Light From the Outside World: Una Notte al Barbican Hall con Jeff Mills

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Light From the Outside World si riferisce ad una teoria che ho studiato e fatto mia nel tempo, secondo cui la realtà non è come la vediamo, ma frutto di qualcosa che è successo da qualche altra parte”.

In queste parole, pronunciate sabato sera da Jeff Mills poco dopo l’inizio del suo show a Barbican Hall a Londra, c’è la spiegazione di quello che il capostipite del suono techno ha voluto fare nelle quasi due ore del suo show con la BBC Orchestra. E forse è anche la chiave per interpretare l’intera sua carriera; e la costante, a volte quasi spasmodica, corsa verso l’avanti e verso l’altrove che si percepisce in molti suoi dischi, quei dischi che hanno definito prima e meglio di chiunque altro il suono techno, il suono dell’immaginazione del futuro.
Mills è spesso definito un “alieno”. Con un portamento quasi etereo, compassato ai limiti del disarmante, chiaramente non ama i protagonismi. Lui che forse vorrebbe che la sua musica fosse la colonna sonora di profonde e silenziose meditazioni, vive il curioso paradosso di stregare milioni di persone che non riuscirebbero a stare ferme al suono dei suoi dischi neanche sotto tortura. Non è quindi un caso che il suo posto sia sul lato del palco, per il resto occupato dall’orchestra della BBC (ed in particolare da un’imponente sezione di archi, prominentemente in vista), lasciando il posto centrale al direttore d’orchestra.

Dietro “Light From The Outside World” c’è un lavoro meticoloso e lungo. Un lavoro cominciato molti anni fa, quando – correva l’anno 2006 – Mills produsse e pubblicò Blue Potential, rielaborazione dal vivo dei suoi brani più noti con un’orchestra di settanta elementi. Quella di sabato a Barbican è una versione rifinita di quel progetto, nella quale molti suoi classici vengono riproposti in arrangiamenti imponenti e maestosi.

L’inizio è lento e dolce. L’orchestra sembra quasi scaldarsi e prendere il ritmo, ma è solo il prologo prima che Jeff prenda brevemente la parola per salutarci. Quasi subito dopo è il turno di un suo brano molto melodico e avvolgente: “Gamma Player”, uscito sotto lo pseudonimo di Millsart ormai vent’anni or sono. Chi conosce la versione originale ne apprezzerà l’organicità e la perfetta armonia; ascoltarla dall’orchestra della BBC toglie quasi il fiato, con gli archi che riproducono il tappeto sonoro con lievità celestiale.
Ormai il ghiaccio è stato rotto; il ritmo sale, il pubblico comincia a sospettare cosa potrà accadere fra poco.
Mills ha studiato tutto nei dettagli, come al solito, e ha pensato ad una scaletta in cui, di brano in brano, l’intensità cresce. Inesorabilmente, la ritmica scandita dalla sua drum machine diventa sempre più la spina dorsale di tutto quello che ruota intorno. Al resto pensa un’orchestra della BBC meravigliosamente calata nel ruolo.
Amazon” di Underground Resistance suona quasi drammatica e solenne, ma non è quello il motivo per cui sempre più persone si stanno alzando in piedi – e stanno decidendo di restarci.

Ben presto, infatti, arriverà l’inevitabile apoteosi della serata. “The Bells” irretisce come e più di sempre, archi e fiati la rendono una marcia gioiosa e trionfante. È un attimo, Barbican Hall diventa il teatro di un rave; ed è lecito sospettare che i componenti dell’orchestra non abbiano forse mai assistito a nulla del genere.
L’apoteosi  è stata raggiunta, ma questo non significa che l’atmosfera si faccia meno elettrica. Né potrebbe essere altrimenti nel momento in cui Mills e l’orchestra decidono di continuare sulla strada dell’epica, calamitando il pubblico con brani di cui molti già conoscono l’impatto, ma che questa sera possono solo suonare ancora più sorprendenti. Su tutti, “Sonic Destroyer” esalta gli archi dell’orchestra sprigionandone la potenza e dando il colpo finale ad un pubblico ormai conquistato, pronto a restare lì per altre due ore se solo si potesse.
Purtroppo invece non si può. Ma Mills si dà il tempo per un lungo e doveroso epilogo, con tanto di bis di The Bells che, se possibile, fa ancora più colpo di prima e lascia addosso al pubblico ulteriore voglia di sentirlo e muoversi al suo ritmo.

Nel finale, Mills dimostra ancora una volta di essere un grande artista ed una persona con poco ego, lasciando spazio ad un brano non suo, che tuttavia è un omaggio all’intera scena di Detroit: l’orchestra interpreta “Bourgie Bourgie” di Ashford & Simpson, un brano molto suonato dai DJ della città quando lui iniziava a frequentarne la nightlife – uno dei tanti brani che, grazie a sample e riadattamenti, ha lasciato un segno in qualche brano importante della storia più recente dell’house music.
Uscendo da Barbican Hall, restava la sensazione di aver assistito a qualcosa di quasi irripetibile, forse anche per chi era sul palco. E mentre è quasi ovvio che i membri di un’orchestra raramente si ritroveranno in una situazione del genere, meno atteso è lo stupore che sembra aver attraversato lo stesso Jeff Mills, che col suo tono dimesso faticava a trovare il modo giusto per salutare il pubblico. Ma forse è proprio nel suo farsi piccolo e normale il segreto di un uomo che mette il suono al centro di tutto, trovando con naturalezza il trait d’union tra un’orchestra e una Roland TR-909. Come si è meravigliosamente ammirato in una sera d’autunno britannico.

Luca Schiavoni

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