Simon Valky è appassionato collezionista di musica “non convenzionale”, come ama definirla. Vive a Torino ma appena può scappa in Germania per frequentare concerti e festival. Dieci anni fa ha creato il portale Filth Forge, punto di riferimento per la scena industrial, sperimentale e rumorista: http://www.filthforge.org/
Il Belgio è la patria, tra le altre cose, dell’Electronic Body Music e delle sue filiazioni spurie, come la New Beat, che rivoluzionarono completamente il panorama della musica elettronica nel corso degli anni ’80. Veri e propri apripista come i Front 242 o i tedeschi DAF assorbirono la lezione dell’industrial britannico di Throbbing Gristle e Cabaret Voltaire, sposandola però ad un approccio più melodico ed accattivante, unendo ritmiche quasi marziali a pulsanti giri di sequencer e ritornelli brevi ed incisivi, in tedesco o inglese. Non esiste artista elettronico nel decennio successivo che abbia disconosciuto l’influenza di questi pionieri (si veda, a tal proposito, il significativo album dei Front 242 “Mut@ge.Mix@ge”, compilation dei loro principali classici remixati da nomi come Prodigy, Orb, Underworld e Rico Conning).
L’altro nome fondamentale dell’EBM belga è quello di The Klinik, duo formato nel 1984 da Dirk Ivens e Marc Verhaegen (inizialmente un quartetto che comprendeva anche Eric Van Wonterghem, futuro Insekt e Monolith, e Sandy Nijs, in procinto di fondare gli Hybryds – davvero un bel calderone di personalità, non c’è che dire). Se i Front 242, con la loro estetica militare e la presenza scenica muscolare, hanno incarnato l’aspetto eroico e guerriero dell’elettronica degli ’80, The Klinik ne sono stati l’altra faccia, oscura, inquietante e sofferente, dove il corpo, quello del carismatico frontman Dirk Ivens, è trafitto dal dolore, si contorce in preda ai fantasmi della propria mente, soffocato dalla paranoia, dal terrore e dallo smarrimento.
La loro musica, benché ritmica e ballabile, è tutt’altro che rassicurante, si nutre proprio di sensazioni di disagio e malessere, comunicate con rara efficacia dalle pulsazioni ossessive dei sequencer, dai battiti martellanti delle drum machines e dalla voce sussurrata e spettrale del cantante, cui spesso si aggiunge una tromba caricata di effetti al punto da diventare irriconoscibile (il clarinetto filtrato che utilizzava Richard Kirk nei primi album dei Cabaret Voltaire ha fatto scuola). Le esibizioni live non sono da meno, con il palco occupato da due figure che indossano trench di pelle nera e con la faccia completamente avvolta da bende, come se fossero stati sfigurati da quei loro stessi suoni taglienti come lame di rasoio.
The Klinik esordiscono nel 1985 con Sabotage, album epocale autoprodotto per la piccola label indipendente 3Rio Records contenente alcuni dei loro classici più significativi, da Hours + Hours a Braindmage, passando per Sick In Your Mind, forse il loro pezzo più famoso, ripreso e rivisitato nei decenni successivi da moltissimi altri gruppi di area EBM.
Non sono però soltanto le canzoni malate e violentissime a far brillare di luce oscura il fulminante esordio di questi belgi, ma anche brani strumentali come Sabotage e Time Watch, nei quali i samples vengono usati in maniera superba per evocare gli orrori che li ossessionano: il ticchettio di un orologio, il rumore del vento, voci straziate che urlano in lontananza, una donna che parla delle torture subite, il pilota dell’Enola Gay che descrive le sensazioni provate mentre riceveva l’ordine di sganciare la prima bomba atomica sul Giappone…
Sul suo Dizionario dell’Horror Rock (Ed. SugarCo), Stefano Marzorati scrisse che «L’album evoca con successo i sentimenti di disgusto normalmente associati a questi argomenti e tuttavia si nutre di queste atrocità. La musica riflette la materia trattata con un’estensione tale che non può essere ritrovata all’interno di altri linguaggi musicali. E proprio l’uso di brandelli di reale espressi dalle diverse voci riportate rafforza il senso degli orrori descritti».
Sarà questa l’attitudine che The Klinik manterranno durante tutta la loro carriera, facendo qualche concessione leggermente più easy ai dancefloor con Go Back (dal 12” Pain And Pleasure, 1986) e con l’inno Moving Hands (dal 12” Fever, 1988), mentre consegneranno alle stampe altri capolavori di inquietudine elettronica quali Plague (1987), Face To Face (1988 – che include Lies, otto soffocanti minuti di pura ansia elettronica), ed il conclusivo Time (1991), poco riuscito in quanto assemblato in fretta quando il duo si era, di fatto, già sciolto, ma che ci regala come ultima gemma la folle sinfonia di percussioni metalliche Obsession, in puro stile Test Dept.
Dirk Ivens prosegue con il suo progetto solista Dive, mentre Marc Verhaegen, oltre ad una marea di incarnazioni parallele più o meno riuscite (Noise Unit, X-10, Para, e molte altre), continua con il nome abbreviato in Klinik, percorrendo la via di una techno gelida e minimale, ripulita dalle istanze sperimentali del passato.
Nessuno avrebbe scommesso su di una reunion della formazione originale, ed invece nel 2004 il duo riappare sul palco del BIM Fest di Anversa per un concerto che doveva rimanere un episodio isolato. Il successo e le richieste pressanti da parte di fans ed organizzatori hanno fatto sì che The Klinik rinascesse prima come presenza fissa nei festival europei e, successivamente, come progetto in studio: il nuovo album Eat Your Heat Out, primo con la formazione originale dal 1991, sarà in vendita proprio questo mese. Alla line up s’è aggiunto nel frattempo Peter Mastbooms, già attivo come DJ Borg e con i Vomito Negro.
Non resta quindi che attendere con impazienza di poter ascoltare le nuove tracce, avendone già gustate un paio durante le recenti apparizioni live di The Klinik al Wave Gotik Treffen di Lipsia e in una splendida serata alla Kantine di Augsburg che prevedeva anche P.A.L., Vomito Negro e Monolith in scaletta.
Simon Valky