Steven Tang “Disconnect To Connect” (Smallville)

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Se c’é una lezione che si puó imparare da questo disco, é di non lasciarsi influenzare dalla lettura delle “credit lines” prima di aver messo (e tenuto un bel po’) la puntina sui due dischi dell’album.
Produced in Chicago” é l’ultima cosa che ti aspetteresti di leggere da un album che in quasi ogni solco grida Detroit in tutti i suoi angoli e sfaccettature, con le sue ritmiche cosí classicamente techno e le atmosfere eteree che ti fanno tornare sia a Ron Trent (come la B-1 “Solace”) che alla UR, qual é la traccia di apertura “Soulstice”. Eppure Steven Tang il suo disco lo ha fatto proprio nella cittá musicalmente “rivale” e per certi versi alternativa (anche se tutti sappiamo che un vero conflitto non c’é e che la musica non si deve mai mettere nelle gabbie, per quanto scriverne a volte richieda questi dolorosi compromessi).
Ritmi ed ambientazioni diverse hanno tutte il denominatore comune della Motor city, incluso l’ambient-jazz di “It’s Perceived As Sound”.
L’eccezione puó forse essere rappresentata dalla C-1 “Heat Burst”, in cui Tang paga un tributo alla sua Chicago e ci regala un vorticoso groove acid che presteremo volentieri ai nostri dancefloor per qualche minuto; ed in parte dalla B-1 “Some Solace“.
Ció che di questo album salta all’orecchio é l’assenza di un dettaglio fuori posto. Tracce adattissime al dancefloor si alternano ad intermezzi sonori di spessore, che ne elevano il profilo e che, se ce ne fosse bisogno, lo rendono ancora di piú resistente al test del tempo.
É veramente complicato scegliere un brano che meriti maggiore evidenza rispetto agli altri, perché tutti sono dotati della profonditá che si richiede ad un lavoro che abbia l’ambizione di rientrare in questo stile musicale senza passare inosservato. Forse si puó fare una menzione speciale proprio per la title track “Disconnect To Connect”, in cui si coniugano profonditá e movimento grazie ad una bassline vibrante, incredibilmente a suo agio in un contesto cosí ovattato e leggero.
Un album che senza dubbio eleva la giá alta reputazione della Smallville di Julius Steinhoff, etichetta tedesca dai suoni sognanti e visionari il cui segno sulla scena underground si fa sempre piú evidente.
Se non fosse per il fatto che questo sound ha ormai pochi margini di innovazione, e che l’importante oramai é esprimerlo bene, meriterebbe anche di piú di 4/5.

Luca Schiavoni

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