La Polonia si è conquistata un posto di rilievo nella geografia della musica elettronica e sperimentale, attraverso la costante organizzazione di rassegne di prima fascia.
Passione per l’arte, voglia di modernità e divertimento, ma soprattutto estrema intelligenza nell’uso dei fondi internazionali, hanno permesso a un Paese dal passato difficile di rilanciarsi. I risultati più evidenti ovviamente sono visibili nel centro delle città più importanti, in cui il grigio dell’architettura socialista è stato abbandonato per tornare ai colori di periodi più felici: sono stati aperti locali, negozi (le marche occidentali più famose sono in prima linea), gallerie d’arte, musei. I vecchi aeroporti militari sono diventati gioielli di design che accolgono migliaia di turisti.
Dopo avervi raccontato dell’Unsound di Cracovia, ci spostiamo a Wroclaw, ultima città ceduta dagli Austrungarici, dove ormai si è giunti alla quindicesima edizione dell’omonimo festival dedicato alla scena industrial. Questa tuttaviaè stata la prima durante la quale ci si è spinti oltre la dimensione di micro nicchia, invitando numerosi artisti di fama mondiale per coprire ben quattro giorni di programmazione.
Anche la scelta delle location è stata affascinante: la vecchia miniera di Wałbrzych, la White Stork Synagogue, il centro sociale CRK e la doppia sala Gothic Hall + Old Monastery (sede principale dell’evento) si sono dimostrate all’altezza delle aspettative, illustrando spaccati differenti dell’ambiente culturale locale. Per il resto abbiamo trovato impianti su misura (cosa su cui in Italia facciamo ancora fatica), e un pubblico in nero carico ma amichevole. Certo, vista la lineup il WIF non è esattamente un party per pischelli, ma l’energia in pista è impressionante, seconda soltanto all’attenzione verso la musica.
La caratteristica del festival che ci ha colpito di più è stata infatti il vivere i concerti tutti insieme, artisti e fan, senza barriere.
Si potevano scambiare amabilmente quattro chiacchiere con William Bennett al banchetto dei dischi, o confrontare le proprie impressioni con Eraldo, Paolo (Bernocchi e Bandera alias Sigillum S) e Bruno (Dorella di OvO, Ronin, Bachi da Pietra…) come fossero amici di vecchia data! I più fortunati hanno potuto persino incontrare Genesis P-Orridge a colazione: scarpe dorate, pantaloni bianchi e una tshirt verde pistacchio con falce e martello rovesciati. Vita reale e performance sono indistinguibili.
Arrivati il venerdì abbiamo giusto il tempo di una tipica ciemne piwo (birra scura) prima di farci scuotere le sinapsi dai droni in bassa frequenza di Blackwood (Eraldo Bernocchi). Tra il dub venefico di Scorn e gli impulsi rock degli Earth, è un live di alto livello in cui si resta mentalmente ingabbiati fino alla fine. Non c’è riposo per il nostro connazionale che subito dopo si riunisce con Paolo Bandera per lo show dei Sigillum S feat. Bruno Dorella.
Gruppo simbolo dell’industrial made in Italy e attivi fin da metà anni ’80, portano on stage uno show principalmente dalle tinte dark ambient: textures rumoristiche, voci e percussioni si intrecciano su fondali cupi e profondi, rimandando all’inquietudine dei visual. Ognuno è isolato nel proprio ingranaggio senza possibilità di una reale connessione con gli altri. L’Armageddon è nel vostro Iphone?
Codex Empire è il nuovo progetto di Mark Crumby, che punta sulla commistione tra la techno e l’industrial a la Ancient Methods. Il risultato è godibile e ci consente di carburare per arrivare pronti per i DAF.
La leggendaria formazione EBM tedesca è ancora in stato di grazia nonostante Gabi Delgado e Robert Gorl siano adesso più una coppia di distinti gentlemen che non cyber punk. Basi registrate (su cui sono i primi a fare ironia), batteria live e tanto fiato nei polmoni. Il repertorio è una raffica di hit (Der Mussolini, Verschwende deine Jungend, Kebabtraume, Alle gegen alle…) su cui si scatena un pogo che non risparmia nessuno!
Chiudiamo la festa con l’harsh noise punk di Folkstorm ovvero Henrik Nordvargr, il gigantesco frontman dei Poupée Fabrikk.
Il sabato si apre alla sinagoga con l’isoalzionismo di Main.
Alla sala gotica invece ci aspetta la messa nera di Burial Hex: un’ora di dark ambient evocativa e teatrale (lumini, coltelli e incenso infuocato) gestita con microfoni a contatto su oggetti percossi, e una tonnellata di riverberi. E’ palese come personaggi quali Prurient abbiano studiato molto attentamente la lezione. Anche il collettivo tedesco Sardh punta su strumenti autocostruiti, ma il loro sound ruvido tocca diversi aspetti del mood industriale. Le immagini non lasciano presagire niente di rassicurante.
Il titolo di miglior show della notte lo conquistano i Ramleh con un concerto dalla potenza sonica al limite del dolore psico-acustico. Fantastici!
Tocca quindi a Circular tenere banco prima degli incontenibili Psychic TV. Genesis P-Orridge e la sua family giocano con ironia sul tema psichedelico come serial killer vestiti da clown. Da notare che tutti gli artisti sono presenti a mostrare il loro rispetto verso colui che è riconosciuto come padre della scena.
A Vormir impalato davanti a una sorgente di white noise (provocazione datata e poco credibile), preferiamo ballare sui ritmi tribal digitali di Cut Hands, anche se pure lui si diverte a prendere in giro un po’ tutti facendo il piacione, dedicandosi più al lato edonistico del beat che non sviscerando temi scomodi come in passato.
Infine della domenica nel piccolo circolo CRK, citiamo con piacere Holotrop, producer tedesco calato nella parte dello sciamano, alle prese con droni psichedelici. Gli italiani Ash Code erano il big name del giorno ma, bel tiro wave a parte, non ci hanno detto poi molto.
Questa avventura in terra polacca ci lascia parecchi bei ricordi e ottimi spunti; il WIF è maturo per confrontarsi con le manifestazioni maggiori, e se starà attento a non perdere la propria visione e attitudine (in questo genere diventare un carnevale è un attimo) siamo sicuri diventerà un appuntamento fisso da segnare in agenda.
Federico Spadavecchia