Imaginary Forces: Entropia & Energia

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Anthoney J Hart è un musicista che proviene dalla periferia di Londra. Con un passato di DJ nei rave e nelle radio pirata inglesi, ha saputo condurre la sua musica dalla Jungle primordiale ad astratte composizioni pesantemente influenzate dalla teoria dell’improvvisazione, da riferimenti letterari allucinati come J.G. Ballard e dai contrasti sociali che lo circondano.
Un viaggio senza ritorno tra soundscapes oscuri, percussioni ossessive e una rara attitudine oltraggiosa.
Negli anni sono usciti (spesso auto-producendosi con la sua etichetta, Imaginary Forces) release estremamente diverse tra loro ma accumunate da un continuum noise di pregevole fattura, miscelando ritmi postatomici ad abissali droni, residui Techno subacquei alla musica industriale, il tutto in un’ottica palpabilmente morbosa e allucinata.
Anthoney si è recentemente trasferito in Svezia e sta portando avanti egregiamente il suo progetto, con innumerevoli uscite che ben rappresentano la sua esplosione creativa e urgenza espressiva.
Di seguito trovate uno stralcio della conversazione che noi di Frequencies abbiamo avuto recentemente, in cui potete trovare informazioni sul suo background e le sue mosse future.

Ciao Anthoney, potresti raccontarmi cos’è Imaginary Forces?

Ho iniziato a suonare nei primi anni ’90 comprando dischi Hardcore e Jungle, suonando spesso nelle radio pirata di Londra e dintorni. Intorno al 2003 mi ero abbastanza stancato dell’ambiente D&B ed ho preferito esplorare altri contesti musicali. Decisi di chiudere questa mia esperienza con le radio pirata, cambiando il mio pseudonimo ma continuando comunque a produrre D&B sperimentale fino a quando non ebbi la possibilità di mettermi al lavoro sul mio primo disco.
Questo disco si rilevò un fallimento personale sotto molti punti di vista, facendomi chiaramente capire che avrei dovuto lasciarmi alle spalle la D&B e lavorare solo su ciò che desideravo veramente fare. Iniziai così a sviluppare tutte le idee che avevo avuto in mente fino ad allora, riuscendo a portare a compimento il mio secondo disco  che mi rese particolarmente soddisfatto. Fu un enorme passo in avanti lontano da quei rigidi parametri che ha la musica dance, nonostante lavorassi ancora combinando energia, bassi e beats.

Ascoltando le tue produzioni, si nota un bilanciamento tra i ritmi (Jungle, Techno, Hardcore uk) e i suoni di matrice Industrial/Noise. Ci racconti come sei arrivato a questo approccio sonoro?

La progressione naturale del mio suono è figlia dell’esperienza che ho acquisito nel modo di comporre e tutto ciò che in genere ascolto. Sono arrivato alla conclusione che gran parte del mio attuale background non deriva solamente dai grandi maestri dell’elettronica come Xenakis, Parmegiani o artisti contemporanei come Pan Sonic, ma anche dal mio passato tra suoni dell’Hardcore inglese. L’esperienza che ho vissuto in mezzo ai sound-system e alle radio pirata riesce ancora a influenzarmi ed è ancora molto presente in quello che faccio: mi riferisco al modo in cui strutturo generalmente il mio suono, l’uso dei bassi e dei ritmi come la parte centrale delle mie composizioni.
Durante un mio recente live set a Leipzig, dove ho trovato un favoloso soundsystem, ho perfino avuto la sensazione di star suonando uno dei miei set Hardcore del passato. Probabilmente a causa dei bassi intensi, del modo in cui la battuta si spezza e cambia, di un’energia leggermente caotica e frenetica sempre presente nella struttura e nella forma dei miei più recenti set.

Entropy & Energy: sembra riassumere efficacemente il senso della musica che produci. Quali sono le tue influenze quando componi? C’è un concetto di base che fa nascere i tuoi progetti?

