Le citazioni sono detestabili, ma trovo sia difficilmente possibile esprimere altrimenti questo concetto:
“Atonale potrebbe significare soltanto: qualcosa che non corrisponde affatto all’essenza del suono. Già la parola tonale viene usata in modo non giusto, se la s’intende in un senso esclusivo e non inclusivo“.
Proseguendo nella lettura di questo frammento del Manuale D’Armonia di Arnold Schönberg (Vienna, 1921), giunge inevitabilmente la conclusione:
“Ma chiamare talune specie di rapporti atonali, è altrettanto inammissibile quanto lo sarebbe chiamare a-spettrali o a-complementari dei rapporti tra colori. Una simile antinomia non esiste”.
Stabilito questo possiamo dire tranquillamente che musica atonale = pittura acromatica.
Tornando indietro al 1913 ritroviamo che L’arte dei rumori di Luigi Russolo, Manifesto Futurista, sancisce storicamente l’ingresso del rumore in musica, affermando che ormai l’utilizzo delle dissonanze e di sempre più complicati intrecci di frequenze erano dati per scontati. Si trattava in effetti di conseguenze evidenti dell’influenza sull’ambiente di tutto ciò che può essere definito come il prodotto della civiltà della macchina e della corrente alternata, fattori che avrebbero modificato per sempre la vita dell’uomo.
Luigi Russolo, ispirato da queste nuove circostanze, costruì l’intonarumori, uno strumento composto da varie unità, basate su meccanismi atti a produrre sonorità comunque acustiche, non elettrificate, e manovrabili tramite delle leve, in modo da permettere appunto l’intonazione dei rumori da esse prodotto.
Il fatto che ogni rumore contenesse un tono, anche se non facilmente individuabile, e che fosse perciò comunque intonabile, era ormai un dato acquisito. L’intento di Russolo non mirava tuttavia al rifiuto del suono in favore del rumore in quanto tale, ma piuttosto si dirigeva verso la ricerca di melodie nelle quali rumori e suoni si potessero mescolare con un glissando.
All’inizio del XX secolo si era preso atto che i tempi erano cambiati, che il rumore del motore e della vita della città, inclusa la novità della vita notturna permessa dalla diffusione della luce elettrica, avrebbero modificato per sempre la sensibilità estetica sia intesa come percezione del rumore, sia come velocità impressa alla vita sociale nel suo complesso.
Oggi quando a teatro propongono composizioni del 1800 procedono con un’esecuzione leggermente accelerata rispetto all’originale, che per il pubblico attuale risulterebbe decisamente “giù di giri”.
Tutti ormai conoscono la connessione tra la storia dell’industria e quella della musica, così come quella tra accelerazione e tonalità. Quest’ultimo rapporto può essere esperito tramite le possibilità date dal campionamento, oppure tramite un comune giradischi, modificando appunto il pitch, o semplicemente selezionando 33/45 giri dal cassone finto radica della zia.
Per sottolineare lo stretto rapporto tra modernità, produzione industriale ed estetica musicale ricordiamo che la prima ondata di musica techno arrivò nel corso degli anni ’80 da Detroit, la città dell’automobile, i Kraftwerk svilupparono ciò che è noto con il nome di electro dal bacino carbonifero della Ruhr, mentre l’Atonal festival che si svolge nuovamente in questi anni a Berlino ha luogo in un’imponente ex centrale per la produzione di energia.
L’intonarumori, macchinario di circa un secolo fa, agiva tramite meccanismi formati non da motori o circuiti, bensì da rocchetti, corde, leve che regolavano tensioni e strofinamenti di vario genere, aprendosi avventurosamente alla produzione di variazioni continue, non splittate su una scala, come accade per i moderni strumenti digitali. Si trattava dell’esito di un’intuizione formalizzato nel modo più radicale possibile.
L’avanguardia russa presto riprese questa tematica, sebbene in un modo più impetuoso e maggiormente legato a una tematica socialista che modernista in senso stretto, senza tuttavia esulare dalla ricerca di nuovi sistemi microtonali.
Possiamo dire che la fascinazione romantica per l’avvento della macchina è un fenomeno che ha avuto il suo apice proprio in Italia, mentre in quel periodo gli inglesi, nell’occhio del ciclone della rivoluzione industriale, avevano altro a cui pensare.
Nonostante le discrepanze, ad ogni modo il Suprematismo fondò la sua estetica su canoni affini a quelli futuristi, che ben si prestavano a rappresentare e rafforzare le grandi utopie sociali del XX secolo. Nel 1922, l’anno del trattato di Rapallo che vedeva impegnato Lenin in quel di Genova per chiudere quello che sarebbe stato un riavvicinamento tra la Russia e la Germania, a Baku i sovietici celebravano il quinto anniversario della rivoluzione d’ottobre con una performance di Arseny Avraamov. Questo spettacolo non includeva un Function One e delle proiezioni olografiche, bensì l’impiego della flotta del Mar Caspio, dell’artiglieria, degli idroplani, e delle sirene delle fabbriche della città.
In quegli anni si sviluppava anche il Dadaismo in quel di Zurigo, e fu proprio questo il tramite che permise a questa nuova estetica di approdare finalmente anche in Germania, dove nel frattempo Schönberg, trasferitosi a Berlino dall’Austria, stava sviluppando la dodecafonia come prodotto accademico volto al superamento dell’utilizzo canonico della scala cromatica, tendendo all’elusione del centro tonale del discorso musicale.
Successivamente Schönberg, maestro anche di Cage, dovette emigrare negli Stati Uniti per ovvi motivi, mentre la Germania marciava verso la catastrofe sulle note di Wagner, che era stato fatto tornare di moda per l’occasione non per una qualche frivolezza, ma più insidiosamente per sostenere la fondatezza di un intero sistema di pensiero.
Secondo lo stesso Schönberg possiamo dire in definitiva che anche in una composizione nella quale sono presenti dei colpi di cannone, rapporti diversi tra le note, distorsioni drastiche, ci troviamo comunque di fronte a musica tonale in senso lato, sebbene questa tonalità non sia sempre di facile determinazione.
Per la musica dodecafonica venne introdotta infatti in senso lato la definizione di pantonale. Neppure il silenzio di Cage è atonale: semmai è afono.
Allo stesso modo una pittura acromatica si risolverebbe invece con la rappresentazione del nero, e sarebbe dunque sempre identica a sè stessa.
Il nero è infatti un non colore, mentre il silenzio corrisponde ad un non suono (nel senso generale di manifestazione acustica).
Questa categoria detta “atonale” oggi in uso è nata dunque da un errore linguistico, come direbbe Wittgenstein, e questo fraintendimento -voluto?- porta ad una falsa libertà per una falsa categoria, permettendo ad artisti improvvisati di cimentarsi con dei droni a caso cambiati maldestramente, con delle scoregge analogiche alla moda senza direzione nè verso, per coprire le brutture delle distorsioni digitali bidimensionali, spesso definite “sperimentali”, o ancor peggio “di ricerca”.
Nella migliore delle ipotesi ci troviamo di fronte a tentativi inconsapevoli di reiterazione approssimativa dei canoni del minimalismo classico, oppure di scimmiottamenti dell’electro wave ritornata di moda, conditi con qualche break per fare il verso al dubstep, raramente con delle eccellenze punkeggianti.
Avanguardia? Dopo un secolo pare ci troviamo invece di fronte a poche idee, ma belle confuse. Ce n’è abbastanza per far rimpiangere, senza dover sentire la necessità di sovrastrutture ideologiche, di non aver potuto assistere al live di Baku del 1921.
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