Nella bella intervista realizzata da Luca Galli su Blow Up di dicembre Massimiliano Loretucci e Riccardo Frosoni, in arte Commodity Place, lo dicono chiaramente: “Quello che per noi veramente conta non è l’originalità di una canzone o l’innovazione che essa porta, ma condividere con chi ascolta i nostri brani le emozioni che proviamo noi ogni volta che li componiamo“.
Nati a Roma nel 2006, la discografia del duo si caratterizza per le influenze di generi classici quali kraut, prog, ambient, blues, chill out. Dai Pink Floyd a Pete Namlook passando per Manuel Gottsching e KLF.
In effetti si potrebbe discutere la scelta di votarsi anima e corpo a stili così tanto sviscerati che ormai hanno poco, se non niente, da aggiungere all’evoluzione della musica, eppure il risultato è così perfetto da trasformare un punto di, presunta, debolezza in un’architettura da sindrome di Stendhal. La sensazione è quella di trovarsi immersi nella bellezza.
La chitarra torna a essere protagonista quasi in purezza, oscilla tra nuvole di beat e synth, sussurra poesie e quando necessario si carica di energia cosmica per rafforzare il bioritmo dell’ascoltatore.
Requiem for a living planet è un mix di tracce già edite (Chenini, Solis, walking lost in the fog, Isn’t) e pezzi inediti (Clouds Inside Me, Requiem For a Living Planet, Welcome to the New Day, Life is a Gorgeous Lie, Mare Imbrium), ed è il modo migliore per entrare nella dimensione dei Commodity Place, un luogo in cui è facile perdersi come quando nel buio della notte si ammirano le stelle.
Federico Spadavecchia