Lasciarsi alle spalle la Golden Age e andare oltre, quest’anno la Club Transmediale di Berlino è all’insegna della discontinuità o meglio Dis/Continuity.
Il focus della rassegna, giunta alla quindicesima edizione, è il rapporto tra passato e futuro, mettendo in contatto diretto i pionieri della sperimentazione elettronica con i protagonisti di domani.
Il programma prevede dieci giorni intensi tra conferenze, workshop e performance, con una line up di altissimo livello.
La storia recente di questo festival è strettamente legata a quella della città, che negli ultimi anni è stata frenetica e complicata, perchè ha dovuto gestire il difficile compito di paradiso terrestre dei giovani europei, specie di tutti coloro che sognavano lavori creativi e un life style bohemien.
Oggi infatti la Capitale tedesca è sostanzialmente spaccata in due: da una parte ci sono i locals (tra cui vanno inseriti anche gli stranieri che si sono integrati sia a livello lavorativo che linguistico e burocratico) e dall’altra quella massa informe di hipster et similia che pascola pigramente in attesa di tornare in patria a lavorare per papà, e che confonde il basso costo della vita berlinese (dovuto a un’economia povera) con un luna park in cui sperperare denaro, non rendendosi conto di complicare la sopravvivenza dei primi che dovranno affrontare un sostanzioso aumento dei prezzi.
Dimostrazione pratica? I tickets della CTM sono diventati particolarmente cari, soprattutto se riguardano club e artisti dal nome altisonante come Moritz Von Oswald e James Holden (25 Euro per un’ora di show); gli abbonamenti poi, a partire da 100 Euro, non sono nemmeno omni comprensivi.
Tuttavia, come detto, c’è un’altra Berlino che vive in parallelo, una Berlino che torna alle origini e cerca soluzioni alternative premiando l’estro e l’ingegno a dispetto dell’hype. CTM compresa.
Il mercoledì per soli 15 Euro abbiamo assistito alle esibizioni alla HAU 2 di Rabih Beaini alias Morphosis, Charles Cohen (una colonna della musica elettronica contemporanea) e Upperground Orchestra, prima singolarmente e poi in jam session.
Sintetizzatori modulari e free jazz, pulsazioni cosmiche spiegano corpi celesti al di sopra di un pubblico ammaliato e sognante.
Delude invece la prima festa al Berghain (22 Euro), che da tempio occulto è diventato il Reichstag della comunità dance.
Intendiamoci come club è sempre parecchie spanne sopra alla concorrenza per lineup e struttura, ma l’atmosfera speciale dei good old days è praticamente andata.
Nelle nicchie dietro alla pista del Panoramabar solitudine e Ipad hanno preso il sopravvento, e no, ci spiace, non dipende dal fatto che fosse una serata particolare aperta ad un pubblico più ampio del solito.
Vale la pena inoltre soffermarsi sull’ambiguità del locale di Friedrichshain: da una parte consolida il suo ruolo istituzionale (avete sfogliato di recente una Lonely Planet?) ma dall’altra tenta ancora di giustificare la propria door policy con la storiella che vogliono frequentatori e non turisti, quando i primi a muoversi altrove sono proprio i veri Berlinesi non più disposti a pagare certe cifre (20 Euro circa contro i 4/5 delle nuove mete) e a rinunciare alla loro intimità.
Perchè fanno gli stronzi all’entrata? E’ l’uovo di Colombo: se facessero entrare tutta la gente in fila non ci sarebbe lo spazio nemmeno per uno spillo!
Sfoltendo a caso e con cattive maniere invece alimentano il mito e il marketing.
I boss della CTM comunque dovrebbero farsi un paio di domande su quanto sia logico proporre una serata di una manifestazione che mira a richiamare più appassionati possibile in un luogo a carattere esclusivo.
Quanto alla musica il giovedì si salvano soltanto Samuel Kerridge, che pesta sull’accelleratore ed è sempre più calato nella parte (aspettiamo un suo remix di Wannabe adored degli Stone Roses), e i droni ipnotici di CM von Hausswolff.
