Anacleto Vitolo: Il peso sonoro di un’identità frammentata

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Anacleto Vitolo, salernitano classe 1985, è uno dei personaggi più interessanti della scena elettronica italiana attuale. Lontano da ogni trend e distante anni luce dall’hype, Anacleto ha costruito con i suoi lavori un’estetica granitica e ben delineata conservando allo stesso tempo, celato dietro i suoi differenti moniker, un’essenza proteiforme che gli ha consentito di attraversare generi e ambienti dell’elettronica senza mai cadere nella fallacia del touche-à-tout. Negli ultimi anni ha partecipato ad alcuni tra i più importanti festival europei (Mira, Flussi) e ha rilasciato per numerose etichette tra cui spicca l’inglese Fat Cat con dodici tracce in catalogo a nome AV-K.

Il 28 ottobre Anacleto sarà a Milano ospite di Plunge insieme a Gianluca Favaron con cui ha da poco pubblicato l’EP Zolfo. Per l’occasione gli abbiamo fatto qualche domanda:

Poco meno di due anni, e quattro release per 4 differenti aka (AV-K, X(i)NEON, K.Lust, Anacleto Vitolo), da sempre hai preferito lasciare in compartimenti stagni le tue differenti anime, anche se ad accomunarle c’è una solida base estetica che ormai ti contraddistingue. Come mai la scelta di frammentare in tante identità la tua produzione musicale?

La ragione fondamentale che, in prima battuta, stava dietro questa scelta è quella di consentire al pubblico di identificare un suono, un’estetica precisa e sapere quali sonorità aspettarsi quando decide di ascoltare un disco di K.lust piuttosto che uno di AV-K. Sostanzialmente, da un punto di vista strettamente stilistico, ti direi che i due moniker principali sono AV-K/Anacleto Vitolo (X(i)Neon per esempio è semplicemente un disco Vitolo-Galatro, le cui sonorità sono molto vicine a quelle Fracture), e K.lust, con cui pubblico cose da sonorità più technoidi e/o meno aggressive. Magari a chi piace K.lust non piacciono X(i)NEON o AV-K

Sabato suoni a Milano per Plunge presentando, insieme a Gianluca Favaron, il vostro nuovo lavoro “Zolfo”. Come nasce questa vostra collaborazione?

Gianluca l’ho conosciuto attraverso Manyfeetunder, prima musicalmente (è stato uno dei primi a pubblicare per la sezione Homemade della label quando ancora non ne ero parte attiva), per poi incontrarlo di persona in un paio di date campane. La nostra collaborazione nasce, oltre che dalla stima reciproca sotto il profilo musicale e umano, dalla voglia di sperimentare l’unione di due mondi e approcci musicali molto distanti, quasi opposti. Mi/Ci piace confrontarci con approcci e sonorità sempre diversi. Personalmente lo trovo molto più stimolante che lavorare da solo. Si impara tanto.

Ecco, parliamo un po’ di Manyfeetunderconcrete della quale ormai sei una delle punte di diamante. L’etichetta in poco più di tre anni si è saputa affermare come una delle migliori giovani realtà italiane con un catalogo che conta ormai più di ottanta release digitali e tredici release su supporto. MFU sembra fare sempre più sul serio pur mantenendo un basso profilo per quanto riguarda comunicazione e promozione (a parte gli stupendi video-teaser), quale è la formula alchemica che sta dietro al progetto?

Mah, non saprei dirti quale sia la formula che sta dietro a MFUC. Quello che posso dirti con certezza è che non c’è giorno che io e Vincenzo (Vincezo Nava aka dramavinile, ndi) non ci dedichiamo anima e corpo a MFUC, insieme ad altri amici che ci supportano per altri aspetti del lavoro, in primis l’ottimo Andrea Maioli (del collettivo Kanaka), l’autore degli splendidi videoteaser di cui parlavi, nonché del layout grafico della label e degli artwork di molti dei lavori che pubblichiamo su Manyfeetunderconcrete. Ci crediamo tanto, crediamo da morire nella musica che proponiamo e ciò che ci rende più felici è vedere il riscontro  degli artisti, tutti nomi di spessore musicale ed umano, che decidono di pubblicare con noi.

