Sasha pres. Last Night On Earth NYE London 2015

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Sasha è stato il primo metti-dischi a essere definito dalla stampa una Superstar.
Nel 1994 il direttore di Mixmag lo buttò in copertina col titolo Son Of God? e per giusta riconoscenza si prese un pugno in faccia.
Laurent Garnier invece ricorda quando abitavano assieme a Manchester, entrambi resident all’Hacienda, e come ottenne i primi ingaggi nei grandi eventi a condizione di farlo arrivare a destinazione sano e salvo data la sua fama di festaiolo incallito. Protagonista nei raduni illegali perseguitati dalle autorità inglesi, per anni attrazione principale di quella giostra infinita di Ibiza, maledettamente serio quando si tratta di musica (chiedere alla proprietà dell’Ushuaia cui ha imposto le domeniche a ingresso gratuito). Le sue compilation Global Underground, Renaissance e Northern Exposure con John Digweed sono leggenda.
Pur essendo di base un Dj generalista come si usava una volta, quando i set duravano fino a chiusura e il cachet era inferiore a quello di un cameriere, il nome Sasha richiama uno stile preciso: progressive house. Un sottogenere del sound di Chicago che a ben guardare forse non esiste, dai ’90 a oggi ne contiamo almeno sei evoluzioni completamente differenti tra loro se non per il basso profondo e, appunto, progressivo. Come abbiamo detto in altre occasioni è più corretto parlare di attitudine: il Dj prog si serve di tracce a mo’ di mattoncini Lego, ma a differenza della techno lo scopo non è creare un loop senza soluzione di continuità, quanto piuttosto un flusso emotivo che si allunga e ritrae come la marea. Garnier paragona le canzoni alle parole di una storia, Sasha alle sillabe o agli ideogrammi giapponesi che si susseguono privi di spazi o punteggiatura.

Se c’è una cosa che si impara frequentando club e festival è evitarli durante le feste comandate.
Non c’è supplizio peggiore del ritrovarsi bloccati in compagnia di fenomeni col naso imbiancato come Cortina in Vacanze di Natale, e v/beline urlanti richieste assurde a un Dj più concentrato a farsi soddisfare da chi sta sotto la consolle che non a far godere chi si trova davanti.
Halloween, Ferragosto, Primo Maggio, la sera del 25 dicembre, Pasqua e Capodanno; lineup sontuose, locations sempre più grandi, un ricchissimo trenino per la gioia dei promoter e del loro conto in banca. Anche nei club più importanti hit killer colpiscono il bersaglio una dietro l’altra. Allegra fattanza ed edonismo involontario per divertirsi, ma poco utile a chi pretende qualcosa di più.

Abbiamo quindi scelto in maniera lucida e consapevole di trascorrere le 24 ore finali del 2015 all’Electric Brixton di Londra proprio perchè la nostra fiducia in Alexander, questo il suo vero nome, è totale quando gioca in casa ed è lui a decidere ogni dettaglio.
Terminata la stagione balearica, da ottobre si è chiuso in studio con un solo obiettivo: rendere memorabile un set lungo otto ore la notte di Capodanno.
Il posto scelto per l’occasione è un ex teatro senza fronzoli nella zona sud, in un quartiere popolare lontano mille miglia dai festeggiamenti lussosi della City.
Inoltre il party non è andato sold out già in prevendita perchè rivolto a una clientela adulta, molta della quale reduce della golden age of rave. Insomma chi ha comprato il biglietto sa cosa vuole e del brindisi della mezzanotte non gliene frega un cazzo. Il massimo della concessione sono stati gli auguri di rito sotto una cascata di palloncini.
Alle 22 siamo già dentro e Sasha sta finendo il rodaggio di impianto (un po’ troppo sbilanciato sui bassi) e consolle composta da un mixer Allen & Heat 92, quattro CDJ Pioneer 2000, e altrettante unità Pioneer Rmx 1000.

I disc-jockey capaci di tenere la pista per così tanto tempo sono esemplari in via di estinzione, un po’ perchè la figura del resident è diventata marginale e questo fa sì che non si impari più a gestire le diverse fasi della serata, un po’ perchè nonostante la mole impressionante di possibilità offerte dal mondo digitale oggi la tendenza dominante spinge a essere monodimensionali: grande conoscenza del proprio genere ma guai a uscire dalla comfort zone.
Il Dj di talento invece è colui che si prende dei rischi trovando spunti dove gli altri non osano avventurarsi, senza porsi limiti di definizione.
La cassa spinge decisa, la scaletta dimentica ogni porto sicuro facendo struggere chi si venderebbe l’anima per sentire Xpander o Mongoose. L’onda cresce, le melodie si ritirano per lasciare campo libero a una pioggia di meteoriti (finalmente qualcuno che usa i modulari in maniera alternativa al solito blip astratto!).
Per mescolare le carte in tavola sono stati coinvolti Jonas Rathsmann e Matt Tolfrey che si avvicendano nel ruolo di assist man. Il comandante in capo è però sempre lui, Sasha, un artista talmente sicuro di sè da controllare di rado il dancefloor, dando l’impressione che stia suonando in cameretta per pochi intimi; ha in mano il flow e può condurre il pubblico ovunque ne abbia voglia.

Sono le sei e mezza quando si dissolve l’ipnosi collettiva: intorno a noi solo grandi sorrisi e applausi quasi avessimo celebrato per davvero la nostra ultima notte sulla Terra.

Federico Spadavecchia

 

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