Mika Vainio è uno di quegli artisti capaci di sorprenderti sempre.
Dopo aver chiuso con i Pan Sonic, ed essere stato internato più o meno forzatamente in una clinica per curare una devastante dipendenza dall’alcol (ricordiamo tutti quando nelle custodie degli strumenti nascondeva bottiglie di brandy, o quando durante un festival uscì sul palco nudo ed alterato con l’intenzione di distruggere il setup di Laurent Garnier), l’artista finlandese pareva aver esaurito la sua creatività ed anche dal vivo appariva quanto mai bolso (e per Dio quella roba con la chitarra trattata a la Fennesz era davvero insipida).
Kilo arriva alla fine di una lunga transizione ed è lo sfogo sonoro di tutti i suoi demoni: un album ruvido, abrasivo, rifugium peccatorum tra strutture amiche.
Com’è facile intuire dal titolo (e dai sinonimi ricorrenti nelle tracce) tutto ruota intorno al concetto di peso ed alle sensazioni ad esso legate.
Atmosfere lugubri levigate con frese di rumore bianco descrivono scenari post industriali fagocitati dal caos.
La ritmica, dove presente, in generale richiama le soluzioni già intraprese ai tempi dei Pan Sonic, come mitragliate furiose e beats granulosi spezzati a colpi di spranghe.
Non il disco ideale da ascoltare sotto l’ombrellone, quanto piuttosto un piacevole temporale estivo.
Federico Spadavecchia