Da più parti sta arrivando questa tendenza ad inquadrare molti lavori che generalmente venivano ricondotti ai territori della power electronics, del japanoise o dell’industrial, come qualcosa che sta colmando il vuoto lasciato da una scena heavy sempre più assente in questi ultimi dieci anni.
Penso soprattutto ad artisti come SUNN O))), Kerridge, Broadrick che con differenti approcci hanno destrutturato e ricontestualizzato nell’elettronica elementi chiaramente appartenenti al metal. Quanto ti senti “dentro” in questa rinascita del genere heavy?

Beh, io vengo dal metal, ho cominciato a suonare la batteria dopo aver ascoltato i Death e gli Slayer. Lo stesso Broadrick, viene dal mondo del grind-core, prima scrivendo insieme ai Napalm Death quello che forse è il capitolo più importante della storia del genere in questione, prima ancora di metter su i seminali Godflesh (ed altri mille side project uno più bello dell’altro!). Inevitabilmente questo background viene fuori anche nelle cose che faccio come producer elettronico, non in modo imposto, ma in modo del tutto naturale.

Sei uno dei pochi artisti Italiani a comparire nel catalogo della Fat Cat (etichetta inglese che prodotto tra gli altri Sigur Ros, mùm, Animal Collective, HauschkaTo Rococo Rot, Panda Bear), raccontaci un po’ la tua esperienza con la label.

In realtà è stato qualcosa del tutto inaspettato. Illo tempore, inviai loro una prima bozza di alcune delle tracce che poi sarebbero diventate parte di Fracture, ad onor del vero, non aspettandomi nessun tipo di feedback. Ed invece, con mia grande sorpresa, arrivò la proposta per un contratto publishing per loro. That’s all !

A proposito delle tue esperienza internazionali: tu sei Italiano e resti in Italia al contrario di altri (storia che si ripete ormai ad libitum) che, lamentando la mancanza di una – uso un termine che mi fa rabbrividire – “scena” italiana, scappano fuori dai confini non appena (credono) di avere un briciolo di notorietà. Però poi le realtà interessanti dai festival alle organizzazioni, passando per le label ci sono eccome ma vengono snobbate da chi preferisce scappare anche solo per un weekend a Berlino perché: “vuoi mettere la scena che c’è lì?”

Devo dirti che non ho mai subito la fascinazione o un’assoluta esigenza di trasferirmi all’estero per continuare a fare la musica che mi piace. Mi considero una persona fortunata a poter comunque viaggiare abbastanza per portare in giro la mia musica. D’altra parte è innegabile che esistano dei posti nel mondo in cui si addensano determinate realtà musicali e culturali. Di certo organizzare un concerto di un certo tipo a Salerno o ad Avellino è più difficile che farlo in altri luoghi dove c’è, se non altro, un maggior riscontro del pubblico. Però non ti nascondo che sono felicemente sorpreso di quanta attenzione ci sia, soprattutto da parte di un pubblico relativamente giovane, per questo tipo di suoni. Stanno nascendo tante piccole grandi realtà che “spaccano”, con tutta l’energia e la voglia di fare che si necessita per portare avanti progetti culturali di questo tipo. Penso a Plunge a Milano, a nuove piccole grandi realtà come Coordinate ed Aceto che si stanno facendo sentire nel nostro territorio. mi sento fiducioso! Nonostante tutto!

Un’ultima domanda poi ti lascio. So che oltre ad essere un musicista elettronico sei anche un bravissimo batterista (come tu stesso hai affermato poco fa con eccessiva modestia), quanto influenza la tua musica questo tuo background e quali sono i tuoi riferimenti della musica “suonata” che ti porti dentro?

Bravissimo proprio no! ahahahah! Sicuramente il mio passato/presente da suonatore di tamburi mi influenza tantissimo. La ricerca ritmica è la cosa a cui forse sono più legato e che, ob torto collo, puoi sentire in tutto quello che faccio, sia nelle cose maggiormente basate sul lato “percussivo”, che nei pezzi più drone, dove, anche se non c’è quasi mai , una parte ritmica in forma esplicita, ad un ascolto più attento viene inevitabilmente fuori la mia natura di batterista.

Trystero Theorem

Cover: Alfonso Fierro

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