Holotone è la nuova creatura di Daniele Antezza, ormai solido punto di riferimento berlinese per quanto riguarda il mondo dell’elettronica underground. Dadub, Stroboscopic Artifacts, Artefacts Mastering e Inner8 sono alcuni dei progetti dietro cui si cela la sua mente diabolica e instancabile.
“Tetramorph”, il nuovo EP di Daniele come Inner8, battezza la nuova label, la cui missione è comunicare usando un linguaggio diretto, in-mediato (l’arte) per esprimere la complessità del nostro iper-mediato mondo.
Daniele, sei chiamato a inaugurare questa nuova rubrica di Frequencies dedicata al mondo delle label. Iniziamo con qualche informazione generale: Come nasce l’idea di sviluppare una label? Se c’è stata, qual’è la “mancanza” nell’offerta musicale che ti ha fatto percepire come necessario l’avvio della tua etichetta?
Ciao a tutti, e un grazie enorme per avermi coinvolto in questa nuova rubrica di Frequencies. L’idea di lanciare una nuova label nasce soprattutto dalla necessità di esprimere la mia visione di suono come mezzo di espressione artistica, dal momento che, seppur in un periodo di ultra-saturazione nel panorama delle label, rimango fermamente convinto che una singola azione può fare la differenza. In più vorrei dare spazio quanto più possibile a musica di qualità, prodotta da un rooster eclettico ed eterogeneo di artisti, in cui l’unica discriminante è lo spessore della musica in sè: Holotone non è infatti un’etichetta concepita attorno al mio alias artistico Inner8, ma una piattaforma aperta alla pura libertà di espressione. Non sento una vera e propria mancanza a livello di offerta musicale nella scena, sebbene talvolta percepisca tendenze ad un’omologazione stilistica: nonostante ciò la mia è un’azione che non nasce dalla volontà di riempire degli spazi, ma di concepirne dei nuovi.
Quante uscite conta ad oggi la tua label?
Ad oggi la label conta il mio “Tetramorph EP” (in uscita il 21 Marzo) e un EP di Koichi Shimizu che uscirà verso Giugno-Luglio. Molte altre sono le cose che bollono in pentola comunque.
In generale, ci puoi spiegare le scelte artistiche alla base dell’etichetta, e, se ci sono, gli esempi che hanno servito da ispirazione o modello?
Le scelte artistiche si fondano su un’idea di libertà artistica radicale, estrema e senza compromessi che un vero artista dovrebbe avere nell’esprimere sè stesso più la sua capacità visionaria che dovrebbe distinguerlo da un mero venditore di intrattenimento: il focus non sarà quindi su di un preciso genere o sonorità specifica, ma su di una attitudine o meglio dalla capacità di tradurre in termini artistici tale attitudine.
Ho sempre considerato frustrante il concetto di identità di genere musicale, sono in generale allergico ai paletti estetici e a tutte le forme di coercizione artistica: la bellezza di un brano musicale dovrebbe esistere in quanto tale e non finalizzata ad un utilizzo, e il compito di una label che si muove in un terreno “underground” dovrebbe essere proprio quello di garantire la libera circolazione di musica autentica e di qualità, bypassando i canoni mainstream e proponendo delle reali logiche alternative. Creare una label con l’idea di fare quello che già altri hanno fatto o stanno facendo e’ una strategia che non appartiene ad Holotone.
Insieme a Giovanni Conti con Artefacts Mastering studio negli ultimi anni avete stabilito una sorta di “standard” creando un vostro soundamrk portando ad un livello superiore il mastering nel mondo dell’elettronica. Mi viene da chiedere, quanto ha influito la vostra impronta sonora sul successo di Stroboscopic Artefacts?
Credo che l’influenza di Artefacts Mastering e di Dadub sia stata un elemento chiave nel successo di Stroboscopic Artefacts, dal momento che le conoscenze e il background mio e di Giovanni hanno contribuito enormemente a dare all’etichetta, soprattutto durante i suoi primi passi, quella visione ed estetica che ora viene riconosciuta come la sua identità. Come Dadub ci siamo infatti sempre rifiutati di sottostare a logiche estetico-compositive proprie dei clichè della classica techno “straight 4/4” – cercando invece di innovare il genere – e con Artefacts Mastering Studio abbiamo fornito un preziosissimo know-how tecnico alla label.
Artefacts Mastering studio continuerà ad essere un riferimento per la neonata Holotone?
Certo, Artefacts Mastering Studio si occuperà della postproduzione di tutta la musica che Holotone rilascerà in futuro.
