E una cassa prende vita sotto i miei occhi e ingoia un ballerino in un solo boccone, animata dai bassi della techno di Claudio Rocchetti…ah no, sto sognando, in un agitato dormiveglia nel prato dove ho posato il mio sacco a pelo – sembrava un posto tranquillo, sono stato mal consigliato da qualcuno secondo cui Rocchetti avrebbe fatto “un set molto ambient, quasi uno sleeping concert”. Invece, manate in faccia.
La seconda edizione del festival che si incrocia con la Festa della Repubblica sembra presentare la propria versione utopica di repubblica, i cui ministri come nelle migliori tradizioni non sono stati votati dal popolo. Si paga una modica tassa di soggiorno e si ottiene la cittadinanza; ogni corrente politica, dal punk all’elettronica, dalla psichedelia al free jazz ha la possibilità di esprimere il proprio pensiero visto che i governi durano in media un’ora (qualcuno arriva all’ora e un quarto per acclamazione popolare). Nonostante le ideologie spesso agli antipodi, tutte le formazioni hanno in comune punti nevralgici del programma, come l’abolizione delle forze dell’ordine, del reato di vagabondaggio e delle odiose limitazioni ai volumi (curiosamente non se ne è sentita la mancanza); al tempo stesso gli elettori sembrano abbastanza maturi da poter passare dalle istanze del noise a quelle della new age senza scatenare tumulti di piazza, mentre la questione dei musicisti migranti che ci porterebbero via il lavoro e l’identità, sollevata da altre rassegne noiosamente autarchiche, viene messa a tacere dagli applausi.
Una descrizione metaforica per cercare di raccontare come nei tre giorni del festival la Cascina Sant’Ambrogio sia stata gioiosamente governata senza intoppi e senza proibizioni, con un’unità di intenti fra pubblico e organizzatori quasi subliminale, oserei dire. Certo, si potrebbe obiettare che il pubblico di un festival come Zuma faccia tutto parte dello stesso insieme, della stessa social bubble, ma allora consideriamolo come una festa di partito, un partito ecumenico, cha fa proselitismo con la naturalezza di un’ottima ricetta regionale, favorevole a certe larghe intese ma compatto sulle questioni fondamentali. Ci piace divertirci con performance stralunate come quella del’Uomo Uccello, ma anche meditare in silenzio con Juri Camisasca e fare gli scalmanati con i Downtown Boys, spingerci su un cornicione da incubo con Pilia & Pupillo ma anche vagare per il variopinto mercato degli Addict Ameba.
Lo Zuma di quest’anno ha calcato la propria impronta per sottolineare uno spirito di festa, che va oltre una semplice line up di nomi che spesso, una volta visti, si dimenticano in fretta. Resta una linea stilistica che – a mio parere – è destinata a durare nel tempo, basandosi su un intelligente eclettismo lontano da certi annunci sensazionali buoni per battere il record di velocità del sold out (poi non ci sono abbastanza cessi), e che potrebbe essere messa in pericolo solo da cavilli e lungaggini burocratiche. Just stay underground.
Andrea Cazzani