Club To Club ’16: Un venerdì notte a Torino

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Disclaimer: di Club to Club quest’anno ho visto solo la serata del venerdì al Lingotto, quindi le mie impressioni non potranno che essere parziali e detestabili.

Già si nota all’ingresso qualcosa che non va, il pubblico pagante viene sottoposto a perquisizioni delle borse che nemmeno al Pentagono, mentre io col mio pass da giornalista in bella vista vengo ignorato e riesco nell’impresa di portare all’interno una bisaccia ricolma di bombe a mano.
Prime necessità da soddisfare: 1) bere 2) mangiare. Per bere c’è veramente l’imbarazzo della scelta, qualunque cocktail costa 9 euro, un prezzo che supera di gran lunga la soglia percepita come “normale” dall’uomo della strada, e ovviamente non vengono serviti flûte di champagne millesimato da elegantissimi camerieri in guanti bianchi, ma intrugli a base di una ben nota bibita che sponsorizza e che ha già un forte ritorno di immagine visto che il suo marchio campeggia ovunque. Per il ghiaccio si è data una spallata definitiva alla calotta polare artica, alcol in tracce riscontrabili solo dopo approfonditi esami di laboratorio.
Mangiare: qui mi va bene, visto che l’unica (l’unica! Con un’affluenza prevista intorno alle cinquemila persone) bancarella che vende cibo si affida alla grande tradizione dei salumi umbri, dei quali sono un vorace consumatore. Ma se…fossi vegetariano? Ma se…avessi voglia, che ne so, di una fetta di pizza? Mi rispondo da solo: esci, mangi quel che vuoi e torni. Scopro quindi che il mio pass da giornalista mi permette questo, mentre lo spettatore comune non può uscire, altrimenti non viene fatto più rientrare, a meno che non paghi un altro biglietto.
Tutti magrissimi con Club to Club. “Come all’Awakenings“, mi dicono. Scommetto che all’interno dell’Awakenings (gigantesco festival techno olandese) si può scegliere fra una trentina di posti per mangiare come minimo, non lo so ma azzardo con la certezza di aver ragione. Per non parlare di manifestazioni come Atonal, Supersonic o Roadburn dove lo spettatore può muoversi come meglio crede e come sarebbe naturale permettergli.

Ma come sei materiale a parlare solo di bere e mangiare, a un festival ci si va per la musica!“.
Giusto, anche se far stare bene il proprio pubblico dovrebbe essere, per una manifestazione di queste dimensioni, una priorità irrinunciabile, rappresenta secondo me almeno il 50% dell’organizzazione di un festival.
Sembra si sia posta l’attenzione in modo esagerato sulla sicurezza: bevande costosissime per evitarne abusi (e la vendita di alcolici terminava alle 3, con più di 3 ore di live ancora da affrontare), forze dell’ordine in assetto di guerra (con pistole e manganelli) per evitare abusi di altro. Mentre un giro all’esterno avrebbe dimostrato come il pubblico, prima di entrare, si sia sfondato di alcol a poco prezzo recuperato in qualche discount (e di altro).

Sul palco principale, finalmente assecondato da un impianto all’altezza, gli Swans (anticipati da un’ottima Anna Von Hausswolff, incipit ideale per l’annunciazione dell’Apocalisse) prendono il palco compatti, ma siamo a Club to Club? Sì, siamo a Club to Club, e credo non esista nulla di più lontano dal concetto di clubbing.
Michael Gira è sempre più calato nella parte del predicatore matto col cartello al collo, gli altri sono impegnati nella costruzione di un vero muro del pianto sonoro, tra il pubblico molte vecchie conoscenze che non concepiscono come musica qualcosa che non venga suonato con basso, chitarre e batteria.
Raccogliere da uno di costoro una dichiarazione come “anche gli Autechre mi piacciono, ma col cazzo che adesso sopporto 6 ore di musica di merda per vederli” (con tutti i fringe benefits elencati in precedenza) dovrebbe far comprendere che fra i cinquemila astanti chi possa apprezzare allo stesso modo Swans, Autechre e Laurent Garnier si conta sulle dita di una mano; quindi forse si è andati un po’ troppo oltre come “scelte coraggiose nella line up“? O forse è il caso di cambiare ragione sociale? Ma non disperiamo, ci si può accomodare nella sala secondaria, in cui la security, non so se per eccesso di zelo o per la presenza ingombrante della polizia, organizza un’attesa all’ingresso quantificabile in circa mezz’ora (un tempo c’era la Sala Rossa, pure più piccola, ma queste cose non le ho mai viste). E qui ce ne sarebbero di cose interessanti da vedere: il set di Amnesia Scanner scivola via tra le gomitate di chi dice di essere arrivato prima in fila, mentre lo showcase Gqom Oh! viene programmato in contemporanea con gli Autechre e quindi depennato a malincuore.

Una volta dentro la Sala Gialla, sempre la security vieta di mettersi fuori dall’uscita di sicurezza a fumare (io sono un tabagista, ma se avessi voluto semplicemente prendere una boccata di aria fresca?), mi consigliano di fumare al cesso, come alle scuole medie…e se si esce dalla sala bisogna affrontare nuovamente la fila di mezz’ora. Quindi ciao ciao. Si resta nei pressi del main stage in compagnia di due scappati di casa che mi rifiuto di nominare e che mi fanno riflettere sulla possibilità di andarmene. Fortunatamente c’è Laurent Garnier che non propone il set della vita (per quello avrebbe bisogno di 7, 8 ore?) ma mostra almeno a chi l’ha preceduto come si fa un set techno di 3 ore, e mi fa modificare i miei precedenti propositi.
C’è chi l’ha amato e chi l’ha odiato, ma chiedergli di fare qualcosa di diverso sarebbe stato come chiedere ai Ramones di suonare musica barocca, prendere o lasciare.
Sugli Autechre: meglio di altre volte, peggio di altre volte? Io dico troppo superiori al resto della programmazione (fatto salvo per gli Swans, ma è proprio un altro sport) per poter giudicare, fra il loro totale sprezzo degli effetti speciali (suonano al buio come di consueto), derelitti che invocano la cassa dritta (come si fa d’altronde a dargli torto dopo 3 ore della stessa, e da quando gli headliner – almeno “morali” – suonano alle 4 del mattino?), e una buona dose di musica improvvisata, totalmente imprevedibile pur mantenendo una cifra stilistica chiarissima, vigoroso massaggio cerebrale apprezzato da pochi coraggiosi che hanno sopportato il resto tacendo. Come fanno i veri coraggiosi, del resto. Club to Club sì, Club to Club no? Club to Club mah.

Andrea Cazzani

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