Analizzando la mia discografia degli anni ’90 – con label come la HNR Records, De Underground, Absolute 2 – è evidente come le mie produzioni fossero casalinghe e con una qualità non propriamente eccelsa. I miei loop di batteria erano pessimi e pieni di sìbili, le mie composizioni assolutamente bizzarre e con standard ben inferiori a quelli odierni.
Da quei dischi, comunque, si può facilmente intuire come la psichedelia fosse già allora un parte fondamentale delle mie produzioni. Lo si coglie ogni volta che il loop giunge alla sua ripetizione infinita, rinnovandosi irriversibilmente e permettendo al concetto di entropia di farsi strada come equazione del disordine.
È questa la caratteristica entropica della materia psichedelica che mi appassiona. L’energia che conduce all’interno di questa teoria ne è la forza trainante, ne è momentuum iniziale e tutto ciò deriva dal fatto che la mia musica ha un background dance piuttosto che industriale.

Hai pubblicato in CD, vinile, cassette e digitale. E’ semplicemente capitato o scegli il formato in base alla natura del progetto? Su quale preferisci far uscire la tua musica?

Le prime release sono uscite su CD semplicemente perché era l’opzione che mi era stata data dall’etichetta. Una volta aver lasciato quella label ho pubblicato su CDr e cassetta in quanto opzioni più abbordabili da un punto di vista economico. Sono solito pubblicare il materiale più ambient/noise/sperimentale su cassetta in quanto non ho nessun interesse a mixarlo. Per il resto della mia produzione, quella più ritmica, preferisco di gran lunga un supporto come il vinile, che ovviamente mi riporta alla mente il mio passato di DJ, al mixaggio e a tutti i vari mixtape dell’epoca.

Che strumentazione prediligi per produrre? Di che cosa necessiti invece durante la dimensione live?

Ti do una vaga idea di quello che uso di solito: un computer con una vecchia versione di Cubase, un paio di VST, un Macbook, Ableton, Max MSP, un mixer in uscita, un Casio CZ101, un microfono e molti altri piccoli strumenti. Al momento sto usando semplicemente un MacBook con Ableton e Max MSP per i live, in quanto rende tutto molto più semplice se uno necessita di muoversi.

Parlaci della tua etichetta, la Sleep Codes, che usi per far uscire i tuoi dischi. Come è nata? Pensi farai mai uscire dischi di altri artisti?

La Sleep Codes è nata dopo che lasciai la prima label con la quale producevo, in quanto non ricevetti nessun compenso dopo l’uscita dei dischi. Capii che creare la mia label sarebbe stato il modo più semplice per far uscire la mia musica e un progetto che che avrei potuto utilizzare ogni volta che avessi voluto fare musica. Soprattutto finì per essere lo spazio dove poter sperimentare libero dalle aspettative degli altri e dove ho finalmente trovato la mia identità sonora tramite Imaginary Forces. Fu pensato come un progetto molto personale e continua ad esserlo tutt’ora; per questo motivo non ho nessuna intenzione di pubblicare materiale altrui.

Hai lasciato Londra recentemente e ti sei trasferito in Svezia. Quali differenze ci sono rispetto a quello che era la scena musicale in UK?

Se devo essere onesto ho l’impressione di aver trovato in Svezia un ambiente molto provinciale e di mentalità ristretta. Sono qua solamente da 6 mesi quindi spero che la mia opinione a riguardo cambierà in un futuro prossimo.

Approposito di futuro, quali progetti hai in serbo prossimamente?

Sta per uscire un album per la Entr’acte, un 12” su Bedouin Records, un 12” su Fang Bomb, un 12” su una nuova label che un mio amico sta tirando su e un altro 12” per il mio nuovo progetto ‘Basic Rhythm‘ su White Asega.
Inoltre sto lavorando ad altri piccoli progetti e idee. Questo album e il resto dei vari 12” esprimeranno le mie reali intenzioni con Imaginary Forces, non solo da un punto di vista del suono ma anche delle tematiche e del contenuto.
Queste release si concentrano sul mio background sociale e su tutto ciò che riguarda i concetti di razza, classe e genere.
Tutti argomenti che spero di poter esplorare e analizzare tramite la mia musica.

Gabriele Bertucci

Foto in copertina: Tilde Fredholm

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