Forms Of Hands ’17: In & Out

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Il Forms Of Hands è un festival che presenta i migliori show dell’etichetta tedesca Hands Productions. Nasce nel 2001 e si tiene ogni anno in Germania. Anche stavolta, precisamente il 28 e 29 aprile, è stato organizzato nella cittadina di Bonen, nel Nordreno-Vestfalia con capoluogo Düsseldorf, che lo ha ospitato a partire dal 2012.

La simbiosi tra location e label

Il Förderturm è un gioiello architettonico, un edificio storico industriale degli anni venti. E’ diventato uno spazio social culturale adattato anche per eventi musicali. E’ il posto giusto per la tipologia di kermesse che è il FOH.
Dotato di una torre a chiocciola, – Königsborn III/IV con un’altezza di 68 metri ideata dal celebre Alfred Fischer, è avvolto da un’atmosfera speciale e singolare.
La struttura era funzionale alla miniera di carbone, infatti è da considerarsi un pilastro di tecnologia mineraria.
Venivano prodotte nei primi anni di attivitàdiverse migliaia di tonnellate di sale, oltre all’estrazione di carbon fossile. L’aspetto materico diventa preponderante.
Attualmente l’accesso è ancora protetto da una cancellata metallica che è tanto emblematica quanto terrificante. Sembra evocare i peggiori fantasmi degli eventi passati in questa nazione. Se l’accostamento ad Auschwitz è immediato, il simbolo dei due martelli incrociati richiama il socialismo, la sua esaltazione del lavoro e di tale modello produttivo.
Durante le guerre mondiali servì forse come crematorio e ci fermiamo qui.
Al suo interno la sala dove si tengono le performance è opportunamente sonorizzata e “l’impianto” è stato tarato per essere all’altezza della sua funzione. Immaginate un mitreo come se fosse concepito da un esperto capo minatore bolscevico. La Hands capitanata da Udo Wiessmann dei Winterkälte, pubblica musica elettronica dal 1990. I generi trattati si estendono oltre al core business del rhythm’n’noise, nelle aree dell’IDM, drum & bass, breakcore, industrial techno e dark ambient. Ora è possibile ben comprendere il sodalizio tra le due realtà.

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I luoghi e l’ambiente circostanti il festival

Bonen ma anche Kamen, Unna ed Hamm distano a pochi km dall’evento. Per chi viene dalla metropoli, queste appaiono come paesi con i propri centri storici circondati da edifici bassi, i luoghi di culto ed il municipio a breve distanza nonché la presenza della fermata della stazione ferroviaria. Si respira un’aria di campagna, sopratutto quando si imboccano a piedi le stradine secondarie adiacenti al cuore cittadino immerse nel verde dei prati, ed è possibile ancora degustare i piatti tipici di quelle zone nelle trattorie o nei ristoranti.
E’ bello ammirare lo stupore degli abitanti non abituati a ricevere un pubblico festivaliero e vacanziero. Nonostante la presenza di centri commerciali e l’arteria stradale 2, talvolta sembra di essere ritornati indietro nel tempo come se si vivessero i primi anni ’80.

Le seguenti performance

Il venerdi: MONO NO AWARE e WINTERKÄLTE.

Leif Künzel dal vivo esprime tutta la sua immensa capacità tecnica. Suona davvero tutto ciò che è stato montato sul palco. L’impegno è un elemento costante per tutto il set. Il sostantivo che meglio descrive ciò che abbiamo assistito è fisicità sia come presenza corporea sia sonora. Siamo avvolti da un vortice di ritmi tenaci e dal rumore della fabbrica come costante sottofondo.
I secondi intervengono come ultima band e giocano in casa. Un’ora e quarantacinque minuti compreso il bis dove partecipiamo al risveglio di un leviatano sonoro che si manifesta attraverso i suoi potenti latrati noise, muovendosi con cadenza ritmica da marcia militare o da locomotiva a vapore, non lasciando alcuna speranza acustica a chiunque gli si contrapponga. Radioterapia musicale invasiva ovvero harsh rhythm’n’noise.

