Maurizio Dami è un pilastro del suono elettronico made in Italy fin dai primissimi anni ’80. Diventato un’icona della musica dance con l’alias di Alexander Robotnick nel 1983 pubblica la seminale Problemes D’Amour, l’anello di collgamento tra la disco meccanica di Giorgio Morodere la nascente Techno di Detroit.
Pur mantenendo la base nella sua Firenze l’attenzione ricevuta dall’estero è impressionante. Se in Italia è relegato alla nicchia dei cultori fuori dai confini nazionali è una vera star. Dj internazionali come ad esempio Hell, The Hacker o Legowelt gli devono la carriera.
L’interesse di Dami verso diversi aspetti e generi musicali lo conduce a scrivere colonne sonore e ad intraprendere viaggi e collaborazioni alla scoperta di nuove influenze, esplorando le esperienze africane, indiane e kurde.
Nel febbraio 2009 avviene l’incontro con Lapo Lombardi aka Ludus Pinsky: anch’egli Fiorentino è un nome di riferimento nella scena dub reggae, ma soprattutto è un grandissimo appassionato di sintetizzatori e di circuit bending.
L’idea iniziale era quella di sviluppare soltanto un progetto video, ma evidentemente le cose si sono fatte interessanti e così i due hanno lavorato ad una performance live e ad un album uscito su This Is Music ltd.
April è il frutto di una seconda jam nel nuovo studio di Robotnick risalente per l’appunto alla scorsa primavera.
Il concept del disco è l’improvvisazione più libera: ogni traccia infatti è stata composta a partire da appena un paio di sequenze fisse mentre il resto viene lasciato all’ispirazione del momento come succede nel jazz.
Tastiere, drum machines e modulari vengono messi a dura prova ed il risultato è straordinariamente fresco e visionario.
Le otto canzoni luccicano di futuro e, grazie ad una struttura tradizionale in 4/4, sono godibili sia nell’ascolto che sulla pista.
In un periodo in cui tutti si riempiono la bocca con parole come underground, old school, analog fino a farle suonare vuote, The Analog Session è la risposta a chi domanda sostanza e da una bella definizione di Bandiera.
Federico Spadavecchia