Frequencies Podcast #22: MuteOscillator

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Continua il nostro viaggio nell’house made in Italy. Questa volta ai controlli della consolle di Frequencies abbiamo Paolo Giangrasso in arte MuteOscillator, un Dj di grande talento col cuore diviso tra l’america dei beats sporchi ma spirituali e l’oscura profondità europea.
Ben conosciuto anche in veste di produttore insieme a Ksoul, con cui collabora dal 2008, vanta release su etichette come Kinda Soul, Uzuri, M>O>S e Dekmantel.
Fate quindi partire il player e gustatevi la nostra intervista!

Ciao Paolo benvenuto su Frequencies! Che ne dici di raccontarci qualcosa di te e su come hai scoperto il mondo del djing?

Da sempre la musica mi ha regalato felicità. Mio papà mi faceva sentire Pino Daniele, Renzo Arbore, Gino Paoli , Battisti o ancora i Beatles e Stevie Wonder. Appena mi sono emancipato dagli ascolti paterni, l’arrivo massivo nelle radio e in tv di generi come la dance e il rap mi rapì totalmente. Complice anche la villeggiatura estiva nei pressi di una gloriosa discoteca che si chiamava Baiablanca (che adesso non c’è più), ebbi la fortuna di entrare, appena quattordicenne, di straforo ad una serata grazie ad alcuni cugini più grandi. Il dj era bravo (all’epoca anche i più improvvisati un cambio a tempo lo sapevano fare), e io rimasi folgorato. Ho un ricordo molto nitido di quella sensazione, una vera gioiosa epifania.

Sei d’accordo con chi definisce una “malattia” questo mestiere? Qual è stato il momento in cui hai capito che mettere i dischi sarebbe stato per te un qualcosa di irrinunciabile?

Mi permetto un’incursione nella psicologia da bar, che è l’unica che posso frequentare peraltro.
Sono certo, e credo sia assolutamente comprovato e inconfutabile, che esistano una vastità di appigli maniacali intrinsechi a questa disciplina: il collezionismo dei vari formati, il piacere fisico ed intellettuale del riuscire a fare un bel passaggio tra due dischi, la necessità dell’allenamento, senza contare l’indiscutibile brivido dato dall’esaltazione egoica dello stare su un podio ad esporre ad altri il proprio eventuale talento, misto di tecnica e conoscenza (così dovrebbe essere almeno). L’elaborazione di questi elementi (ne ho citati solo alcuni) è un processo complesso e rischia di generare derive sterili. Da parte mia, credendo nella biodiversità, trovo corretto che ognuno trovi la sua leva, qualunque essa sia, magari senza volerla imporre come credo o legge agli altri. Tra un guru e un buffone francamente non so a chi dare maggior credito.
Io cerco di vivere questa passione come un percorso che mi ha regalato molte soddisfazioni, molte delusioni e che mi ha fatto crescere tantissimo come essere umano. La musica, il proporla come dj, mi ha fatto conoscere luoghi e persone che altrimenti non avrei incontrato e per questo non posso che essere grato. Difficilmente, anche per questo, potrei farne a meno.

Come definiresti il Dj: artista, artigiano o hacker?

C’è differenza tra l’artista e l’artigiano? Hacker è una parola che non riesco a collocare nella musica, mi spiace.

Raccontare una storia attraverso i dischi e il mixin’ mantenendo alta l’attenzione e il coinvolgimento del pubblico, è la differenza tra un Dj e un juke box umano. Sei d’accordo? Come ricerchi le parole/dischi per i tuoi set?

