Il nostro corrispondente Niet Signala coglie l’esperienza dell’evento Polymorphism, svoltosi il 17 giugno al Berghain di Berlino, per sviluppare criticamente degli spunti relativi a vari segmenti della ricerca musicale “sui generi” che attraversa il panorama contemporaneo. Questo approfondimento è suddiviso in sei puntate, ciascuna dedicata ad un artista che diviene dunque incipit di un’escursione più ampia.
Polymorphism come molti sapranno è un contenitore sorto nel 2012 nell’ambito dell’organizzazione CTM di Berlino, che opera in concomitanza del festival Transmediale, e viene introdotto come un incrocio tra serata da club, concerto e laboratorio sperimentale. Chiaro, viviamo nella società dello spettacolo e la comunicazione è importante, ma quando uno si ritrova a leggere la dicitura “Festival of adventurous music and art”, ricorderà forse che “Adventures in sound and music” è il sottotitolo del benemerito The Wire magazine, e a questo punto potrà iniziare a pensare seriamente ad Indiana Jones, ed in un certo senso, quando arriverà il momento dei Senyawa, la cosa parrà anche sensata. Sulle pomate utilizzate dai promotori per lubrificare gli eventi ci sarebbe molto da dire: in Spagna ci sono festival di musica “avanzada” e non si capisce di questi tempi rispetto a cosa, mentre in Italia accade che si ricorra a più sofisticati artifici metaforici, come quello dei famosi “paths”, che rievocano a seconda delle inclinazioni il percorso vita del camping Germania, la nonna di cappuccetto rosso, o il “boschetto della mia fantasia” di Elio, con tanto di orsetto. Tanti modi di dire “bellissimo” e divertirsi tutti assieme, ma parliamo ora invece di…musica.
RABIH BEAINI & DANIELE DE SANTIS
Salire le scale del tempio e vederlo trasformato in sala concerti è sempre spiazzante. In effetti è come trovarsi in un altro luogo, rispetto a quello adibito all’esercizio delle funzioni domenicali. La programmazione promette bene. Alcuni artisti sono noti, anche se in un contesto del genere non si sa mai che cosa possano decidere di fare, specialmente se si tratta di collaborazioni. Sapevo che De Santis stava sperimentando con l’amplificazione diretta di segnali elettrici, in una direzione che andava più verso Nikola Tesla che verso il jazz, ma la smentita giunge subito dall’attacco di batteria.
La sua collaborazione con Rabih Beaini, meglio noto per il suo progetto Morphosis, è sbocciata quest’anno, e si svolge in modo molto bilanciato. In questo progetto Rabih ha infatti abbandonato lo smanettamento afasico di sequenze analogiche e gli innesti quali ad esempio le litanie folk libanesi che aveva miscelato lo scorso anno nel corso della medesima rassegna, durante il suo duetto con Jamal Moss in veste di “essere geroglifico”. Naturalmente ha tralasciato anche l’utilizzo di ritmiche imperanti, escludendo un’eventuale e possibile beat elettronico di riferimento per l’improvvisazione di batteria, caratteristiche queste più consone al suo progetto Morphosis. In questo senso è De Santis che l’ha fatta da padrone, sfoggiando una maestria calibrata ma nervosa, di polso, aprendo via via un labirinto di continui break imprevedibili in mezzo alle fibrillazioni intermittenti di charleston, mantenendo le distanze sia dal funk che dal krautrock dei Can.
In suo favore si può dire che non è mai caduto neppure una sola volta dalla trappola virtuosisticamente egocentrica della rullata di sfoggio che vede impiegati tutti i pezzi della batteria: numero pacchiano, questo, da ventesimo secolo, nel quale tuttavia cadono anche dei maestri nel corso di rassegne jazz. Lo fanno per accontentare dei vecchi tromboni, o ancor peggio dei giovani che ragionano come dei vecchi tromboni, abituati alle solite modalità, in modo da dargli l’occasione per applaudire, e dire “bravo!”. C’è anche chi mangia i bicchieri, se è per quello, ma questa è un’altra storia. I trucchi per ingraziarsi il pubblico non paiono evidentemente necessari in questo contesto.
Il tappeto di frequenze tessuto da Rabih si arricchisce via via di increspature, a volte con oscillazioni di LFO, dando anche spunti dinamici mai bruschi e fornendo un appoggio costante che varia lentamente di densità, passando da una stagione all’altra, al variare del tenore ritmico.
Niet Signala