Man is a rope stretched between the animal and the Superman, a rope over an abyss.
(Friedrich Nietzsche, Così parlò Zarathustra)
Al Berghain scivola rapida un’altra notte infinita. Sui piatti girano potenti grooves metallici e negli occhi di chi ti balla affianco si può cogliere il riflesso di altri club leggendari e dei loro accaniti seguaci.
Ogni suono ha il suo momento e il suo perchè.
La musica stavolta è più incalzante e sudata del solito, vai in bagno a rinfrescarti ma quando esci ti accorgi che c’è qualcosa che non quadra: tutto appare angusto, stretto, e le canzoni decisamente rock.
Regis ci è riuscito alla fine, ha preso la techno e l’ha spinta a faccia in giù dritta in un cesso maleodorante del CBGB, per costringerla a fare i conti con sè stessa.
Si dice che quando stai per morire vedi tutta la tua vita in pochi secondi: qui però il sound di Detroit, spogliato dei colori funky e annichilito nello spirito, ne rivive soltanto il lato drammatico europeo, la paranoia assassina degli anni ’90, tra brutalismo belga e sferzate rave, le origini industrial dei seminali Test Dept. e Clock DVA.
Le riserve di ossigeno sono quasi al limite, l’allucinazione di essere tornati a fine ’70 è così vivida da mimetizzarsi con la realtà: il futuro da cyber torna ad essere post punk.
Evan T. Q. Kreeger è un ingegnere del suono e turnista tuttofare che ha iniziato a muoversi durante i primi ’90 nella Grande Mela, e che ha collaborato con eroi techno quali Damon Wild e David Sumner aka Function (con cui cogestiva uno studio di registrazione).
Nel 2011 l’incontro professionale con Karl O’Connor e scatta la scintilla, la passione comune per NYC e la new wave li conduce sul palco (entrambi amano divertirsi con microfoni effattati e strumenti live) e, anche se Man is a Rope identifica il processo compositivo di Kreeger, la mano dell’english murder boy si distingue perfettamente.
Expensive Cuts raccoglie in un bel cofanetto un mini album, il cortometraggio Boys Weekend (un mafia movie psichedelico), e un booklet scarlatto su cui spicca l’inciso, molto significativo, Empathy is a limited resource.
Le cinque tracce sono schegge ruvide e disperate come solo la No wave del Lower East Side sa essere, eppure al contempo ammicanti alla pista preferendo, a livello di attitudine, il caos techno all’anarchia delle chitarre.
Il basso, profondo e slappato, ti trascina con voce e ritmica nell’occhio del ciclone di questa anomala distorsione temporale, per poi farti tornare davanti a quel Funktion One, forse più confuso sui prossimi traguardi ma di sicuro più consapevole della strada imboccata.
Federico Spadavecchia