Apocalypso Disco di Riccardo Balli (alias Dj Balli, fondatore dell’etichetta Sonic Belligeranza) è un libro raro, se non unico, nel suo genere: non solo è un libro sulla cultura rave scritto dall’interno della scena (finora sono stati pubblicati testi più o meno validi sull’argomento da commentatori esterni, sociologi o giornalisti musicali) ma è un tentativo dell’autore di portare la propria poetica musicale nel campo letterario.
Se già conoscete Dj Balli sapete di cosa sto parlando: le sue performance sono blob onnivori che fagocitano breakbeat spastici, brutture 8 bit, Enya, Pacciani e happy hardcore, digeriscono il tutto sommariamente e lo rigurgitano sull’ascoltatore.
Nel declinare su carta le sue tecniche dadaiste d’assalto Balli pratica ciò che lui stesso definisce “remix letterario”, una riscrittura di un testo preesistente che gli serve per delineare, in chiave ironica, la complessa galassia della cultura rave.
A questi esperimenti sono affiancati racconti autobiografici (come il capitolo Dead by Dawn 1995, preziosa fotografia di una scena breakcore ai suoi albori) e interviste a personaggi della poliedrica scena breakcore/harsh noise come Fringeli, Eiterherd, Slepcy, Pablito El Drito, e il suo compagno in Belligeranza, Ralph Brown.
Nel libro è presente anche un capitolo chiamato Follia Per Sette Ghettoblaster, che è appunto un “remix letterario” del libro di Philip Dick Follia Per Sette Clan.
Il remix sta qui nel sostituire ai differenti clan patologici del romanzo le diverse tipologie di raver: l’house, il goa-trance, il junglist, il gabber e così via.
I sette clan si riuniscono per affrontare una nuova minaccia: l’arrivo di un nuovo sound che rischia di frantumare queste rigide divisioni in generi, per aprire il vaso di pandora del caos e della promiscuità: il breakcore!
Questa idea del breakcore come inter-genere, o de-genere, viene più volte ripresa e sviluppata, facendo di questo libro probabilmente il più adatto per comprenderne approfonditamente le ragioni.
Nel libro viene tratteggiato in maniera umoristica il rapporto con il “clan” di provenienza, ovvero il clan dei gabber (con il quale condivide la passione per l’hard sound, ma che proprio non tollera la cassa in quattro quarti, giudicata simbolo di conformismo e alienazione).
Ciò che il fanatico di breakcore non tollera in fondo è la ballabilità della cassa; quando un genere musicale diviene troppo coinvolgente, e si appoggia su dei tropi che sono troppo accettati dalla massa, egli sente, adornianamente, un campanello d’allarme; pretende perciò che gli ascoltatori si contorcano nel tentativo di ballare ritmi sempre più improbabili, per scongiurare l’avanzata della mercificazione.
In fondo il breakcore cerca di mantenere vivo lo spirito rave delle origini, un tempo in cui, come scrive giustamente Simon Reynolds: “la musica techno era fatta da avanguardie popolari più che da una élite formalizzata, come è al giorno d’oggi”.
Infatti esistono tutte le coordinate del rave delle origini: predilezione per il campionamento selvaggio, sperimentalità, sense of humor.
Insomma, se siete dei fanatici di breakcore e sound estremi, o semplicemente dei curiosi che vogliono aggiungere un tassello letterario finora mancante nella conoscenza della sterminata diaspora rave, non vi resta che comprarlo.
Federico Chiari