Per quello che mi riguarda, soprattutto in gioventù, mi è capitato di fare serate lontane dai generi che maggiormente prediligo e le ho fatte, detto con la massima sincerità, solo per danaro, e quindi lungi da me giudicare chi si muove e lavora in questi contesti. Erano situazioni da cui ho cercato comunque di portarmi via qualcosa, oltre il danaro. Ho fatto ore di volo, mettiamola così. Da molto tempo non ne faccio più perchè fortunatamente non ne ho bisogno. Sono state serate estremamente frustranti, dove passavo ore a guardare la gente in pista e mi domandavo letteralmente cosa li spingesse a voler passare il loro tempo libero a sentire hit trite e ritrite. La risposta era in realtà, molto semplice: non erano lì per la musica. Erano lì per altro: ubriacarsi, a volte limonare, fare a botte…perchè in certi posti sembra di stare a vedere uno spettacolo interpretato da un cast che cambia ogni sera, ma che recita la stessa tragicommedia.
Insomma, per fare il juke box umano, meno si ha passione (e non solo per la musica) e meglio è.
Parlando invece di come costruisco i miei set… non saprei descrivere un canone preciso. Col passare del tempo, fortunatamente, sono tante le variabili che tengo in considerazione per inserire un disco in un set, cercando di riuscire legare in modo personale le diversità armoniche, timbriche e strutturali dei vari pezzi. Magari dico una fesseria, ma questa immagine del “fantino dei dischi” è veramente appropriata. Alla fine, davvero è come se cavalcassimo un’onda e ogni disco può rappresentare una spinta in avanti o una buca clamorosa che può disarcionarci , vanificando gli sforzi fatti per creare qualcosa di bello. Per me è meraviglioso quel momento in cui il disco che andrai a mettere dopo letteralmente ti appare in testa e si fa largo tra gli altri che erano lì ad occupare i neuroni vicini. Roba che se hai fatto la scelta giusta e la pista risponde… può essere meglio di una scopata (e questa frase mi vale una medaglia d’oro al Nerdismo militante).

A prescindere dal genere c’è un elemento che deve essere sempre presente?

No, mi avrebbe già annoiato altrimenti. Ma in generale ammetto che prediligo alcune tecniche di produzione, che danno certi colori alla musica, rispetto a certi prodotti che suonano magari ultra definiti e puliti. Troppo laboratorio e poca bottega in generale non fa per me.

Dove ti piace comprare i dischi? 

Dovunque, ma confesso che la cosa che maggiormente mi piace è incappare nella musica, cascarci dentro,quindi devo dire che il negozio o il mercatino restano i miei habitat preferiti. Ho molto sofferto la chiusura massiva di molti di essi, anche perchè per me sono stati luoghi di incontri/scontri e di amicizie e confronti. Non mi nego certo l’acquisto e l’informazione online, solo cerco di non affogare nelle trackilst altrui, che spesso rischiano di generare appiattimenti emotivi soprattutto. Sono altresì poco enciclopedico, cioè non sono legato necessariamente a blasoni, mitologie, cataloghi di alcun tipo. In parte può essere un difetto, una sorta di volontà antiscolastica che senz’altro mi fa perdere qualcosa, nel mare della musica (che magari mi capita comunque di recuperare in un secondo tempo), ma credo sia un atteggiamento che mi ha molto aiutato a consolidare il mio gusto, a fare delle scelte basandomi su di esso e anche a metterlo in discussione. Poi, certo, superfluo dire che leggo sempre nei centrini chi sono gli autori, da che nazione viene il disco, magari dove è stato fatto il mastering e l’anno di “nascita” del brano per localizzarlo nella mappa che inesorabilmente mi si è creata in testa.

Oltre a essere Dj e produttore sei anche uno stimato attore. Esistono punti di contatto tra questi mondi? Come cambia la tua prospettiva quando sali sul palco nell’una e nell’altra veste?