Che tipo di “missione” c’è dietro Holotone, c’è un obiettivo chiaro per quanto riguarda lo stile e il suono o è solo la musica che conta nella scelta di una release?
Non c’è una visione estetico-stilistica ben precisa nella scelta della musica da rilasciare, se non la mia ossessione nel ricercare linguaggi creativi di rottura: quindi sì, è la musica in se’ che rappresenterà la discriminante fondamentale. Come accennavo prima vorrei mantenere le mie distanze da categorizzazioni di genere, quindi non selezionerò i dischi da rilasciare in funzione di un’appartenenza ad un genere piuttosto che ad un altro. Quella che ricerco è la capacità visionaria di un artista.
Avete una “Demo Policy” o vi affidate solo alla ricerca dei vostri A&R?
Dipende, anche qui non c’è una vera e propria politica: demo sono accetti, così’ come suggestions e proposte. Lascerò giocare al fato un ruolo importante in questo processo.
Parliamo di supporti: digitale/CD/cassetta/vinile, quanto incide il medium di diffusione nel lavoro di una label e quanto contano tutte le features tipo il packaging, eventuali booklet, stampe, artworks…?
Il medium di diffusione è da un lato molto importante, contribuisce infatti a dare un’identità sonora ad una label; dall’altro, invece, non può diventare un elemento condizionante. Mi spiego: quello che con Holotone vorrei evitare è di legare l’estetica del progetto ad un formato di diffusione specifico. Quasi sicuramente, a parte il vinile, sperimenterò’ presto delle uscite limitate, magari sfruttando cassette, CD, o anche digitale, chissà mi sto ispirando molto al concetto di “anti-formato”.
Riguardo le features trovo anch’esse molto interessanti, laddove naturalmente supportino un prodotto musicale di qualità’. Personalmente mi piace concepire un disco come un’opera d’arte in generale, trattando le cosiddette features al pari della musica in sè: scelta editoriale che ho applicato con il mio debut album ad esempio.
Quando ho deciso di lanciare Holotone ho invece voluto concentrare quasi tutto il focus sulla componente sonora: il che non vuol dire aver tralasciato aspetti grafici, ma solo aver ponderato diversamente gli sforzi. Nel prossimo futuro ci saranno sicuramente uscite in cui le features giocheranno un ruolo importantissimo.
Torniamo un attimo sulla questione mastering, l’obiettivo dovrebbe essere quello di rendere un prodotto discografico capace di suonare bene su ogni supporto di ascolto. Spesso ho invece la sensazione che, da un lato per molti artisti il mastering sia una sorta di “color patch” (passami l’anglicizzazione del termine) mentre per altri serva solo ad alimentare la Loudness War. Per te, che del mastering ne hai fatto un lavoro, quanto e in che modo deve agire la finalizzazione sulle tracce che usciranno sulla tua label?
Quello che dici è vero, spesso lo stadio mastering va ben oltre quello che dovrebbe essere il suo compito, andando addirittura a riparare errori di produzione e di mixdown. Guardando al mastering da una prospettiva un po’ meno tecnica, esso può dare un contributo estetico ad un brano o ad una etichetta, che è quello che AM Studio ha fatto con Stroboscopic Artefacts ad esempio, o andando un po’ più indietro è quello che accadde con Dubplates & Mastering e Basic Channel, “si parva licet componere magnis”. Cercherò quindi degli approcci di mastering che diano un contributo non meramente tecnico alle produzioni di Holotone, per quanto a priori non sai mai cosa accadrà durante il mastering di una release.
Parliamo della promozione, oggi gran parte della produzione elettronica si trova ad essere sempre sempre più proiettata verso logiche mainstream o quanto meno “overgournd” con operazioni di marketing ben calibrate, scelte di nomi di traino (che magari hanno poco in comune con la linea dell’etichetta) e grossi investimenti in comunicazione. In relazione a tutto ciò con Holotone come scegliete di muovervi ?
Hai toccato un punto molto delicato nello sviluppo del panorama musicale underground odierno, dal momento che negli ultimi anni stiamo assistendo a dei cambiamenti tanto veloci quanto profondi, causa prima l’aumento quasi esponenziale del pubblico interessato e di conseguenza del bacino di mercato di riferimento, tanto da farmi essere pienamente d’accordo con te quando parli di “overground”. Personalmente ho un rapporto quasi contraddittorio con il concetto di promozione artistica e marketing in generale: da un lato mi piace ancora vivere nella convinzione che la musica parla da sola quando di qualità, bypassando del tutto eventuali strategie di mercato. Dall’altro, portando la riflessione su di un piano un po’ più pragmatico, mi rendo conto di come allo stato attuale delle cose la promozione sia diventata un elemento cardine nel management di una label. La questione aperta rimane quindi sull’uso di certe tecniche piuttosto che sulla loro esistenza. Mi spiego: quanto corretto è manipolare i media per far apparire un prodotto qualcosa che non è? O ancora, quanto può essere cinico manipolare le aspettative degli utenti?
