Ho Nostalgia del Futuro

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Siamo ancora in grado di immaginare il futuro?
Domanda all’apparenza banale se pensiamo ai passi da gigante che la scienza compie ogni giorno in qualsiasi ambito, eppure siamo passati dal fantasticare  vacanze su Marte a sperare di vivere in un eterno presente anche se sempre più hi-tech.
Nella musica le cose non vanno molto diversamente, generi futuristi per natura come quelli elettronici hanno superato da un pezzo l’età adulta e adesso arrancano trovando gli unici slanci scavando nel proprio passato.
Sarà che oggi tutto viene misurato in termini di business, e lo spazio per la sperimentazione è diminuito drasticamente perché il gestore non può rischiare di buttare denaro dalla finestra.
Evvai allora di serate remember senza fine, portando in cartellone nomi passati dall’essere pionieri ribelli a compassati rappresentati dell’establishment, ma soprattutto, e peggio di ogni altra cosa, nuove leve di Dj’s la cui gioventù è garantita solo dalla carta d’identità.
La parola d’ordine è: omologazione.
Non credo sia il caso di soffermarsi su quanto sia deprimente un ragazzo di vent’anni che sostiene la necessità dei compromessi, mentre poggia la puntina sull’ennesimo disco fotocopia dell’ultima moda democristiana.
Il grande vantaggio dell’essere giovani è che puoi mandare affanculo tutto e tutti in nome delle tue idee.
Così senza la loro spinta propulsiva, acerba e naif sì ma tremendamente efficace (vi ricordate il primo Skream vero?), non rimane che guardarci alle spalle cercando ispirazione nei grandi maestri, sacrificando freschezza per la qualità.
L’attuale ondata industrial dance ne è la perfetta conferma basata su progetti di prima scelta, ma difficilmente inquadrabili come qualcosa di realmente nuovo.
Nomi quali Raime, Demdike Stare e Dalhous, pagano rispetto ad Yke Yard, Regis, Cut Hands che a loro volta vivono sotto il segno di Chris & Cosey, Test Dept e Clock DVA.
Non parliamo poi dell’house, dove a far la parte del leone già da qualche anno è il manierismo old school chicagoiano.
E’ difficile oggi avere vent’anni perché nonostante tutti i mezzi a disposizione e le molteplici possibilità, il controllo si è fatto più subdolo (ogni accenno di cultura alternativa è prontamente soffocato sul nascere) e come se non bastasse ci pensa Youtube a ricordarti di essere perennemente arrivato tardi.
Lo so che è paradossale parlare di queste cose in un Paese dove a quarant’anni sei ancora considerato un ragazzino immaturo, ed il potere resta saldo nelle mani di avidi ottuagenari, ma ora è venuto il momento di farsi sentire sul serio altrimenti andremo in contro a qualcosa di molto peggio della solita musica.

Federico  Spadavecchia

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