Che la progressive house godesse di ottima forma era notizia di pubblico dominio ormai già da qualche anno, ma lascia davvero a bocca aperta l’impatto che sta avendo sul grande pubblico.
I big della scena infatti sono tornati ad imporsi come alla fine degli anni ’90 con tour internazionali soprattutto in Sud America, gestendo le migliori situazioni in quei Luna Park che sono Miami ed Ibiza, e coccolando lo zoccolo duro dei fan nella grande madre Inghilterra.
Anche dal punto di vista discografico che le cose vanno a gonfie vele: la Renaissance, il cui destino sembrava segnato, è risorta e ha già all’attivo tre compilation di successo, tra le quali segnaliamo le Master Series di Hernan Cattaneo (reduce da una grandissima stagione 2012 come resident al Ministry Of Sound) e Nick Warren.
La Bedrock lo scorso anno ha superato le 100 uscite e non si contano i cd mix firmati dal boss John Digweed, inoltre ha messo sotto contratto i futuri big di domani Guy J, talento del proprio vivaio, e lo spagnolo Henry Saiz, il quale proprio in questi giorni debutta con il suo primo album (potrete vederlo live sabato 13 aprile a Torino per il party Secret Mood. al Boiler club). Altri nomi che stan crescendo sono Jimpster e Tim Green.
A detta dello stesso Digweed è difficile definire la progressive utilizzando i paramatri in voga nei ’90 per via del costante crossover tra generi, che di fatto ha annullato ogni barriera riportando tutto alle basi techno ed house.
Eppure le sue sette ore ai piatti, durante il Bedrock Easter Party all’Area, sono state da manuale: il groove vorticoso ha fatto spazio ad un beat pieno e rilassato, ma il basso è sempre oscuro e le melodie che affiorano tra le textures assicurano il viaggio.
L’andamento è quello della marea: prima colpisce duro e si allunga poi si ritrare quieta, quindi rincomincia. Estasi balearica.
Non si sfugge: la progressive è un’attitudine più che un’etichetta, perciò se volete cimentarvi con lei concentratevi esclusivamente sui suoni ed evitate di leggere i nomi in copertina.
La sorpresa della serata è stata l’entrata nel roster di Tom Middleton; l’ex Global Communication, prima legato alla Renaissance, ci fa trascorrere due ore di sorrisoni e mani al cielo.
La raccolta fondi attivata da Dave Seaman per la pubblicazione di una compilation ha avuto un eccezionale successo (superando abbondantemente l’obiettivo di 25 mila Sterline); peccato per la performance non entusiasmante al Ministry Of Sound del venerdì di Pasqua, che però ha il merito di chiarire cosa succede quando non c’è equilibrio tra ritmo e armonie: resta solo della banale tech house.
Per nostra fortuna c’era Jody Wisternoff, partner di Nick Warren nei Way Out West di cui rappresenta il lato più trancey, a risollevare la serata con un set dolce con molti cantati.
Israele è una seconda casa per la prog e l’idolo locale Moshic è tornato da poco con un lp in digitale, mentre Guy Gerber con il suo mix per il Fabric pur non essendo della famiglia riscuote un buon consenso tra gli appassionati.
C’è un Dj però che più di ogni altro ha saputo trasportare il proggy sound ad un livello superiore, stiamo parlando del primo Superstar Dj dell’era moderna, colui che è stato ribattezzato come The Son Of God: Sasha.
Nel 2012 l’ex resident dell’Hacienda apre una nuova label, la Last Night On Earth su cui sforna un paio di singoli, inaugura un ciclo di parties all’Ushuaia sull’Isla Blanca ed iniza a lavorare al terzo capitolo di Involver. Tuttavia ciò che conta è l’essere tornato al top della forma come Dj, ritrovando l’entusiasmo dei bei tempi!
L’occasione di vederlo all’opera ci viene data dalla festa per la presentazione di Involver al Ministry Of Sound, che nel frattempo ha acquistato la Global Underground con cui erano stati rilasciati gli episodi precedenti.
Le tre ore di show sono una riproposizione su larga scala del concetto di fondo del disco: musica elettronica di qualità per le masse.
Dopo aver polemizzato con Deadmau5 e bollato l’EDM come un mare di cazzate (92 minuti di applausi), il Dj gallese decostruisce il pop di Lana Del Rey, The XX, Little Dragon riconfezionandolo con linee di basso profonde e synth affilati.
Per sapere se l’esperimento è riuscito basta guardarsi intorno: nelle altre 3 sale del club non c’è nessuno mentre nella Box room si fatica a respirare, il pubblico, due generazioni di ballerini, è così euforico che non c’è bisogno di far funzionare monitor e laser.
Le mani in alto, le urla liberatorie, l’ultimo disco che sta pompando, indicano il momento in cui un Dj che vuol fare la star si può lasciare andare a pose con fuochi artificali e champagne, ma non Sasha che, ben conscio di essere il numero uno, stacca semplicemente le cuffie e va via senza nemmeno voltarsi a salutare gli amici in consolle.
Federico Spadavecchia