SenderFlos – The Eyes (BaconAnDecks)
Questo trio (i due Flos, che basano la loro ricerca su strumenti autocostruiti, e Sender, che ci mette l’elettronica) pubblica un mini album estrapolato da oltre otto ore di registrazioni, in bilico fra elettroacustica, improvvisazione e ritmiche vicine alla techno industriale. Stimolanti l’approccio non convenzionale e il connubio fra strumenti tutto sommato “tradizionali” e apparecchi self-made i cui nomi lasciano spazio all’immaginazione: tavola di Flos, monotron, memory pipe. Il risultato finale però non lascia ben intendere cosa c’è dietro, non distinguendosi in modo sostanziale da quanto oggi si può ottenere con sequencer, drum machine e synth. Vederli all’opera dal vivo darà sicuramente tutt’altro spessore alle loro composizioni, a dimostrazione che nel 2015 molti dischi sono poco più che portfolio degli autori.
DP|N|P – Benthic (Triple Moon)
Il fondale marino, strato sabbioso intriso di organismi e sostanze nutritive in cui prosperano i frutti di mare. Benthic è dedicato a questo particolare habitat, la “zona bentonica”, ma è un po’ una scusa per sondare le profondità dell’animo umano. Facile immaginarsi echi attutiti dalle acque, gorgoglii, sorgenti sonore nascoste e misteriose, droni distorti dalle correnti. A queste suggestioni i DP|N|P aggiungono vocalizzi femminili dall’impressione rituale e onirica. Stefano De Ponti all’elettronica, chitarra preparata e field recordings, Vincenzo Nazzaro alla chitarra ed effetti e Cristina Pullano alla voce: una collaborazione a distanza dalle atmosfere immote (concretizzatasi nell’arco di due anni) che se fosse stata disponibile solo un paio di mesi prima avrebbe potuto salvare dei malcapitati dai disgustosi assalti reggaeton delle spiagge nostrane. Musica per assopirsi al sole, o per sognare di farlo.
Fennesz & Ozmotic – Aireffect (Folk Wisdom/SObject)
Prestigiosa collaborazione per il duo torinese degli Ozmotic, che per questo progetto si avvale dell’apporto del notissimo sperimentatore austriaco. Annunci istituzionali preregistrati che si mescolano a richiami di fruttivendoli, campanacci delle greggi e bassi atmosferici, background magmatico per una colonna sonora noir destrutturata, dalla tensione sottile e inspiegabile messa in evidenza dalle trame del sax. Ritmi tenuti alla catena talvolta si palesano in ricordi anni Novanta. Fennesz ha abituato chi lo conosce a soluzioni ben più azzardate, comunque Aireffect è un album ben congegnato, dalle atmosfere notturne e urbane, segnato da una malinconia di fondo che viene chiarita nella traccia conclusiva: vi compare un messaggio in segreteria telefonica (gli anni Novanta, ancora) di un’innamorata, con tutta probabilità respinta.
Andrea Cazzani