Frequencies Podcast #27: Nihon no Toshi

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Claudio Mate non è il classico addetto ai lavori del clubbing. E’ piuttosto un avventuriero ricco d’inventiva, sempre pronto a viaggiare da un capo all’altro del mondo inseguendo soltanto quello che gli dice l’istinto. La nostra doveva essere una breve intervista per introdurre il podcast in esclusiva per FrequenciesNihon no Toshi, il suo ultimo progetto a base di rarità giapponesi anni ’80, ma fin da subito si è trasformata in un romanzo roccambolesco e avvincente, che parte dalla Campania e gira tutto il globo: dalle collaborazioni con alcuni nomi storici dell’house italiana a contare i soldi con Armin Van Buuren a ritmi frenetici, e quindi decidere di mandare al diavolo tutto perchè in fondo era giusto così. Ma adesso via verso il Sol Levante!

Konnichiwa Claudio-san! Irashiaimase! Ti va di iniziare raccontandoci qualcosa di te? Quando è iniziata la tua carriera?

Konnichi wa Minna-san ogenki desu ka? Per rispondere subito alla vostra domanda quest’anno correrà il ventennale della mia carriera, venti anni dal momento in cui ho intrapreso questo percorso in modo professionale se così si può dire, letteralmente lost in music (quando ho iniziato definire la musica elettronica una professione era roba da eretici).
Dal ’93, ’94 in poi mi avvicinai alla club culture grazie a mia sorella, ascoltando le prime cassette di party house e techno presi familiarità con un certo tipo di suono, fino a quando nel ’96 ottenni i primi giradischi per Dj. Il passo successivo fu suonare nelle prime feste organizzate a scuola o nei nostri amati garage bunker (tipo quello che ha dato vita alla label Last Drop di Roberto Bosco e Kiny che appunto in quegli anni diede vita a tanti afterhour). Insomma ero il classico bedroom Dj che ogni tanto rischiava il linciaggio pure dagli amici più stretti, tentando di suonare Pink Floyd, Iron Maiden e anime soundtrack affianco a tracce house o techno. Guadagnavo i primi soldi come Dj, ma soprattutto spacciando vinili. La base dei rifornimenti era Londra e qualche cittadina nei dintorni che per chissà quale oscuro motivo mi stimolava la curiosità. Senza quasi rendermene conto ero passato dal vendere un paio di dischi agli amici a rifornire negozi specializzati, svolgendo quel ruolo di contatto e condivisione di idee tra gli addetti ai lavori che oggi è affidato ai social network. Intorno al 2002 mi fu offerto di lavorare dapprima con i Mas Collective (Sandro Russo e Andrea Arcangeli) e in un secondo momento con Stefano Greppi per le loro rispettive label Mo-do Records e Screen Recordings, come A&R in una e come A&R/Label Manager nell’altra. In quel periodo l’talia era influenzata parecchio dal sound inglese, una ventata proggy con ammicamenti Pop e trance, portato avanti da Sasha, Digweed, Deep Dish, James Holden (che l’anno successivo coniò il termine neo trance), Danny Tenaglia. Nuovo e alternativo al classico suono americano e pure alla techno europea. Girando molto con i MasStefano Greppi mettemmo le tende a Londra, dove Screen recordings divenne una Ltd a tutti gli effetti.

Sappiamo che hai girato il mondo, frequentando scene molto diverse, trovandoti un giorno con Armin Van Buuren e un altro affianco ai mostri sacri di Detroit per poi essere catapultato in sud America. Ci aiuti a fare ordine sui timbri del tuo passaporto?

L’estate del 2004 segnò la svolta: durante una festa avevo lasciato alcuni CD promo ad Armin Van Buuren, e in mezzo a tanto materiale c’era una traccia finita due giorni prima in home studio da me e Andrea Cassino (oggi trasferitosi in Argentina nella crew di Hernan Cattaneo (e già protagonista di un Frequencies Podcast n.d.r.)). Il giorno dopo ci arrivò un’email dello stesso Armin in cui ci chiedeva di firmare con Armada. Le porte del paradiso discografico si erano magicamente aperte: contratti con major, diritti, insomma tanti soldi!!
Il problema era che non riuscivo a sentirmi a mio agio, quindi dopo un pò di uscite su etichette come Global Underground rinunciai a ulteriori compromessi, reinterpretando alla mia maniera le influenze ricevute da quello che ascoltavo, suonavo e collezionavo sin da ragazzino. Parlo della club culture made in Napoli degli anni ’90 quando si ascoltavano mostri sacri del calibro di Francois K, Joe Claussell,Vega, Frankie Knuckles, Marco Carola, Jeff Mills, Derrick May, Dave Clarke, Laurent Garnier, Sven Vath. Certo rinunciare di punto in bianco alla vita facile appena conquistata non è stato semplice, specie ragionando sulle esigue possibilità di bissare il successo in un Paese costantemente vittima di ogni trend seppur momentaneo.
Era il 2005 e la degenerazione minimal aveva infestato ogni locale e label. Proporre Detroit, techno dub, noise, drones, ambient o  altre sfumature di techno o house music era come tentare di convincere il Papa dell’esistenza degli UFO! L’unico aspetto positivo è stato poter consolidare sempre di più il mio gusto, ricavandone un’impronta veramente personale. Senza dimenticare l’apporto ricevuto anche dalla creazione di Flying Donkey Music, intorno al 2009, insieme a Roberto Bosco e Orlando Longobardi (mente dell’Unibeat Festival). Per come si eran messe le cose non ebbi difficoltà a prendere un’altra decisione radicale: un po’ per amore, un po’ per il piacere della sfida, mi sono trasferito in Argentina, dividendomi tra Buenos Aires e Montevideo. Grazie soprattutto al mio fratello più piccolo Federico Luchetti (cantante e Dj producer) e  a tutta la mia famiglia argentina ora sono quasi sette anni che mi divido tra l’italia e il Sud America .

