Luca Schiavoni: È la prima settimana dell’anno, e il concetto di inizio aleggia in quasi tutte le teste per un po’ di giorni – finché non ci si rende conto che fa parte anche questo di una routine. Può quindi essere un momento adatto per rivisitare gli esordi di alcune etichette storiche, tuttora attive sulla scena, e riflettere sulle loro evoluzioni (a volte, purtroppo, involuzioni).
La scelta é quindi caduta sugli “001” di sette etichette, scelte in modo un po’ istintivo, ma solo tra quelle ancora in attività, siano esse piú o meno prolifiche. I tuffi nel passato remoto spesso aiutano a rileggere il presente.
Alcune di queste etichette sono rimaste in un modo o nell’altro fedeli al proprio suono iniziale; altre si sono espanse e sono diventate dei giganti dell’elettronica a 360 gradi. Altre, come la M_nus, hanno preso direzioni discutibili, legate a trend piú passeggeri che peró – va detto – esse stesse hanno contribuito ad iniziare, per cui non sarebbe giusto derubricarle a semplici “bandwagon jumpers”. Al di lá delle conclusioni che si possono trarre, i fatti dicono che queste etichette hanno iniziato cosí:
M_Nus: Plastikman ed il suo album “Consumed”. La prima del primo disco era questa.
Metroplex: evitare Juan Atkins era impossibile, ed anzi sarebbe stato un peccato mortale. Trent’anni di Metroplex celebrati l’anno scorso con un ottimo album (il suo “Digital Solutions”) e qualche altro buon singolo. Correva l’anno 1985 e iniziavamo ad avere un’idea di cosa sarebbe significato il nome Model500 per la storia della techno.
Planet E: Nel 1991, L’etichetta di Carl Craig iniziava con un EP straordinario, felicemente chiamato “Eevolute”. Ecco la A-1 di quel vinile, firmata da un certo Stefan Robbers aka Florence.
Planet Mu: Questa label è iniziata due volte. Senza mai finire. Prima nel 1995, sotto l’ala della Virgin; tre anni dopo, Mike Paradinas (noto anche come µ-Ziq) la rifondò come indipendente, insoddisfatto del lavoro della Virgin nel promuovere il suo lavoro. Questo è il primo degli inizi.
R&S: È difficile inquadrarla, ed altrettanto difficile non ammirarla anche se certe scelte possono apparire discutibili. Trentadue (32!) anni dopo, il cavallo di Renaat Vandepapeliere & Sabine Maes è ancora lì, più rampante che mai. L’inizio? Non proprio in linea con la techno da annali che ci ha regalato negli anni successivi, dato che si trattava di una cover di “Can’t Get Enough Of Your Love” di Barry White.
Underground Resistance: questi signori di Detroit hanno sfornato talmente tanti classici, che spesso ci dimentichiamo delle loro cose più recenti. UR è ancora viva e vegeta, anche se viaggia a ritmi lenti – il che è in fondo coerente con la sua natura anti-mainstream. Tutto iniziò nel 1990 con un meraviglio inno house, ed il resto – nel vero senso della parola – è e sarà sempre storia.
WARP: anche qui si parla di giganti, come nel caso di R&S e Planet Mu. Errori pochi, soddisfazioni tante, e qualche necessaria furbata come l’hype creato intorno a “Syro” di Aphex Twin, forse non il miglior lavoro di Richard D. James ma un grandioso successo nelle classifiche. Vengono le vertigini se guardiamo in basso e scendiamo fino al 1989, quando l’inizio venne affidato ad un disco al quale non diedero neppure un titolo (“Track with no name”).