La parola ne ferisce più della spada.
Lustmord approda su Blackest Ever Black, e per la prima volta si confronta con lo strumento della voce.
L’essere umano è usato a mo’ di drone quasi senza filtri, salvo in qualche momento fondersi con il ruggito delle macchine.
Al microfono troviamo Aina S. Olsen, Soriah, Jarboe (Swans), e Maynard James Keenan (Tool/Puscifer).
L’ambient oscura cui l’artista ci ha abituati, qui è un cielo plumbeo al quale l’ascoltatore rivolge lo sguardo richiamato dai canti dell’Apocalisse.
L’atmosfera è al tempo stesso serena e inquietante, rifacendosi ad un immaginario esoterico orientaleggiante.
Prosegue il tentativo, messo in atto con le ultime uscite, della label di Kieran Sande di uscire dall’orbita techno/noise/post punk per atterrare in desolate valli sonore.
Anche se i risultati ottenuti fino ad ora hanno meno forza dei precedenti non per questo sono meno suggestivi.
Federico Spadavecchia