Roly Porter “Life Cycle Of A Massive Star” (Subtext)

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Secondo album per Roly Porter, il volto oscuro dei seminali Vex’d, che si dimostra più prolifico dell’ex socio Kuedo.
La sua scelta di campo era già chiara con l’esordio solista del 2011 Aftertime: soundscapes isolazionisti glaciali e alienanti, una galassia composta da classica contemporanea, colonne sonore, ambientazioni techno ed industriali.
Proprio il tema spaziale è il cuore di Life Cycle Of A Massive Star, con cui l’artista inglese si incarica del difficile compito di raccontare al pubblico la vita di una stella, dalla nascita all’implosione nel buco nero che fagociterà tutti i pianeti circostanti.
Il disco ricomprende cinque fasi, cinque lunghi movimenti planetari che definiscono i passaggi fondamentali del corpo celeste, il suo ruolo nell’universo.
Lo spazio tuttavia non è più solo il luogo dove dimorano gli astri, ma è la dimensione in cui si muove sia l’uomo che il suono.
Porter studia meticolosamente la dislocazione degli impulsi acustici e la direzione degli effetti conseguenti (echi, riverberi), ma allo stesso tempo imprime un pathos degno della migliore tradizione cinematografica fantascientifica, passando dalla descrizione documentaristica all’epica.
L’uomo è l’universo all’interno del quale nascono, vivono, si esaltano, soffrono, muoiono i sentimenti.
La parola che identifica l’opera è: organico.
Cloud è la nebbia primordiale, nel buio cosmico polveri ed energia danzano per dar vita ad un mondo nuovo. La malinconica sinfonia sci-fi di Gravity accompagna la comparsa delle regole della fisica (o dovremmo dire dell’ansia?): prima scolpiscono crateri e vulcani poi liberano quella scintilla di luce che noi chiamiamo anima, permettendo così lo sviuluppo della vita sui pianeti intorno alla stella.
Lirismi e potenza grezza caratterizzano Birth, mentre le trame oscure di Sequence conservano il mistero dell’infinito.
Le frizioni in apertura di Giant innescano un gran finale drammatico: la materia si scompone per effetto di quella stessa corrente elettrica che l’ha formata.
Il buio torna ad inghiottire ogni cosa.

Federico Spadavecchia

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