Si e no. Sei tu che sali su un palcoscenico e che metti in gioco te stesso, la dinamica è simile in un certo senso. Ma, non me ne vogliano gli amici dj, le variabili dell’esecuzione attoriale sono molte di più e molto più complesse e compromettibili. Forse è la stessa differenza che i musicisti rinfacciano ai dj. In teatro sei più scoperto, più fragile e attaccabile, il tuo corpo (che magari dietro una consolle puoi agitare a piacere), cuore e cervello devono essere sempre e necessariamente vivi e presenti. Non puoi delegare al testo o al gesto perchè sei tu che li interpreti ed esegui. Sei tu la macchina. E poi la grande differenza sta in chi fruisce e in teatro sei di fronte ad un pubblico che sta in silenzio ad ascoltare e osservare, ogni colpo di tosse, carta di caramella o suoneria di cellulare rischia di mandare in merda tutto. Un ecositema più delicato, mettiamola così. Fammi però dire, e non mi stancherò mai di dirlo a costo di sembrare un pezzo di antiquariato vivente, che entrambe le discipline sono (e mi riallaccio alla tua precedente domanda) nel macrodominio dell’arte e per restarci dovrebbero rispettare alcuni step. Il teatro non può prescindere da uno studio profondissimo della materia testuale, si prova e si riprova sino allo sfinimento, bisogna elevare il testo di un’autore a materia viva ed emozionante, ci si allena perchè poi bisogna esibirsi di fronte ad un pubblico che vuole provare delle emozioni e paga per farlo. Invece trovo che questa eccessiva digitalizzazione in cabina ,fatta di sync, di stems e di altre simil onomatopee tecniche, stia intorpidendo i ragazzi delle nuove leve e stanno rendendo anche le produzioni sempre più uguali a loro stesse. Personalmente credo che apprendere i rudimenti del djing sia un bell’esercizio mentale e sono contento di saper mixare a tempo senza aiutini, accetto che esista un margine d’errore e che come tale esso sia correggibile, trovo bellissimo imparare a conoscere i dischi che si hanno senza vederli stesi come forma d’onda su un lettore. Trovo che mettersi in gioco personalmente e direttamente renda tutto molto più umano e come tale avvincente e riconducibile appunto all’arte.

Ti ispiri mai al cinema o al teatro per un set?

No, e a dirtela tutta, facendo prevalentemente prosa, ho visto raramente spettacoli dove la musica avesse un ruolo e un peso che sapesse superare la pura didascalia. Quando è successo è stato però meraviglioso. Ma questo è un problema del teatro, non della musica.

Com’è nato il podcast per Frequencies?

Nasce dalla mia permanenza estiva a Roma. Sono stato circa tre mesi nella Capitale per fare due spettacoli al Globe Theatre, sotto la direzione artistica del grande Gigi Proietti. Ebbene, nelle poche pause avute mi sono lanciato alla ricerca di mercatini e negozi dove ascoltare un po’ di musica e comprare qualche disco. So che chi è abituato a lavorare fuori casa, riesce a comprendere quanto la musica possa essere amica in questi casi. La fortuna mi è stata amica e a pochi passi da casa mi ha regalato un mercatino dell’usato dove ho trovato un signore che vendeva dischi usati, anche mix e ne aveva parecchi, al solito messi alla rinfusa, senza riferimenti. Per me una manna. Abbiamo legato un po’ e mi ha detto ad un certo punto “Devi sapè che sta robba viè tutta da un diggei Pariolino che è fro… (sguardo severo della moglie) Vabbè inzomma, se semo capiti, no?”. Un film di Steno in 10 secondi. Ad ogni modo, mi sono portato via una cinquantina e più di pezzi tra vinili e cd. Questo mixato comprende al 90% solo musica trovata tra quelle casse, più altre cosine ordinate online come i cd di inediti della Sound Signature.

Nuovi progetti musicali in cantiere?

Con Ksoul, dopo un periodo di pausa dovuto a cose della vita, torneremo a breve con un 12” su Uzuri e poi tanto tanto lavoro in studio per farne uscire altri ancora. Inoltre siamo da qualche mese in agenzia con la Westhill Bookings, che ospita alcuni degli artisti più interessanti italiani del momento, e abbiamo alcune date in programma tra cui il Dude Club di Milano e l’Ex Forno MAMBo a Bologna.

Grazie mille per la tua disponibilità.

Grazie a voi, noi siamo sempre aperti, anche domenica e festivi.

Federico Spadavecchia

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