Tutti sostengono di amare la bella musica, ma ogni volta che si muove una critica contro lo status Pop si viene accusati di estremismo e di scarsa apertura mentale.
Uwe Schmidt però non è uno che si nasconde dietro a un dito, anzi attacca dritto alla giugolare, perchè lui la Storia l’ha fatta per davvero portando il concetto di minimalismo ad un livello superiore, interrogandosi costantemente sugli obblighi dell’essere artista.
Nato a Francoforte alla fine degli anni ’60, è uno dei pionieri della moderna scena elettronica tedesca conquistando la notorietà nei primi ’90 in particolare con il progetto Atom Heart e la collaborazione con Pete Namlook e quindi con la Raster Noton.
All’alba del nuovo millennio Uwe sorprende tutti presentando il suo alias più bizzarro: Señor Coconut. Annoiato dall’andamento della musica elettronica rivolge il suo sguardo ai ritmi sud americani e pubblica un album di cover dei Kraftwerk in chiave latina.
In questi giorni esce HD, l’ultima fatica a nome Atom Tm, una sintesi della sua idea Pop disciolta nel laser, così ci siamo messi in contatto con lui:
Parliamo del tuo nuovo album: come è nato “HD”? Quale il concept dietro questa tua ultima produzione?
“HD” doveva chiamarsi “Hard Disc Rock” ed è un progetto che iniziai a sviluppare nel 2005 nonostante sia rimasto, per diverse ragioni, poi incompiuto. Di questo lavoro, 3 tracce sono poi entrate nell’album “HD” mentre le altre sono produzioni del 2012. Non saprei dire se segua effettivamente un “concept” ma certamente ruota intorno ad un’estetica compiuta e ad una serie di spunti musicali coerenti. Ad esempio trovi ben rappresentato il soggetto “pop” ma all’interno della cornice “musica elettronica” nel suo significato di “musica originale prodotta da impulsi elettrici”, in pratica l’idea all’origine di “HD”. Rispetto agli anni ’90, ho ricominciato, a partire dalla metà del decennio passato, a concentrarmi sul tema del suono elettronico puro: era arrivato il momento di tornare sul terreno del “purismo”, abbandonando l’eclettismo che aveva invece caratterizzato i miei lavori fino al 2005.
Nel corso di un’intervista rilasciata dieci anni fà, ai tempi del lancio di Senor Coconut, avevi criticato il percorso “prevedibile” imboccato dal minimalismo ritenendolo un approccio superato preferendogli la musica sudamericana. Poco tempo dopo la minimal divenne il nuovo pop soprattutto quella con forti influenze latine (penso ai cileni Ricardo Villalobos e Luciano). Non lo trovi ironico? Cosa ne pensi di questa involuzione?
Se proprio vuoi sapere come la penso: se la musica elettronica prodotta tra il 2005 ed il 2010 fosse cancellata di colpo, ora, non mi strapperei i capelli di certo. Di quella definita “musica elettronica” prodotta in questi anni, ben poca è, a mio avviso, essenziale. In questi anni, la musica elettronica è stata pitturata di rosa, distruggendo la natura dello stesso suono sintetico. E il “minimalismo” è stato secondo me il colpo di grazia al genere techno (“involuzione” è un termine eufemistico!). Anzi, direi che è sorprendente come sonorità tanto banali e con estetica cosi poco “elettronica” abbiano incarnato a lungo l’immagine stessa della scena. Per questa ragione, in quegli anni, ho ignorato l’evolversi di ciò veniva definito “musica elettronica”. Detto questo, Sr. Coconut ha rappresentato un pò un modo per far pace con me stesso. Ora il mio interesse per l’elettronica è tornato vivo, quindi direi “l’elettronica è morta, lunga vita all’elettronica!”.
Tra le tue collaborazioni, c’è stata quella con Raster Noton, un’etichetta che ha esplorato diversi aspetti del minimalismo; quest’ultimo stile ha secondo te ancora frecce al suo arco?
Per cominciare dovremmo fare un pò di chiarezza con i concetti: il termine “minimale” è stato usato nel decennio passato in riferimento ad un preciso movimento, quindi penso che allo stato attuale sia impossibile impiegarlo in altri contesti, magari più apppropriati. “Minimale” è quindi un’idea presa in ostaggio da uno stile che in realtà di minimale ha ben poco. La Raster Noton impiega certamente un’estetica “essenziale”, la cui definizione precisa è di scarsa rilevanza ma certamente nulla ha a che vedere con quel sound popolare in scene come Berlino o Ibiza, dove in realtà il “minimalismo” descritto sopra trova ben poco spazio. Cos’ha in comune una folla festosa che ingurgita anestetici per cavalli, con atmosfere serrate, colme di figure vestite di nero che ballano al ritmo di un ruvido suono elettronico? Insomma “quel” minimalismo, per rispondere alla domanda è roba del passato, l’”elettronica che dà la caccia all’essenziale”, ha invece un radioso futuro.
Cosa ne pensi delle produzioni elettroniche odierne? Maturano nuove idee o si vive ancorati al passato?
