iem) che, in poco tempo, diventa un magazine di riferimento nell’ambito della scena elettronica/alternativa/industriale; poi passa in radio dove conduce un programma settimanale che, prendendo spunto dal giornale, inizia a diffondere sonorità non convenzionali.
Fonda quindi un’etichetta, la Monochrome Vision, che gli permette di dare voce a quei gruppi che difficilmente ne avrebbero avuto su label più commerciali o tradizionali. Tra gli altri, produce album di gruppi leggendari quali Sigillum S, Asmus Tietchens, If, Bwana fino ad arrivare al mostro sacro per eccellenza, Maurizio Bianchi.
Inizia parallelamente anche a organizzare concerti su concerti, tour, definendo il suo ruolo cardine per gli anni a venire.
A metà anni 2000 comincia a dedicarsi all’opera più importante della sua vita.
Preparando un numero di Iem sulla musica industriale italiana, si rende subito conto che lo spazio non sarà sufficiente per darne una panoramica esaustiva. Occorreva pubblicare un libro!
Il lavoro, tra correzioni, aggiunte, rivisitazioni, dura oltre dieci anni: nel 2017 Viva Italia vede finalmente la luce, accompagnato da una compilation quadrupla assolutamente imperdibile. Peccato sia disponibile soltanto in Russo. La compilation, invece, colpisce per la selezione accurata, precisa e soprattutto di grandissimo stile.
Viva Italia rimarrà ad imperitura memoria di ciò che probabilmente nessun altro uomo avrebbe mai osato neanche pensare: quasi ottocento (800!!) pagine di storie, aneddoti, interviste, nomi, tutti legati alla musica sperimentale/industriale/elettronica italiana degli ultimi sessanta anni.
Grazie a questo libro, sono riuscito finalmente a conoscere Dmitry, in occasione del doppio giro d’Italia che fece nell’aprile 2017 per presentare il suo tomo. Un’impresa anche questa, per cercare di raggiungere quante più persone da nord a sud e ritorno, per dare un volto a tutta quella gente con cui aveva scambiato milioni di messaggi, entrare in contatto con quell’umanità che finora gli si era presentata solamente sotto forma di supporto.
Dal momento che Milano era una tappa fondamentale, iniziammo a sentirci per fare in modo che potessi ospitarlo a casa mia per qualche giorno. Quando andai a prenderlo alla Stazione Centrale di Milano, mi si presentò davanti un uomo incredibilmente alto e magro, vestito tutto di nero, con un paio di occhiali enormi che trascinava un po’ goffamente un trolley e uno zainetto pesanti oltre l’inverosimile, strapieni di libri. Ebbene quell’uomo m’ispirò una immediata fiducia e, in quel preciso istante, diventammo subito amici.
Seduti attorno al tavolo della cucina, iniziammo una di quelle chiacchierate che so già che mi mancheranno: e tu, Dima, raccontasti di quando lavoravi in un grigio ministero in una mansione tipo ragioniere, coltivando, nei ritagli di tempo, la tua grandissima passione che era la musica e di quando decidesti, con grandi sacrifici, di fare sempre della musica il tuo lavoro, iniziando a coltivare un nuovo hobby che era quello della raccolta dei funghi e di tutti quei doni che il sottobosco poteva offrire. Per tutti i tuoi amici, eri diventato il “King of Mushrooms”, per sottolineare che in qualsiasi cosa tu ti applicassi raggiungevi sempre l’eccellenza. Tutto ciò per svelare che, oltre alla gentilezza e a una bontà davvero uniche, la sua anima era anche caratterizzata da una determinazione e una solidità incrollabili.
“Nessuno può dire di no a Dima” non era solamente un modo di dire.
Per la stesura del libro, c’era bisogno di tanti contenuti, interviste e, si sa, questo ambiente, spesso e volentieri è composto da veri e propri misantropi, gente che non è sempre a proprio agio con il prossimo per cui, capitava che, le prime risposte fossero dei perentori “no!”. Dima però non rinunciava: un “no” lo prendeva come una risposta temporanea, uno stand by magari di sei mesi, un anno, in attesa che l’artista di turno potesse ravvedersi e cambiare idea. Alla fine la spuntava sempre.
Caro amico mio, non so se da dove sei ora hai potuto vedere quante persone hanno voluto sacrificare del tempo personale per renderti omaggio e salutarti un’ultima volta con racconti dalle vostre esperienze personali o prendendo stralci di tue vecchie interviste, o di quella volta quando ti eri messo a raccontare quell’aneddoto su quel concerto, oppure quando correggevi gli stessi artisti su anni di uscita dei loro stessi album o circa le etichette per le quali erano stati prodotti.
Dmitry, dire che ci mancherai è poco: il tuo incommensurabile impegno non andrà sprecato.
Hai unito persone, hai creato possibilità, hai dato a molti artisti una dimensione internazionale, hai spiazzato tutto con la tua sincerità e intelligenza, e quella purezza d’animo che erano solo tue. Tu che avevi questo atteggiamento sempre positivo nei confronti della vita, che hai cambiato la tua di vita per cambiare un pochino anche le nostre o almeno di chi ha avuto l’immenso piacere di conoscerti, tu che hai dimostrato che nulla è impossibile, anche scrivere un libro che comprendesse (quasi) tutto lo scibile relativo alla scena sperimentale italiana. Ebbene a te noi tutti vorremmo poter dimostrare che quanto hai fatto non sarà vano e che magari un giorno, il tuo bellissimo tomo sarà tradotto almeno in inglese per poter rimediare a quell’immenso vuoto che hai lasciato dietro di te.
Addio amico, ci ritroveremo sugli anelli di Saturno a raccogliere funghi spaziali , come diceva il buon Paolo Bandera, per preparare un risotto interstellare.
Carmine Pizzuti
*Carmine Pizzuti è uno dei più importanti promoter industrial e non convenzionali di Milano, cointestatario del marchio Alterazioni Sonore insieme a Giovanni Maffeis, Matteo Saltalamacchia, Yann Antimoine e Francesco “Yasu” Pezzoli.