Seven Trax One Week: Malvagità elettrica, influenze EBM/industrial nella dance

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Niet Signala: C’era una certa scena club in Italia, prima che l’eccentricità autentica si consumasse nella volgarizzazione, ed emergessero altre realtà poi ridotte ad un’estetizzazione pagliaccesca standardizzata e scimmiottata, con tanto di velleità di nobilitazione culturale patrocinata e tesserata. Si trattava al tempo di entrare in contatto con roba che non passava per radio, e non si trovava certo in negozi di dischi qualsiasi.
Non essendoci stato ancora internet, duplicare cassette era l’unico modo per far circolare il sound: un modo comune senza molte alternative, non certo un hype alla moda.
Gli albori dell’house music si intrecciavano da un lato con il background afrobeat, electro disco, della generazione del Cosmic, che proseguiva negli after hour della zona del Garda, con versioni più o meno elettrificate, tribaleggianti, o vagamente rock. Dall’altro lato invece, già nel 1989 in club come il Movida di Jesolo si mescolavano vari generi tra i quali emergeva un’attitudine EBM e industriale, alternata ad house nelle declinazioni hip, Miami, oltre ai già più noti stili di Chicago e NY, e naturalmente al Detroit sound della prima onda.
… roba tipo Detroit” è divenuto ora uno dei luoghi comuni più visitati dai turisti della notte che vogliono apparire più sofisticati rispetto ai fresconi della tech house, anche se fino a ieri si ingozzavano di Villalobos, di “palline” della Minus e affini, nelle premiate cremerie, nutriti con quello che “andava”, che veniva spinto.
Ma che importa poi oggi, se non il nome? Il brand è tutto nel mondo delle agenzie che tessono le trame piatte ed omogenee di un mercato capillarizzato su scala globale, che si nutre dell’esigenza del singolo di avere un’identità, un’appartenenza ad una scena seppur ormai fittizia, completando magari l’opera con l’acquisto di un bomberino nero in un grande magazzino, e magari anche di un paio di scarpe da ginnastica a serie limitata (che chiamano ormai tutti sneakers in modo disinvolto). Fatto sta che la pratica identitaria di oggi induce a prestare più attenzione all’evento che al contesto, che un tempo era invece il fattore fondamentale. Gli abitanti di un club erano immersi nel proprio ambiente dove dei resident costruivano un percorso di ricerca e un rapporto di fiducia con gli avventori, che sono diventati oggi invece fan itineranti, elementi atomizzati che vivono di luce riflessa sui social, riprogrammabili nel loro diasporeggiare, e dipendenti da questo line up porn generalizzato e centralizzato.
Probabilmente le supercazzole della New Beat non sono ancora ritornate con prepotenza in quanto si prestavano meno dell’house e della techno a sostenere questo processo di addomesticamento e di riconfezionamento. Materiale che per essere fruito richiede un atteggiamento autoironico non così immediato in un mondo dove tutto deve essere preso temporaneamente sul serio per poter essere venduto.
La proposta seguente riguarda invece una serie di tracce più o meno datate, di varia provenienza, non etichettabili sotto il cappello di un vero e proprio genere, ma accomunate da un certo atteggiamento di derivazione EBM/industrial che ha già fatto la sua apparizione in Italia durante quel periodo di sperimentazione eclettica in quei club estremi della cui fattispecie giungevano poche notizie dal resto del mondo. Atmosfera tutt’altro che salvifica, modus tendenzialmente nervoso, solido, energico, non necessariamente ammiccante.

Frak – 666

Broken English Club – Crime

Tsuzing – 4 floors of whores

An-i – Gutz

Tuning circuits – I am non-believer

I-F – Testpilot 1

Radioactive Goldfish – Sonic friction

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