La difficoltà nell’accedere ad un biglietto fa già sospettare che il termine “festival” sia solo tecnicamente corretto, data la lista di artisti che vi si esibiscono; dopo i tre giorni trascorsi al Baskerville Hall Hotel ci si rende definitivamente conto che si tratta di un grande “house party” (nel senso di festa in una casa) in cui si ritrovano amici di vecchia data insieme a qualche nuovo “iniziato” (come chi scrive), quest’ultimo quasi sempre connesso a chi già c’era dato il severo meccanismo di assegnazione dei biglietti.
Ecco perché, nonostante il crescente “hype” e la sempre maggiore attenzione mediatica (innegabile quando anche Resident Advisor arriva a mettere l’evento al primo posto tra le “cose da fare a Luglio“), gli organizzatori del Freerotation non battono ciglio e continuano imperterriti a chiudere il circolo e far succedere tutto in una piccola e splendida cornice tra le colline del Galles, circondati da una natura verde e pacifica.
Arriviamo sul luogo nel tardo pomeriggio di venerdì, in tempo per farci rapire dalla bellezza del paesaggio sotto un cielo sorprendentemente sereno (diverrà grigio nei due giorni successivi, senza per fortuna che la tipica pioggia britannica si trasformi in un problema).
Molti sono intenti a montare le tende e salutarsi, dopo aver passato ore nel traffico per arrivare fino qui con vari mezzi.
È forse per questo che l’atmosfera della prima notte di Freerotation ci sembra al di sotto delle aspettative, dopo tutto il bene che ne avevamo sentito dire da chi c’era già stato. Eppure le ragioni per lasciarsi andare immediatamente ci sarebbero già dall’inizio della musica nelle tre sale (anzi quattro, considerando anche una tenda che ospiterà set ambient e chill-out di notevole caratura).
Nonostante svariati cambiamenti in corsa del programma, per via di ritardi nell’arrivo a destinazione di alcuni artisti, la partenza è almeno in teoria piuttosto decisa, con i set di alcuni residents (su tutti Alex Downey in Room 2, che apre la strada ad October con della splendida techno).
Dopo mezzanotte, le cose in Room 1 si fanno serie, con il team Hessle Audio (Ben UFO, Asusu, Pearson Sound) ma soprattutto con Conforce, autore di un live deep-techno pulito e avvolgente, e più ancora con Shackleton. Quest’ultimo è ormai parte della famiglia del Freerotation, e ci regala un live forse poco sorprendente per chi già lo conosce, ma sempre irresistibile nella sua capacità di trovare schemi ritmici inusuali ed ipnotici, sollecitando nervi e muscoli che neppure si sapeva di avere.
Tutto questo ci distoglie da qualcosa che sarebbe stato altrettanto imperdibile, quale il set ambient di Surgeon nella tenda chill-out (una piccola tenda in cui il pubblico è per lo più steso o seduto per terra).
Fortunatamente possiamo farci un’idea di cosa sia stato ora che l’artista lo ha postato sul suo Soundcloud, nell’attesa di acquisire l’ubiquità per i festival successivi…
Nel frattempo, in Room 3 iniziava il set di Leif (un altro resident, autore tra l’altro di un album molto acclamato da Resident Advisor lo scorso anno) sempre abile nel proporre suoni profondi e avvolgenti, senza mai perdere il contatto con il dancefloor.
Ogni volta che lo si ascolta, il fondatore della label Until My Heart Stops ci dimostra di essere un grande DJ e di meritarsi il posto che occupa, e forse anche di più.
In linea con una prima serata un po’ sottotono, il set back-to-back di Tama Sumo & Lakuti delude un po’, complice lo spostamento di orari, che costringe le due DJ a suonare dalle 5 alle 6.30 di mattina con dei dischi che avrebbero dovuto essere per le 2 di notte.
Il duo si rifará ampiamente nel pomeriggio successivo. É a questo punto, nel “dome” (un tendone sull’erba del giardino della Baskerville Hall) che finalmente l’atmosfera e l’entusiasmo di cui avevamo sentito parlare per anni cominciano a venir fuori.
Il set deep-techno di XDB é qualcosa che ricorderemo a lungo volentieri, cosí come il live allegro ed entusiasmante di Portable, con i suoi suoni pieni e ricchi, ai quali aggiunge la personalitá della propria voce.
Era quello di cui avevamo bisogno per prepararci ad una sessione notturna nella quale, tra gli altri, spiccano il live di Steevio (uno dei fondatori del festival, con un incredibile e complesso modular synth), Magic Mountain High (Move D + Juju & Jordash), il djset di Joey Anderson, e soprattutto la splendida chiusura a 130BPM di un travolgente DJ Bone. Quest’ultimo, uno dei meno celebrati eroi di Detroit, ammanta la Room 1 del proprio “party vibe” irresistibile fino alle 6.30 del mattino.
Andiamo pertanto a dormire fiduciosi che l’ultimo giorno le cose vadano ancora meglio; ed in effetti, il set di Jus-Ed & Jenifah nel Dome ci accoglie nel modo giusto la domenica pomeriggio, prima di fare spazio a quella che é oramai una tradizione del Freerotation: il DJ set di Move D (questa volta accompagnato da Meanwhile) é veramente il culmine della festa, ricolmo di house classics e ballato da un pubblico in larga parte mascherato – anche questa é un’usanza dell’ultimo giorno del Freerotation, alla quale molti non intendono rinunciare.
Il tutto prima di una chiusura mozzafiato, in cui assistiamo al dipinto sonoro di Deepchord, prima che Burnt Friedman introduca il gran finale: un sontuoso, inarrestabile crescendo di Donato Dozzy & Neel come Voices From The Lake.
Uno dei rari casi in cui la ritmica puó veramente restare sempre uguale per due ore, perché ció che vi ruota intorno assume un significato sempre piú intrigante, avvolgendo il pubblico gradualmente ma inesorabilmente.
Tanto da farci ignorare, ancora una volta, qualcosa che avrebbe meritato attenzione come i live di Trade (Surgeon + Blawan) in Room 2, o Juju & Jordash nella zona chill-out.
Si va via mentre la luna piena illumina le colline circostanti, lasciandoci raccogliere i pensieri su quanto abbiamo visto e sentito in tre giorni.
Il livello musicale é sicuramente notevole, su tutti i fronti, con delle punte sorprendenti che vengono da alcuni residents e habitué dell’evento; l’atmosfera non é peró quella di un vero e proprio festival, il che sarebbe anche un bene se non fosse che il tempo necessario a raggiungere il giusto entusiasmo del pubblico é un po’ lungo, e lascia molti con il desiderio di un giorno in piú che purtroppo non c’é.
Ció nonostante, Freerotation resta, con il suo connubio unico tra musica e natura circostante, un’esperienza da fare; magari piú volte nel corso degli anni, per entrare nello “zoccolo duro” di quello che resta un evento per poco piú di 500 persone al quale fatalmente molti non potranno mai accedere.
Eppure, nonostante l’apparente connotazione elitistica di tutto questo, l’esperimento resta uno dei piú validi in un’era in cui diventa necessario tornare al vero spirito “underground” per proporre determinati artisti e filoni musicali, dato il sostanziale fallimento dei ripetuti tentativi di espandere ed estendere la portata di determinati rituali e culture.
Restare piccoli, e farlo nel modo giusto, significa per certi messaggi artistici restare vivi.
Freerotation va sicuramente nella direzione giusta, e ha il potenziale per continuare a rimanere un’esperienza per chi la vuole davvero.
Luca Schiavoni