La botta più dolorosa l’abbiamo accusata con i Porter Ricks che già all’Unsound non avevano convinto del tutto, ma allora si era detto fosse per colpa delle attrezzature, adesso invece abbiamo la certezza che è il duo a non funzionare più. Una performance al limite dell’imbarazzante che fa tremare i bei ricordi.
Helena Hauff e James Dean Brown presentano Hypnobeat ma il progetto è ancora decisamente acerbo e da sistemare.
Owen Roberts e orchestra bravi, ma ci stiamo ancora domandando la ragione della loro convocazione visto che l’idea di esplorare la Techno mediante strumenti acustici non ha dato i risultati sperati.
Al piano di sopra è una sfilata di inutilità: nè Recondite, Beneath o Sylwia offrono particolari spunti.
Molto meglio il venerdì che prende il via con il mini showcase Spectrum Spools alla Hau 1 (15 Euro).
Gli Innode sono il lato Pop della Raster Noton, mentre gli Outer Space dell’ex Emeralds John Elliott dipingono un affresco di melodie psichedeliche che va dai Boards Of Canada a James Holden passando per Ulrich Schanuss e perchè no Henry Saiz.
La notte è sempre al Berghain (15 Euro), anche se la serata rivale allo Stattbad targata Grounded Theory era assai invitante (Blawan, Byetone, K209, Nima Khak).
Il party non inizia benissimo: gli Oake fanno witch house ruvida e senza sugo, mentre Dasha Rush non riesce a imboccare una strada precisa risultando, ironia della sorte, troppo discontinua.
Per fortuna è il turno di Truss & Tessela che imbastiscono un live techno acid potente e dinamico, contornato da citazioni Uk Rave.
Regis e Russell Haswell si presentano come Concrete Fence in back to back digitale con due laptop: groove techno idustriali misti ad hardcore da primo Deejay Time in distorsione e gran finale coi New Order (Fine time), per un set allegramente ignorante da ballare fino alla fine.
Sublime la performance degli americani Metasplice: noise minimalista introspettivo da viaggio.
Spendiamo le ultime energie con Helena Hauff, stavolta ai piatti, che smartella con stile, selezione e skill, facendoci innamorare di lei ancora di più.
Nello stesso momento al Panorama Actress (dj set) sta suonando Axel F.
Tra gli eventi diurni merita una visita la mostra dedicata agli avventurieri sonori sovietici, con documenti e macchine provenienti dall’Archivio Theremin, e l’affascinante installazione N_Polytope di Jannis Xenakis sospesa sulla piscina (vuota) dello Stattbad.
Il sabato l’abbiamo dedicato alla scoperta della Berlino alternativa, quella fatta da eroi sconosciuti e leggende ancora da scrivere.
Tra immensi negozi di dischi di cui si narra l’esistenza ma che solo pochi tenaci diggers sono riusciti a trovare (eppure basta poco, ecco un piccolo indizio: Record Loft) e baretti arredati come video dei Duran Duran, spuntano serate tipo Cheap Acid (5 Euro), validissimo party devoto alla Tb 303, organizzato dal collettivo Mechatronica (che parla anche italiano) al Chesters (Kreuzberg), le feste house al Farbfernseher (5 Euro) di Kottbusser Tor e quelle all’ex illegale ://about blank (10 Euro) a Ostkreuz.
I fuochi artificiali conclusivi illuminano la Haus der Kulturen der Welt, quartier generale della Transmediale maggiore, dove Robert Henke porta in scena Lumiére (15 Euro).
Rispetto alla prima di Cracovia assistiamo ad uno spettacolo perfezionato nelle combinazioni dei raggi laser (così forti da accendere una sigaretta) e nei suoni, ancora più incisivi. Standing ovation!
La Club Transmediale 2014 viene archiviata come un’edizione che ha interpretato nel bene e nel male l’evoluzione dell’ultimo anno musicale, confermando la necessità di una svolta, perchè ora che anche l’industrial dance/techno-noise pare aver raggiunto il massimo livello di saturazione occorre stimolare idee originali e tracciare un nuovo percorso verso il futuro.
Federico Spadavecchia