L’ultimo appuntamento con la rassegna Inner Spaces curata da S/V/N e dall’Auditorium San Fedele mette sotto i riflettori l’attore protagonista di questa serie: l’acusmonium. Stavolta l’impianto è in prima linea sul palco, gli studenti dei corsi di musica elettronica del conservatorio che compongono la Laptop Orchestra “1H20Nein” si accomodano dietro, quasi nascosti, per eseguire brani di Stockhausen e Parmegiani. Una prova didascalica (non si può pretendere di più) esaltata dall’ariosa spazializzazione sonora.
Ma gli spettatori aspettano solo Robert Henke, figura unica di musicista, ingegnere, sound designer, autore di installazioni, inventore e sviluppatore di strumentazione elettronica (ha fatto parte del team di sviluppo di Ableton Live). Se nel 2015 quasi chiunque può essere in grado di creare musica elettronica con il computer, Henke può prendersi buona parte del merito. Accostando l’acusmonium a una figura di tale spessore ci si aspetta l’inaudito. Il musicista si accomoda al banco regia, solo l’impianto sul palco, la sala nel buio totale, che l’esperienza immersiva abbia inizio.
Ad occhi chiusi, concentrati sul suono originato verosimilmente da registrazioni ambientali processate, si percepiscono (opinione soggettiva) massi sospesi nel vuoto che ruotano con lentezza estenuante, tangibile, gravosa. Attorno ad essi danzano sciami di insetti ignoti, ruscelli, gocce di pioggia in una pozzanghera di fango o su un tetto di legno, cateratte di ghiaia, risonanze di tubi metallici lunghi chilometri, la risacca, altra pioggia, un’alternanza di momenti coriacei e cristallini. Basse frequenze di elettricità statica messe in evidenza da subwoofer densissimi chiudono la performance, causando prurito.
L’esperienza è insolita, molto apprezzata dalla fetta di pubblico meno avvezza a spettacoli di questo genere, ma ci sono delle riserve. Come agli albori della musica stereofonica le registrazioni tendevano a esagerare l’effetto con suoni che balzavano senza sosta da un diffusore all’altro, come le prove di trasmissione della tv a colori consistevano in immagini di fiori sgargianti dai contrasti impossibili, l’intenzione di spingere l’acusmonium sempre al limite a lungo andare sortisce l’effetto “dimostrazione“: un amico ha osservato, giustamente, “sembrava volessero vendermi un acusmonium“. Il presunto realismo delle sonorità è un superrealismo sintetizzato che i sensi riconoscono come simile, ma che nelle modalità di diffusione non somiglia affatto alla realtà.
Una sensazione particolarmente evidente nel caso di Henke che ha tratto la sua performance da registrazioni di alcuni tra i fenomeni naturali più sfruttati acusticamente. La sua ricerca sembra ormai cristallizzata, senza voler togliere nulla alla basilare importanza di questo artista in più ambiti: la sperimentazione oggi guarda altrove.
Andrea Cazzani