Non so se parliamo della stessa elettronica; concordo con quanto dicevi a proposito della “minimale che diventata pop”. La musica prodotta oggi si ispira ad un trend ed il producer segue fedelmente la struttura che tira, in maniera superficiale possiamo dire mentre la vera essenza della ricerca nella composizione elettronica diventa secondaria. Quindi io escluderei a priori dal novero dell’elettronica quei sotto generi che non esplorano affatto il mondo dei suoni artificiali.
Oggi i concetti di “storia” e “successione di eventi” sono svaniti per lasciare posto a quello di “tutto in ogni momenti”. In pratica nulla, dato che la sequenza “causa/effetto” viene meno e per questa ragione ogni cosa “vecchia” può essere vista contemporaneamente come “nuova”. Le generazioni più giovani hanno scarsa percezione del fattore “tempo” e per loro i concetti di “vecchio” e “nuovo” sono molto sfumati. Come aveva predetto il filosofo Jean Baudrillard alla fine degli anni ’80: “dopo il 2000, la storia cesserà di esistere”. Molto interessante, ho pensato spesso. Di fatto sta accadendo. E infondo sul piano estetico non è poi cosi male: in pratica le possibilità di ricominciare da zero molte cose. A modo suo è un’epoca di svolta che porta “nulla” e “tutto” allo stesso tempo.
Cosa dovrebbe fare un artista per essere all’avanguardia?
Rimanere sè stesso. Difficile, certamente, dato che siamo, come ogni essere umano, portatori di informazioni esterne a noi stessi. Quando usiamo il “noi”, ci riferiamo ad una sfera attribuitaci da altri; siamo insomma la costruzione sociale delle nostre relazioni familiari e sociali. Quindi andiamo incontro ad un processo continuo di riprogrammazione. Nella mia vita, ho sempre cercato di spogliarmi di queste strutture e interrogarle, per cercare di trovare il vero “io”. Di fatto non mi importa molto di ciò che “succede”; non seguo le notizie, non guardo la televisione, non ascolto la radio. Essere davvero all’avanguardia, per me, vuol dire costruirsi un universo personale e diventare davvero alieni. Questa è l’essenza dell’essere liberi, nel senso di essere totalmente autonomi da strutture sociali esterne creandosi la propria. Seguendo viceversa la realtà precostruita, un individuo si limita a ricevere informazioni già assimilate da altri. Un artista che cerca di essere all’avanguardia semplicemente scrutando il lavoro degli altri, non fa che immergersi in un passato non suo. E infatti se inizi a seguire un trend, non stai facendo altro che assorbire qualcosa già consumata da altri e quindi vecchia.
Cosa vuol dire per te “creatività” e cosa ti dà emozioni?
Un celebre detto spagnolo dice che “l’ispirazione arriva lavorando”. Ecco descritta la mia idea di creatività: un vortice costante di intuizioni, reale ed i mille interessi che ho. E poi c’è tutto quell’input esterno fuori controllo che noi tutti riceviamo costantemente e che non posso non considerare come forma di ispirazione. Per riprendere la metafora della “digestione” a proposito dell’assorbimento di informazioni, la creatività è una variante del processo naturale di “ingestione, assorbimento ed espulsione”.
Si tratta di un processo circolare, qualcosa che faccio a tempo pieno, senza pause o interruzioni. L’intero processo è secondo me, particolarmente appassionante. Il picco è quando idee e spunti si fondono e cominciano ad avere un senso. Questi momenti sono magici e carichi di significato trascendente.
Pochi mesi fa, Pete Namlook con il quale hai collaborato a lungo è venuto a mancare. Un ricordo di lui che ti piacerebbe condividere con noi?
Penso che la musica che abbiamo prodotto insieme sia in assoluto il ricordo più intenso!
Hai annunciato che Rather Interesting Records non continuerà dopo la morte di Pete. Stai pensando ad un nuovo progetto?
Rather Interesting non è un’etichetta nel senso tradizionale del termine. Avevo fondato AAA che sta per “AtomTM-Audio_Archive“, che è la piattaforma per i miei lavori, tanto quelli di repertorio quanto le future produzioni. Per il momento non andrà oltre la piattaforma digitale ma non è escluso che in futuro si allarghi a supporti analogici.
E’ previsto un ritorno per Senior Coconut?
Assolutamente si.
Ok e le mosse per il futuro?
Sto lavorando ad un paio di nuovi live set. Nello specifico ad “HD” ma in parallelo ci sarà anche un set “solo audio” più adatto al concetto di club, denominato “ground loop”. Lavorare ad entrambi i progetti richiede molto tempo dato che “HD” richiede la preparazione di materiale audio e video. Ad esempio, ora come ora, sto promuovendo l’album. Da maggio/giugno in poi il nuovo set sarà pronto ed io mi sto occupando del tour. Non c’è bisogno di aggiungere che molti progetti sono sul tavolo e diversi vedranno, probabilmente la luce, entro la fine dell’anno. Mentre mi occupo di tutto ciò, al contempo, atom-tm.com continua a crescere.
Federico Spadavecchia