The House of House: Successo, Fallimento e Rinascita della Bonzai Records

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Simon Reynolds non è mai stato tenero nei confronti della Trance. Negli anni ’90 ne sottolineò infatti gli impulsi prog rock in senso spregiativo, proseguendo all’alba del nuovo millennio denunciandone il disimpegno, l’aver bandito la rozza energia hip hop e reggae dell’hardcore (ricordiamo che in Uk il termine hardcore non è sinonimo di gabba n.d.r.), che andava di pari passo con l’ascesa all’apparenza inarrestabile di superclub multinazionali come Cream e Gatecrasher.
Chissà se il critico inglese sa che fu proprio una etichetta reggae, per di più belga, Paese che ha eletto il brutalismo a inno nazionale, a gestire il più famoso ponte di collegamento tra il ritrovato amore per l’estasi acida che fece da miccia al fenomeno trance degli albori, e la base di quella che sarebbe diventata una delle bolle commerciali più imponenti di sempre.
La Bonzai Records, sublabel della Lighting Records, fu fondata nel 1992 da Christian Pieters alias Dj Fly nel retrobottega di un negozio di dischi, il The Blitz.
A firmare la prima uscita è il boss in persona assieme alla Queen of Terror Liza ‘N Eliaz, ex musicista electro/industrial innamorata della gabba, purtroppo venuta a mancare nel 2001.
La release è un manifesto del percorso intrapreso già a partire dal titolo, E-Mission, sotto il moniker Stockhousen: 6 minuti di hard stomps, bassi aspiratutto, e un riff incandescente che, seppure ancora lontano dalla potenza dei successivi anthems, rende chiara la volontà di trasmettere all’ascoltatore un’euforia ad alto voltaggio, amplificando oltre ogni limite gli effetti dell’MDMA.
Per questa ragione la ritmica è semplicissima, una cassa dritta e gonfia che pompa anfetamina a oltre 140 bpm, mentre la melodia, costruita sui sequencer, si traduce in ordini perentori al cervello di rilascio no stop di serotonina.
Il canone stilistico verrà poi affinato dalla crew B.W.P. Experiments nello Strictly Underground E.P. del ’93.

Vista la differenza rispetto alla dolcezza dei lavori di Jam & Spoon (Stella e il remix di Age Of Love pubblicati sempre nel ’92 su R&S), o al tocco acid degli Air Liquide e della scuola di Francoforte si inizia a parlare di hard trance. L’immaginario di riferimento è il cyberfuturismo, a ballare si va vestiti in fluorescenti tute spaziali armati glowsticks. Niente a che vedere con la fantascienza detroitiana, è una pura questione di edonismo, fuga dalla realtà, esaltazione di una avanzatissima tecnologia ludico-ricreativa.
Yves Deruyter è un dj locale attivo da metà anni ’80 che ha appena iniziato a produrre musica.
…Animals, numero 4 del catalogo Bonzai, ricordata per quell’inciso perverso woman having sex with animals, segna il primo centro di una lunga serie di hits.
Il business adesso è una cosa seria e Yves diventa una colonna portante del progetto; l’anno seguente esce Rave City, un brano hardcore senza fronzoli, che conquista il mercato tedesco fatturando 50 mila copie, ma è nel 1994 che arriva il capolavoro.
Un 12″ denominato semplicemente IV contiene Calling Earth, un bleep alieno che si carica e riparte come una molla sull’ormai classico cassone agli steroidi. Si contano 70 mila copie vendute.
Sul B side c’è un remix del singolo precedente chiamato Cherry Mix, in omaggio al Cherrymoon, un locale di Lokeren che entrerà nella leggenda della Club Culture per essere stato il quartier generale della scena. Probabilmente però il motivo per cui non lo dimenticheremo mai è perchè celebrato dal mega inno rave The House Of House (1994) del collettivo Cherrymoon Trax (di cui fecero parte diversi artisti tra cui Deruyter e ora composto dai soli Philip Dirix e Youri De Pauw), un synth impetuoso che sale all’infinito con il campione vocale storpiato di The House Of God di D.H.S. (mentre in Let there be house lo spunto è Mr. Fingers).
E’ un periodo magico per i dischi dalla copertina verde, ogni colpo arriva al bersaglio, soprattutto nei Paesi Bassi, in Germania, Svizzera e Italia, dove ha stretto un patto d’acciaio con la progressive.
A proposito del giro Insomnia e Imperiale, bisogna per forza soffermarsi su The First Rebirth (1993) di Frank Sels alias Franky Jones e David Brants aka Axel Stephenson: un carillon zuccheroso, un filo malinconico, alimentato da un reattore nucleare. Da affiancare a Lost in love del tedesco Legend B (1994, 3Lanka rec.).

