I grandi festival di musica elettronica sono considerati in molti paesi degli importanti attori economici. In Italia, invece, questo tipo di iniziative stentano a prendere piede per diverse ragioni (la burocrazia sì certo, ma anche il pubblico generalista troppo suscettibile ai cambi di moda e la mancanza di investimenti pesanti). Come avrete capito non stiamo parlando di manifestazioni a prevalente carattere culturale, ma di eventi globali come quelli olandesi che possano offrire una sana giornata di techno intrattenimento. E’ possibile che da noi non ci sia spazio per un Awakenings?
Per questa ragione abbiamo partecipato al sabato del Kappa Futur Festival, e queste sono state le nostre impressioni.
Dal punto di vista organizzativo, l’unico disagio patito è stato l’ingresso. Ovvio, fare entrare migliaia di persone richiede il suo tempo (senza dire dei controlli ormai obbligatori), ma si è formata la calca prima dei cancelli e, colpa anche del caldo, ci sono stati momenti caotici. Appena varcate le soglie (con annessa polizia e cani), le cose sono migliorate molto.
Anche i bar hanno avuto la vita difficile con tutte quelle persone assetate, ma in loro soccorso è stata introdotta una card, acquistabile in determinati stand, dove poter caricare soldi da utilizzare nei vari punti di ristoro o per acquistare merchandising.
Anche se a un primo impatto può sembrare una rogna mica da ridere dover fare due file per poter consumare, in realtà togliere ai barman l’onere di dover star dietro ai resti ha fatto sì che si creassero meno disagi, pollici in alto quindi, nonostante talvolta si sia dovuto aspettare anche venti minuti prima di riuscire a conquistare una bibita.
La logistica delle sale, Jager, Burn e Dora, è stata ben coordinata: uno spazio ampio con impianti audio di buon livello senza accavallamenti di suono, bagni chimici al centro di questo ipotetico triangolo.
Il pubblico è giovane e ci sono molti stranieri, cosa molto positiva in generale per l’Italia. A proposito degli avventori, vi raccontiamo un aneddoto perfetto per capire chi sono i nuovi raver e quali esigenze abbiano: alla domanda se fosse venuto per Carl Cox o Sasha & Digweed, un ragazzo inglese ci ha risposto: “Per nessuno di loro! Solo per divertirmi, il mio Dj preferito è Marco Carola”.
Appena messo piede in main room (Jager) spinge i dischi Fatboy Slim, che riesce a tener bene la pista, succedendo al padrino Carl Cox, ma non abbiamo tempo per sostare perchè siamo incuriositi da uno dei fenomeni del momento: The Black Madonna in sala Burn.
La ragazza mette da subito in mostra le sue radici di Chicago, suonando house music impreziosita da inserti techno e breakbeat, molto coinvolgente.
Una maggiore fluidità nel passaggio fra i vari generi la porterebbe a un livello veramente alto.
Dopo un’oretta è il turno di Kolsch, sempre in sala Burn, che propone un set dei suoi, carico e melodico, sfoggiando una chicca come Hardfloor Acperience.
Da rivedere il mix dei volumi e alcuni passaggi sono un po’ confusionali, ma nel complesso ha fatto la sua parte.
Tocca poi a The Martinez Brothers b2b Seth Troxler, che continuano a mettere su lo stesso loop da anni, far ballare non è tutto. Le solite pause vocali che ripartono col medesimo basso spezzato da Troxler con suoni più mentali.
Ritorniamo alla sala Jager dove Ilario Alicante martella a più non posso, con la sensibilità dei vicini di casa che fanno i lavori di ristrutturazione al mattino presto. In una parola: noioso. Per fortuna in Dora stage ci sono i Master at Work: groove e classe infinita.
Arriva il momento della star serale di questo Futur Fest, Nina Kraviz. Messi da parte balletti stravaganti, offre un set molto carico, un continuo crescendo, suoni acid, qualche hit del passato techno/trance e una buona tecnica. Peccato che dopo un’oretta però, l’andazzo sia sempre quello, scadendo nella monotonia, ma dalla reazione della folla la regina di questo festival è lei.
Alle 22, è il momento del gran finale: il b2b fra Sasha & Digweed.
Qualche secondo di silenzio e via con l’intro, è la loro classica partenza melodica che sfocia in una ripartenza secca dai ritmi sostenuti. Fin da subito però è evidente che il volume sia stato abbassato (questione di orari?), ma a farne le spese è l’impatto emotivo, che risulta minore rispetto al set precedente.
La selezione in ogni caso ne guadagna in qualità, pur tuttavia sembrando il continuo del set di Nina. Techno, pochissime melodie e trip mentali. Non ci si aspettava di certo un set anni 2000, ma nemmeno uno così ordinario.
I fan di lunga data sanno che da tempo hanno abbandonato la prog (al di fuori dei party organizzati da loro stessi N.d.r.) che tanto li ha fatti amare, ma si immaginava comunque qualcosa di più consono. Probabilmente un festival non è la dimensione giusta per certe sonorità, visto che Digweed all’afterparty organizzato da Genau al Bunker ha fatto faville.
A mezzanotte si spegne tutto. Guardando le facce della gente troviamo tanti sorrisi, forse un poco meno su quelle dei più adulti, ma l’esperienza va detto essere stata divertente. Si deve migliorare ancora, magari implementando le line up con nomi meno commerciali ad accompagnare i big, perfezionare bar e ingresso, ma per il resto nessuna brutta situazione e gente molto easy. Il Futur(o) è a portata di mano.
Omar Abdel Karim