Ron Morelli “Spit” (Hospital Productions)

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L’uscita del primo Lp di Ron Morelli a nome proprio, dopo vari ep incisi sotto pseudonimi quali Two Dogs in a House e U-202, non poteva che incrementare ulteriormente il clamore che già aleggia intorno all’etichetta newyorkese di cui egli è proprietario, la L.I.E.S., senza ombra di dubbio la label house del momento.
Abbiamo detto Lp? Ops. Perché Ron non considera assolutamente questo “Spit” un’ opera compiuta, bensì il primo capitolo di un trittico che si completerà nei prossimi mesi.
Una collezione schizofrenica che sia meno di un album ma più di una semplice compilation di tracce non connesse tra loro, diverso da ogni album convenzionale composto da un lato A e da un lato B. Non la classica esperienza di ascolto quindi, non il solito disco che si può prendere e gettare via quando si è distratti da qualcos’altro e riprendere dopo 15 minuti.
Insomma, che Morelli non sia il classico producer da sottofondo l’avevamo capito fin da subito. Del resto appioppargli la trita-e-ritrita carica di dj/produttore risulterebbe invalidante, meglio mente che dirige la Long Island Electrical System seguendo un’impeccabile etica DIY, stampando solamente la musica elettronica più intrigante ma allo stesso tempo sporca e figliadiputtana in circolazione, osando dove solo le aquile della FXHE hanno osato.
A sancire il profano vincolo dell’hype ci ha pensato il  neo-ghiottolino Dominick Fernow, stampando Spit sulla sua mitica Hospital Productions. Inutile sottolineare che la ‘alliance’ in questione ha fatto drizzare dall’emozione i più malenchi peli dell’intero plott a tutti coloro che in questo preciso momento storico preferiscono drizzare anche le orecchie, invece di abbassarle.
La copertina eloquente chiarifica ogni dubbio sul titolo: I play the street life, because there’s no place I can go. Materiale edile sul piatto e via che si parte.
Radar version” è un granitico intonarumori (voglio pensare che ci sia lo zampino del caro Fernow) che introduce  gli hit hat di “Modern Paranoia”, vortice da cui non si esce più.
Crack microbes” è una cavalcata che appare costantemente sull’orlo di collassare, prima di giungere ad una scarica tech-adrenalinica.
E mentre Spitprocede come un carosello malato, si giunge alla parentesi paranoico-introspettiva di “No real reason”, prima di mettere il punto e virgola a questo primo step con la carpenteriana “Slow down”.

Francesco Augelli

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