Per quanto alle produzioni tendenti all’hardcore citiamo tra gli altri Dj Looney Tune, Joyrider, Dj Bountyhunter e Traxcalibur.
Chi invece nel tempo ha cambiato completamente direzione è Marco Bailey, il quale ben prima di affermarsi star techno, si fa notare per Scorpia (1996), traccia hard trance da manuale (e ci sarebbe anche da commentare il passaggio su questi lidi di Terence Fixmer).
Se Transfiguration (1995) di Dave Davis riprende le armonie di The First Rebirth per un goal a porta vuota, i Quadran incassano un assegno in bianco dando alle stampe Eternally, più canzone che tool da Dj, molto soft caratterizzata da un arpeggio killer e un cantato angelico dall’elevato potenziale radiofonico.
La fine degli anni ’90 vede il debutto di un nuovo top player e al contempo l’abbandono definitivo del prefisso hard.
Dirk Dierickx potrebbe entrare nel Guinness dei Primati per il numero di alias che possiede. Ne citiamo un paio: Push e M.I.K.E. (nome col quale nel 2000 si è ribattezzato ufficialmente).
The Real Anthem (1998) è senza dubbio un titolo presuntuoso per un vinile, ma se la puntina incontra un martello del calibro di Universal Nation allora forse è il caso di riconsiderare la faccenda.
Nonostante il tiro dritto come una spada e il riff ai raggi laser non troviamo più la violenza sonora del passato, è tutto molto più raffinato e mentale, secondo il canovaccio trance proposto in Germania e Olanda (vedere alla voce Paul Van Dyk e Ferry Corsten). L’hard trance, con buona pace dei puristi, sta mutando in uplifting e piano piano scopre sempre di più il fianco al pop.
In questo senso si muovono i Fire & Ice, Laurent Christian Georges Véronnez detto Airwave, e lo stesso Mike stavolta come Plastic Boy.
Tutti impegnati a comporre melodie strappalacrime (i maligni come il buon Reynolds dicono per favorire l’ecstasy) con pause sospese e ripartenze ad effetto.

Ancora non si spiega come sia stato possibile che nel 2003, pur con tutte quelle frecce al proprio arco, e un pozzo senza fondo di ristampe cui attingere, la Bonzai abbia rischiato di sparire nel nulla. Pare infatti che la casa madre, Lighting Records, abbia subito un tracollo finanziario e sia andata in bancarotta.
A salvare la baracca è stato Dj Fly insieme ad alcuni vecchi amici ora presi come soci in affari, Marnik (ex A&R della Lightning), Yves Deruyter e Airwave, in compagnia dei quali ha fondato una nuova società, la Banshee Worx.
Nonostante il proclamato intento di restare fedeli allo spirito degli esordi, la rinata Bonzai deve scendere a patti con un panorama musicale che è enormemente cambiato, purtroppo non in meglio, sia a livello artistico che di mercato.
Con gli anni dieci si aprono sfide inedite, la label prende l’assetto di un intraprendente gruppo aziendale formato da divisioni, reparti e diversi brand per accontentare un pubblico quanto più vasto possibile.
Per quanto andrà avanti e se il gioco vale la candela è difficile dirlo, certo è che dopo l’euforia dei ’90 ci vorrà del tempo prima che il down possa dirsi superato.

Federico Spadavecchia

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