Seven Trax One Week: Bass & upbeat. Influenze jamaicane nella techno della seconda ondata

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Niet Signala: la prima bass culture nasce in Jamaica e approda presto in Inghilterra assieme al culto dei sound system, contaminando già dagli anni 70 dapprima il punk rock, con esempi eclatanti quali i Clash, ma anche il pop degli anni 80, basti pensare a Boy George, e naturalmente, la dance… Sui dischi iniziarono a comparire le dub version delle tracce, oltre alle solite club e radio version cui il mercato aveva abituato i suoi avventori.
Il modo di masterizzare stava cambiando, la corsa all’evoluzione dei sound system stava formando nuove esigenze nel pubblico, che si abituava via via ad  un certo tipo di resa sonora, dunque di esperienza, passando per impianti stereo casalinghi, ghettoblaster o boombox, stereo portatili già diffusi con la cultura hip hop, e la corsa agli impianti sub per le automobili con tutto il mercato annesso delle autoradio con possibilità di equalizzazione inedite rispetto a quello che era lo standard legato alle musiche giovanili precedenti gli anni 80. Il filone della disco ha avuto sicuramente buon gioco in questa evoluzione, passando per la cultura da club, con la nascita dell’house music.
Successivamente a Detroit nacque quella che fu la seconda e più importante bass culture globale: quella della techno, che non a caso si impadronì subito del culto del subwoofer, diventato ormai condizione necessaria sia per i club che nei rave party degli anni 90: pensiamo solo ai KLF e all’immaginario da loro proposto. Un esempio di elegante sintesi tra queste due culture è stata prodotta da Maurizio, con la sua serie M del 1995. Era ormai una questione di frequenze: la musica si spostava verso un approccio tonale e ripetitivo, e l’importanza della strofa e del ritonello era ormai secondaria rispetto a quello che fisicamente si traduceva in spinta sul diaframma e risonanza della scatola cranica, con buona pace dell’udito, messo sempre più a dura prova dai volumi e minacciato a volte da scarse competenze tecniche, come spesso accadeva in Italia in quegli anni, quando non di rado si badava più al nome che alla sostanza..
Gli impianti inglesi quali Martin Audio e Funktion One la fanno ancora oggi da padrone, e agli albori degli anni 90 vediamo che proprio dall’Inghilterra sorge questa contaminazione tra ambient house e dub ad opera degli Orb, proseguita in seguito con la collaborazione di Patterson con Fehlmann e il progetto Le petit Orb, anche se di portata decisamente inferiore. Il testimone della techno dub passa rapidamente dall’inghilterra alla Germania, dove sorge proprio in quegli anni il progetto Chain Reaction, per una produzione di sonorità ruvide, calde, e soprattutto dubbate, radicalizzate rispetto a quelle inglesi dei Bandulu ad esempio, che furono tra i pionieri del genere techno dub.
Da quella label venne fuori Monolake, Robert Henke, ovvero il produttore di Ableton live, noto sistema multitraccia per musica che uscì sul mercato nei primi anni 2000. Notiamo in proposito che uno dei primi tool a disposizione fu proprio il filter delay, ovvero un sistema virtuale in grado di imitare l’assegnazione di ritardi per bande di frequenza, come viene fatto tradizionalmente mediante il collegamento di un crossover al mixer, quando si tratta appunto di separare le bande di frequenza su canali diversi e di fare… dub!
L’impronta jamaicana che comprende il dub e l’upbeat come struttura, come atteggiamento ritmico, costituisce uno dei più distintivi archetipi riscontrabili nella popular music.

The OrbTowers of dub.  1992

Mount Florida- Catalyst dubs. 1997

The Germ – Sun dub. 1994

Bandulu – Running time. 1995

Mike Ink – Studio 1 Lilla. 1995

Basic Channell – Quadrant dub 1994

Fluxion – Vibrant forms II. 1994

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