Vinile o Mp3? La Priorità sono i Negozi di Dischi

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Così ho passato quasi tutta la giornata al negozio. E’ questo qua il discorso della musica, se veramente ci sei dentro, che puoi andare in qualsiasi posto del mondo e in due ore hai l’impressione di avere trovato degli amici che non vedevi più da tanto tempo. Irvine Welsh, Colla (2001)

Mi ero ripromesso che non mi sarei mai infilato in quel ginepraio che è la polemica del nuovo millennio, vinile vs mp3, perchè l’ho sempre trovata tutto sommato sterile, buona per ingannare il tempo sui social ed utile soltanto a chi vuole un quarto d’ora di celebrità.
Un paio di cose però mi piacerebbe dirle, anche se, vi avverto, lungi da me sostenere la superiorità di uno sull’altro, il purismo dello strumento lo lascio volentieri a Red Ronnie e ai suoi corsi di chitarra su videocassetta.
Il fanatismo del supporto è paradossale riferito al Dj, voglio dire egli stesso è già di per sè un mezzo, ricordate 24 Hours Party People?: “La gente applaude il Dj, non la musica, nè i musicisti o gli autori, ma il mezzo“.

Non è passato poi molto tempo da quando il giradischi è stato accettato come uno strumento musicale, ed anzi in certi ambienti si storce ancora il naso a sentir dire che il Dj suona.
Se pensiamo alle origini, quando il nostro eroe era solo un tizio capace di smanettare su un soundsystem, i dischi erano di proprietà del locale, e fare un remix significava tagliare il nastro magnetico con la lametta da barba, è facile cedere alla tentazione di celebrarne le gesta eroiche, il mito.
Ma a conti fatti si trattava degli strumenti messi a disposizione dai tempi. Siamo sicuri che Larry Levan non avrebbe apprezzato la versatilità del digitale?
Non commettiamo l’errore di identificare il pittore con il tipo di pennello, forse che il compianto Levan sarebbe stato meno bravo se avesse proposto mp3?
L’analogico ha il compito di ricordarci il lato artigianale del mestiere che amiamo, la consolle è un laboratorio da maneggiare con perizia: sapere quali cavi collegare, come si comporta il suono a seconda che ci si trovi al chiuso o all’aperto e così via, ma soprattutto essere in grado di trovarsi a proprio agio con qualsiasi attrezzo si abbia davanti, perchè la tecnologia può anche cambiare ma il fine ultimo del Disc Jockey è sempre lo stesso: far ballare il pubblico condividendo la musica che ritiene più interessante.
Il Dj è non è una rockstar ma un tecnico, e non si può nascondere dietro una porta usb o una puntina.
E’ ovvio che chi è cresciuto negli anni ’80 e ’90 quasi sicuramente preferirà un approccio fisico (io sono tra questi), perchè più legato alla sua storia e al suo modo di immaginare il Dj.
Tuttavia per risolvere il problema non basta comprare vinili sugli store on line, perchè in rete gli acquisti si fanno tutti nell’identica maniera: in solitudine.
Al di là dei feticismi la conseguenza più grave della diffusione senza controllo dei formati virtuali è la perdita dei negozi di dischi (oggi ridotti a riserve indiane), luoghi speciali di aggregazione dove ti sentivi davvero a casa e potevi confrontarti con altri appassionati, imparando sul campo.
Ciò che val la pena rimpiangere è il senso di comunità che c’era ai bei tempi andati, quando si organizzavano gruppi d’ascolto per capire se un album meritava o no, ed il sabato pomeriggio era obbligatorio passarlo al bancone con le cuffie al collo discutendo di suoni con chiunque sedesse vicino a te.
Oggi è tutto molto più freddo, distaccato e non c’è edizione limitata o white label che possa riempire uno spazio, una volta dedicato al piacere di condividere, rimasto drammaticamente vuoto.
Fanculo allora alle guerre di religione digitale contro analogico, come sottolineano Bill BrewsterFrank Broughton c’è solo un tipo di musica che va suonata: quella buona. Ma ha bisogno di un tetto sotto cui crescere e vivere.

Federico Spadavecchia

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