Bloc Weekend ’16: L’Ultima Edizione

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Iniziamo con una premessa: delle polemiche tra George Hull e i suoi ex soci non ce ne frega un belino.
Abbiamo deciso di aspettare qualche giorno prima di pubblicare il nostro reportage proprio perchè riteniamo che la musica venga prima di ogni altra cosa, specie se si tratta di una discussione così sciocca.
Ricordare il BLOC Weekend per la sciagurata edizione 2012 o per le suddette insulsaggini sui giovani d’oggi, sarebbe fare un torto esagerato a quello che senza giri di parole è stato il miglior festival di musica elettronica europeo per cinque anni di fila (dal 2007 al 2011). Qui il dubstep ha avuto il suo trampolino definitivo (è stato come osservarlo al microscopio in tutte le sue ramificazioni e derive), e sempre qui leggende come Lory D o L.A. Synthesis sono state finalmente riproposte come headliner davanti alle nuove generazioni di clubber. La formula organizzativa poi, in un’epoca mordi e fuggi dove il pubblico serve giusto a comprare il pacchetto ticket + selfie (la coda al freddo la offre il Berghain), ha rimesso al centro della storia i ragazzi, che per tre giorni sono gioiosamente costretti a interagire, rispettando le regole di una società parallela a quella di tutti i giorni. In questo senso solo il Bang Face Weekender (nato un anno dopo) è riuscito a fare di meglio.
Noi abbiamo deciso di saltare il giro nel 2015 per il semplice fatto che la godibilità dell’evento era stata messa a rischio dalla vendita di biglietti giornalieri per chi non avesse voluto prendere l’alloggio. Quest’anno invece si è saggiamente deciso di tornare alle origini: cinquemila persone circa non una di più. I nostri compaesani si contavano sulle dita di una mano.

Arrivare a Minehead infatti non è facile. Tre ore di treno da Londra e con prezzi tutt’altro che friendly se non si sa come funzionano le offerte. Una volta giunti a destinazione però, la vista di questo paesino affacciato sul mare, dove di norma non verrebbe altro in mente che andare a trovare nonni o amici d’infanzia, si è certi di aver fatto la scelta giusta. Il Butlin’s resort è una struttura kitch e anacronistica che per spirito di sopravvivenza è diventata sede di raduni musicali ogni tipo. Sotto il gigantesco Sky Pavillon vengono ospitate sei sale con diverse scalette e mood. E’ vero ci saranno i fan di Tom Yorke e Nina Kraviz in contemporanea a quelli di Jeff Mills e Altern8, ma tutto è studiato per favorire la massima armonia anche tra chi non ha proprio nulla da dirsi. Poi vale sempre il detto: nulla unisce di più che un nemico comune, ovvero la nazi security che pretendeva di perquisire tutti fin dalla fermata del bus. Va purtroppo sottolineato che questo è l’andazzo generale in Gran Bretagna, in alcuni club aspettatevi pure il metal detector all’ingresso.
Dicevamo che il BLOC è giunto al capolinea, ma i suoi organizzatori hanno deciso di gestirlo come una qualasiasi altra edizione, puntando tutto su un cartellone omni comprensivo a cui si può muovere giusto la critica di non aver tirato fuori qualche chicca nascosta; sinceramente dopo esserci sorbiti negli ultimi anni una serie di programmazioni fotocopia (e peggio ancora arroganti) in manifestazioni di alto profilo, aver da ridire sulle scelte del BLOC 2016 significa mancare di onestà intellettuale. Che dire inoltre dei contorni stuzzicanti della BLOC TV e dei pool party, dove l’electro playboy Egyptian Lover ci ha fatto scatenare tra le onde artificiali, se non che sono stati una figata pazzesca?

A contare gli highlights servirebbe un altro weekend, però vogliamo assolutamente parlarvi di chi ci ha rapito gambe e cervello.
Il nuovo show dal vivo di Carl Craig con tanto di modulari scalda con tutta l’anima che Detroit sa dare, mentre Trade (Blawan & Surgeon) annientano la poesia sotto una tonnellata di ferraglia arrugginita. Dai piatti di Sunil Sharpe salgono cicloni acid; Ugandan Methods conferma la voglia di Regis di giocare alla punk star. Lory D accolto con tutti gli onori non può non emozionare; nonostante un set col pilota automatico la qualità della proposta è talmente alta che chissenefrega del resto. Il premio per il miglior djset lo vince Helena Hauff. Ormai non è più una sorpresa, ma restiamo a bocca aperta ogni volta davanti alla sua classe. Per l’occasione il menù gourmet prevede electro con puntarelle techno ed acid. Al secondo posto un’altra donna: Andrea Parker (famosa per l’album Kiss my ARP su Mo’ Wax) che fomenta il pub floor con breaks elettrici. Medaglia di bronzo per Kahn che ci ha riportato a quando ciondolavamo dietro al wobble bass su moquette pregne di birra e sudore. Il live dei Lakker è stato ancora più penetrante di quello visto all’Atonal: un’ora di violenta catarsi digitale che ci ha fatto perdere il contatto con la realtà (e noi eravamo sobri, figurarsi l’effetto sugli altri…). A bilanciare l’equilibrio cosmico con una performance altrettanto intensa ma in tutt’altra direzione stilistica Floating Points: jazz, chitarre, moog, visual zuccherini. Come assistere a Umbria Jazz strafatti di ecstasy. E giust’appunto arriva Ceephax Acid Crew, una colonna storica del BLOC, carico di synth analogici, attitudine vecchia scuola e ancora una volta la festa raggiunge nuovi picchi di euforia. Su Jeff Mills occorre aggiungere ancora qualcosa? Non un passo indietro, eterno. Gli ultimi lampi del festival sono i beats sporchi di Dj Deeon, gli anni ’80 rivisti in chiave TB 303 da DMX Krew, la celebrazione dell’UK Rave degli Altern8, il gran finale elegantissimo tra acid e soul di Omar S.

Niente lacrime, niente cerimonie, poche righe per dirsi addio (o meglio un arrivederci nel nuovo club londinese). Se un progetto non ha più ragioni per andare avanti è giusto chiuderlo per iniziarne un altro. Da parte nostra non possiamo che ringraziare di cuore per questi anni incredibili.

Federico Spadavecchia

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