Polymorphism Pt. 5: Hieroglyphic Being

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Dopo i canti propiziatori di guerra, la tempesta: un muro di drum machines asincrone riverbera nella sala investendo il pubblico. Lo stacco è netto, brutale. Jamal Moss sembra un timoniere in un mare in tempesta che fatica a mantenere la rotta.
Il moniker Hieroglyphic Being è noto per la sua ricerca di strutture eccentriche, e nella sua performance in solo può muoversi a briglia sciolta senza cercare compromessi. Rispetto alla sua apparizione dell’anno scorso in coppia con Morphosis, capiamo subito che ha lasciato da parte i fronzoli per puntare dritto al cuore dello stile Chicago più crudo, intricato e industriale.
Il suo progetto si sviluppa in continuo dialogo con l’errore. Non cerca una continuità ipnotica e prevedibile, ben quantizzata, come farebbe un normale impiegato che mette delle lacche in un club, uno di quelli che spesso e addirittura con l’ausilio di un computer cerca di imitare i suoi miti di carta col ciuffetto, che giocano la partita dei grandi numeri. Si avvale invece delle incongruenze, delle sbavature, andando a cercare incastri non programmatici e soprattutto non automatizzabili. Viene da sorridere a questo punto pensando alla famosa dichiarazione di David Guetta quando poco tempo fa disse che a causa di un qualche scompiglio del suo computer, avrebbe dovuto suonare “alla vecchia”, dunque senza la playlist già compilata, dovendo dunque addirittura andare a cercare le tracce una per una, per metterle poi automaticamente in battuta con il suo programma per dj.

La gestione dell’errore umano nella ricerca di Jamal è come un viaggio intrapreso in un territorio tabù per un dj. Il fuori sync è considerato appunto alla stregua di uno sbaglio, e spesso lo è veramente, in quanto il focus è incentrato su qualcosa di più ampio. Chi non ha notato sperimentando, o assistendo ad una performance, che a volte particolari ritardi, o particolari anticipi, od incastri sonori ritmicamente incongrui, capitati per caso, rendono in realtà qualcosa di estremamente elettrizzante, sensato, appropriato, dunque infine giusto? Certo, la rottura dello schema passa per il rischio della dissoluzione del senso, e questo esito a volte, inevitabilmente, si manifesta. E’ a questo punto che il timoniere senza bussola deve riportare la nave sulla giusta rotta.

Si tratta di avere il coraggio di prendersi delle responsabilità, anzichè infilare a tempo delle hit una dietro l’altra.
Quello è molto più semplice, e sicuramente apprezzato dalle masse, ma ci sono anche altri continenti da esplorare.
Infilare un pezzo dei Suicide, o dei Cabaret Voltaire, su una base ritmica fatta di ferraglia analogica di Chicago tipicamente sincopata nel modo che tutti conosciamo, attraversando repentinamente più di trent’anni di musica secondo linee dettate unicamente dal proprio senso dell’orientamento, non è certamente cosa semplice. Il proprio senso dell’orientamento si adatta alla propria mappa, che come sappiamo, non è il territorio.

Perchè i Panasonic hanno fatto un disco con Alan Vega? E’ una questione, appunto, relativa al proprio senso di orientamento sulla propria mappa. Per chi ha paura di perdersi c’è il genere, la mappa ufficiale: è possibile dunque seguire un tal genere, e suonarlo. Fare questo risulta più pratico, e meno rischioso, ma anche questo fa parte del gioco: non possono mica tutti permettersi di parlare la propria lingua e pretendere di essere compresi. Con ciò, beninteso, non intendo esaltare gli esiti della sperimentazione fine a sè stessa, erigendo a modello questa o quell’altra produzione, bensì intendo nobilitare la ricerca di un metodo proprio come atteggiamento, con tutti i rischi che questo comporta, a fronte della certezza di non essere mai dei semplici manieristi, della carne da cannone. Storicamente la sua fonte di ispirazione è radicata in quel momento dei tardi anni ’80 in cui si suonava un misto tra roba tedesca tipo DAF, musica indistriale inglese, e house locale che usciva a Chicago che non era altro che una forma di punk afroamericano, fatto di batteria elettronica e bassline di plastica, a volte un campione, oppure della voce improvvisata, senza troppe masturbazioni attorno all’affare tecnico, ma con consapevolezza del fatto che c’era qualcosa da dire, perchè la musica viene dalla visione, dall’atteggiamento, e non dalla macchina in sè.

La linea di Hieroglyphic Being è quella della gente che ricorda Lil’Louis più per Frequencies che per French Kiss, con la differenza che i primi conoscono anche il resto della storia, mentre i secondi si sono quasi sempre fermati alla superficie di un fenomeno, quello dell’house, che ha canalizzato atteggiamenti e tensioni sociali ben più profonde prima di giungere a quella condizione globale “di maniera” che oggi diamo per scontata.

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