Se ci pensi bene non sarebbe così’ complicato costruire un profilo mediatico non rispondente al vero, andando in questo modo ad inficiare profondamente l’onesta’ intellettuale che dovrebbe contraddistinguere una scena artistica underground. Le tecniche di vendita e promozione sono un’arma a doppio taglio: se da un lato possono essere di enorme aiuto ad un artista meritevole e sincero nelle intenzioni, dall’altro possono invece spalancare le porte del successo ad artisti che del cosiddetto “underground” hanno fatto un vero e proprio brand, cosa che, filosoficamente parlando, è una profonda contraddizione “in nuce”.
Parlando del mio progetto, Holotone si avvarrà sicuramente di una rete di promozione, ma non saranno mai fatte scelte di convenienza seguendo un certo hype o producendo artisti piuttosto che altri in base a trends di mercato. Anzi, la sfida è quella dare un contributo alla scena facilitando la circolazione di musica di qualità, e se questo processo deve essere coadiuvato da un lavoro promozionale pianificato non me ne tirerò certo fuori.
Su quali nuovi progetti o artisti state lavorando, se ce ne puoi parlare, ovviamente?
Al momento i progetti su cui stiamo lavorando sono, a parte gli ultimi dettagli del mio EP come Inner8, l’uscita dell’EP di Koichi Shimizu e l’organizzazione delle future releases probabilmente firmate da Ina Ynoki e Sofus Forsberg: ci sarebbero altri nomi di cui fare cenno, ma i tempi non sono ancora maturi per poterlo fare. Sto concependo delle serie limitate, ma anche qui è tutto molto prematuro per poterne discutere. Sul fronte eventi dovrei organizzare un nuovo showcase in Berlino per l’EP di Koichi e sto valutando se organizzare un Holotone Showcase europeo. Dopo il lancio dell’etichetta al Berghain Kantine a Gennaio, ho passato Febbraio tra Giappone e Thailandia con Cubert, sYn e Koichi Shimizu per promuovere la label: è stato bellissimo poter condividere la vibe di Holotone con i partecipanti ai nostri eventi, per questo vorrei ripetere l’esperienza in Europa quanto prima.
Un’ultima domanda, ormai sei a Berlino da tanti anni e come dicevamo sopra come Dadub, come Artefacts Mastering siete diventati un vero e proprio riferimento dalle vostre parti, hai mai immaginato come sarebbero andati avanti i tuoi progetti se tu fossi rimasto qui in Italia?
Se fossi rimasto in Italia non ho davvero idea di come sarebbero andate le cose. Probabilmente svolgerei un’attività simile, ma non so se allo stesso livello e sicuramente in maniera diversa da come lo faccio ora. Ho avuto la fortuna e la lucidità di lasciare l’Italia quasi sette anni fa, e in più all’epoca Berlino era un posto con molti più spazi aperti: questo framework più un luogo ricco di inputs e idee (come Berlino) sono stati decisamente due punti chiave che hanno giocato a mio favore.
Grazie di cuore Daniele, e in bocca al lupo per Holotone e Inner8!
Il podcast che Holotone ci ha regalato in esclusiva è curato dalla new entry Ina Ynoki: nascosto dietro al moniker Ina Ynoki si cela la mente poliedrica del polistrumentista, dj e producer elettronico visionario Roberto Dolcetti. Dopo aver calcato i palchi della scena italiana hardcore punk per oltre 25 anni (periodo in cui ha raccolto un’incredibile collezione di macchine analogiche e dischi) ha seguito la sua forza gravitazionale spontanea verso la musica elettronica sviluppando lentamente la sua unica e non-convenzionale arte di campionare in cui è facile individuare l’eco di una cultura musicale senza limiti. Ina Ynoki ha recentemente iniziato a lavorare a The Dowser Series, una collezione di improvvisazioni in vinile missate e prodotte in esclusiva per Dromoscope Editions. Dedicato a quello che potrebbe essere descritto una pratica quotidiana quasi sciamanica di rabdomanzia vinilica, The Dowser Series apre un canale sul profondo rapporto peculiare di Ynoki con i supporti musicali fisici.
Il podcast preparato per Frequencies è un’anticipazione della sua tecnica “impro”e celebra la sua traboccante e disinibita arte della miscelazione. Buon ascolto!
Trystero Theorem