Oggi, dopo un lungo percorso sei arrivato in Giappone, o meglio ne hai fatto arrivare in Italia un lato ancora inedito. Come nasce la tua passione per questo Paese?

Solo alcuni amici più intimi conoscono questa mia passione per il Sol Levante. Posso tranquillamente definirmi un Otaku. La piega che sta prendendo la mia vita é la vendetta di un Otaku o la ribalta di un Hikikomori!
Fin dai primissimi ’90 mi piaceva comprare le colonne sonore degli anime (guai a chiamarli cartoni animati!) e dei videogiochi. Viste le follie che facevo per ampliare la collezione, la mia famiglia pensava non stessi bene o non fossi normale, per non dire che passavo la maggior parte del tempo chiuso in una stanza giocando e cantando in Giapponese!!!
Lo scopo che mi sono prefissato, e che inseguo con la massima determinazione, è mostrare al mondo l’idea che ho della musica che mi ha influenzato più di qualsiasi altra cosa. Un esempio di quello che sto dicendo lo potete ascoltare in Heart Of Madness, pezzo edito dalla leggendaria A.R.T. di Kirk Degiorgio, che altro non era che un piccolo tributo alla famosa band new wave nipponica Kodomo Band, che negli anni ’80 divenne famosa per aver contribuito alla colonne sonora di Hokuto No Ken. Non ho ereditato collezioni di dischi da genitori o altri parenti, il mio background musicale l’ho costruito passando giorni interi in qualsiasi tipo di magazzino di dischi, che per tutti noi erano dei veri salotti e centri di condivisione di idee e conoscenze. In definitiva la mia é una scelta dettata dal rispetto che nutro per il Giappone, che forse mi ha regalato i momenti più spensierati della vita. Ogni tanto bisogna fermarsi e guardarsi indietro per andare avanti; Nihon no Toshi é stato il frutto di tutto questo.

Come sei venuto in contatto con la new wave nipponica e perché pensi sia interessante riscoprirla?

Essendo un figlio degli anni 80 la new wave dark dal tocco giapponese é il sound con cui trovo maggiore affinità, e che mi piacerebbe divulgare il più possibile. Il Giappone non é solo samurai, templi, sushi, videogiochi o anime, ci sono tantissime storie da raccontare. Gli anni ’80 sono tornati di moda grazie a serie televisive come Stranger Things o a generi musicali tipo synth wave o EBM, eppure si ignorano i protagonisti dell’epoca di una terra che ha dato un contributo tecnico fondamentale all’intera musica contemporanea, anche se ora qualcosa inizia a essere reperibile pure qui in occidente.

Quali sono le differenze principali che hai riscontrato tra la scena del Sol Levante e quella europea?

I Giapponesi ancora oggi hanno un modo tutto loro di promuovere la musica, unico, specie a livello indipendente, quasi a rispecchiare il forte senso conservatore che gli è tipico. Basti pensare che ancora oggi si stampano edizioni speciali per il mercato nipponico. Quanto al suono in sé è veramente unico: conosciuto come Oto, può sembrare che vada dal demenziale al profondo, ma in ogni caso mantiene sempre una signorile eleganza.

Come sei riuscito a metterti in contatto con gli artisti locali e come hanno reagito quando hai chiesto di poter pubblicare la loro musica dall’altra parte del mondo?

Nihon no Toshi è nato esattamente per questo fine divulgativo. Circa un paio di anni fa discutendo con un caro amico giapponese, anche lui Otaku, gli feci ascoltare per la prima volta i Kodomo Band. Cavolo se nemmeno un appassionato giappo non li conosceva allora si poteva tirare fuori qualcosa di interessante sul serio!
Col passare del tempo piano piano ho pensato di sviluppare questo progetto in forma di djset esclusivamente composti da nippon Ongaku, da poter ascoltare magari davanti a un buon piatto di ramen oppure, perchè no, nel circuito dei club e degli eventi di musica elettronica non convenzionale europei. Il passo successivo sarà portare quegli stessi musicisti in studio.