Il sabato: GREYHOUND e ORPHX

Dalla bocca di molti artisti fuoriesce la presunzione di essere ormai profondi conoscitori delle sonorità techno industriali, quando al contrario coloro che sanno padroneggiare tale binomio sonico si contano sulle dita della mano offesa di capitan Uncino. Il duo canadese Orphx propone dal vivo la sua ultima release sulla lunga distanza, Pitch Black Mirror, mostrandoci il raggiungimento dello zenit di questo genere ibridato.
E’ proprio l’opportuna combinazione tra il suono propulsivo della musica nata a Detroit con le espressioni dure e abrasive dell’industrial che ci ha fatto ballare ininterrottamente per molto più di un’ora e mezza. Gli Orphx fanno la differenza poiché dal lato tecnico combinano abilmente software con sintetizzatori modulari e altro hardware, mentre a livello di pensiero filosofico astratto si interroga sulla spiritualità umana in relazione alle politiche di controllo sociale, nonché sul concetto di futuro e delle sue conseguenze sull’essere umano contemporaneo.
Lo show di Greyhound ha preceduto quello della coppia québécois. Viene scandagliata la gamma sonora del rhythm’n’noise, dall’approcio più basico fino agli estremi e delle spigolature. Affascinato dal 4/4 techno, cerca lo scambio osmotico. Tuttavia, col senno di poi, non riesce a tenere il confronto con gli Orphx, aggiudicandosi solamente il titolo di secondo miglior live giornaliero.

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OUT:

La logistica per arrivare al festival

E’ vero che due aeroporti di voli low cost come Bonn e Koln non sono pochi, è vero che la rete ferroviaria tedesca di norma è efficiente ed esistono i collegamenti con Bonen, tuttavia giunti sul luogo non è affatto facile raggiungere l’hotel scelto per il proprio soggiorno. Non essendo una meta turistica, la cittadina dispone di pochissimi alberghi e tutti molto lontani dal centro e mal collegato con i mezzi pubblici. Non solo, ma data la bassa disponibilità dei posti letto, si è costretti a dover rivolgersi alle strutture di città distanti anche 15/20 km.
Si può dormire presso il residence convenzionato col festival dal quale fa la spola lo shuttle bus organizzato nei due giorni della kermesse, però è situato nella zona dei centri commerciali di Bonen, e le persone di fatto rimangono limitate nel movimento e sono costrette a consumare i pasti o presso il ristorante dello stesso, o nelle catene di fast food limitrofe. Infine la navetta del FOH ha orari contingentati vincolando il pubblico che deve scegliere tra perdere la corsa o la parte finale dell’evento (nel nostro caso la migliore in entrambe le giornate). Noi abbiamo noleggiato un’auto in aeroporto. Tuttavia se si viaggia da soli e si opta per questa soluzione, i costi rischiano di diventare eccessivi.

La progressione qualitativa delle esibizioni

In entrambi i giorni del weekend, apertura porte fissata alle 18.00, incipit alle 19.00 e fine verso le 3.00.
Abbiamo riscontrato che in linea generale vi è stata una progressione qualitativa importante nel tempo, salvo il caso di Tomohiko Sagae, dei vari act proposti. Non solo ma anche la scelta -intenzionale? – di lasciare la crème alla fine di ogni serata ha rischiato di risultare un’arma a doppio taglio. Il partecipante conscio di tale meccanismo è portato a arrivare sempre più tardi, perdendosi magari l’occasione di ascoltare musicisti a lui sconosciuti o nuovi nella scena per scoprire “perle nascoste”. In aggiunta, chi è salito per primo sul palco è stato danneggiato dall’aver suonato davanti ad uno scarso seguito rispetto le sue aspettative, opportunità quindi persa di poter far conoscere e far veicolare la propria musica.

Simone KK Deambrogi

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