La prima uscita di questa serie su Dub-ito (label gestita insieme a Francesco Mazzocco) è a nome di Soloist & Second Apartment. Cosa ci puoi raccontare di questo progetto? Com’è stato accolto dal pubblico occidentale?

L’incontro con Soloist & Second Apartment  è avvenuto per caso: ascoltavo la nuova opera di Riki Hata San, che come solista aveva appena lanciato il progetto Soloist Apartment su Istant Tunes, e mi è venuta la voglia di contattarlo immediatamente. Conoscevo anche i suoi lavori passati come The Warm più sulla scia post punk, esattamente quello che cercavo! In un primo momento non ho ricevuto risposta per una semplice difficoltà di comunicazione: poco Inglese e troppi Kanji! Ma in seguito per merito di Adam Gynes, da poco entrato nel gruppo formando così Soloist & Second Apartment, la mia idea é stata accolta con molta gioia.
Tenete conto che fino ad a quel momento avevano realizzato solo promo venduto durante i concerti e un singolo 7″ disponibile solo per il mercato nipponico. Attualmente stiamo ricevendo pieno supporto e interesse da gente come Howard Williams, conosciuto come Japan Blues, Josh Cheon, boss di Dark Entries, Otto Krannen di Bordello a Parigi, Lerato Lakuti, ma anche da parte di mostri sacri come Dj Hell, radio inglesi come NTS e Netil Radio, e dagli amici italiani come Violet Poison (di cui abbiamo ristampato su vinile Voices from The Hell prodotto su cassetta da Dominick Fernow su Hospital Production), Filippo Zenna (un caro amico per non dire fratello e psicologo alle volte), tutta la crew napoletana di Periodica Records, i miei grandi hermanosRoberto Bosco e Kiny di Last Drop Records che, oltre a supportare da subito questa idea, hanno lanciato un progetto dal sapore spirituale nipponico intitolato Ichinen, improntato su sonorità visionarie e ambient.

Ci puoi anticipare qualcosa sulle prossime uscite in programma?

Il prossimo step di Nihon no Toshi sarà il mio primo mixtape per una delle label gestite da Davide Pestillo aka Alter D, giovane Dj producer pugliese che sta facendo tante cose molte interessanti, con un gusto davvero raffinato. Quanto a Dub-ito direi che sta arrivando una vera e propria ciliegina sulla torta! Per primavera, tempi tecnici permettendo, dovremmo essere fuori producendo il primo vinile di sempre (dopo oltre trent’anni di onorata carriera) di Wolfgang Reffert, meglio conosciuto come Dark Star; gli appassionati di industrial, ebm, noise si sfregheranno le mani!!
L’album é un “essential selection ” di tracce fatte tra il 1988 e il 1990, scelte da me e Francesco.
In estate poi finalmente vedrà vita la mia nuova etichetta, Ottagono Design Of Music, in cui lavorerà anche mia sorella Vala col suo vintage shop Ottagono Retro. Suoni retrò e oggetti vintage si uniranno proponendo rarità, anche in questo caso specialmente dal Giappone. La prima uscita vedrà protagonista il padrino dello space kosmik rock del Sol Levante Zen Oikawa, dalla spiritualissima città di Ise. Fatta eccezione per alcuni flexi demo disc nel 1982-1983 non ha mai stampato un disco, e a noi regalerà un tesoro di inediti!!

C’è un disco su cui avresti voluto mettere le mani sopra a tutti i costi?

La mia wantlist é lunga! Tuttavia mi ritengo un fortunato per aver messo le mani su alcune perle di assoluta bellezza e rarità, ad esempio recentemente dopo anni sono riuscito a trovare a prezzo stracciato Imagination Exchange di Masumi Hara; all’estero aveva costi elevati ma incredibilmente sono riuscito a trovarne una copia in Italia, sono sicuro che nessuno avrebbe comprato qualcosa del genere per questo il prezzo é stato più accessibile eheh. Mentre nel caso dell’album di Manual Teabag, dalla quotazione esagerata, sono riuscito a metterci le mani sopra soltanto grazie ai miei canali nipponici dopo un anno! La mia idea é ristampare, o stampare per la prima volta in un nuovo formato, tutte le rarità che riuscirò a raccogliere. Ed ecco spiegata anche la mission di Ottagono Design Of Music.

Parlaci del mixtape che hai compilato in esclusiva per Frequencies, cosa ci dobbiamo aspettare?

Il mixtape di Nihon no Toshi realizzato per Frequencies è il risultato di una combinazione di rari 7″, alcune delle quali sconosciute anche alla community di Discogs. Chiudete gli occhi ascoltando la musica, immaginate di essere in Giappone durante gli anni ’80’. Partite per un viaggio spirituale nel Kansai, tra Kyoto e Osaka, magari immergetevi nelle acque di Okinawa e, perché no, fate un balzo in Hokkaido, per poi finire trascorrendo una notte infuocata nella Tokyo più sotterranea, sotto la luce  del  suo lato oscuro.

Federico Spadavecchia

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