Il neoquestore di Milano, Luigi Savina, in un’intervista apparsa oggi sul sito Quotidiano.net non ha dubbi: «Dietro i rave party non ci sono giovani stupidi, ma i colossali interessi di guppi criminali che sanno di poter generare enormi business spacciando alcol e droghe in grandi quantità» e rincara la dose: «Difficile definire la matrice della criminalità organizzata che sta dietro i rave party[…]se non si fa pagare un biglietto d’ingresso, non lo si fa per il piacere di socializzare. E’ evidente che il guadagno deriva soprattutto dalla vendita illegale di alcol».
A due giorni dalla disastrosa operazione di ordine pubblico messa in atto per fermare il rave di Cusago dello scorso weekend (operazione conclusa con un bilancio da disordini di piazza: una ragazza in coma e 50 persone ferite, le attrezzature dei ravers danneggiate dagli stessi operatori di pubblica sicurezza e 4 processi per direttissima) il questore di Milano, nella veste improvvisata di antropologo ed esperto di subculture urbane, tenta maldestramente di mettere una toppa su una vicenda che getta un’ombra, l’ennesima, sull’operato delle forze dell’ordine italiane.
La tesi di Savina, si muove sul binario della tradizionale associazione tra comportamenti illeciti e comportamenti criminali, con la categoria “bene e legale” da una parte opposta a “male ed illegale” dall’altra: chi compie qualcosa di non lecito sarà allora per forza un criminale e chi organizza un party gratuito lo farà certamente con lo scopo di corrompere qualcuno, vendere qualcosa o ricettare qualcos’altro.
Se non fosse per la superficialità di argomenti che si credevano consegnati alla pubblicistica anti-antagonista degli anni ’70 o alla ridicola comunicazione istituzionale antidroga degli anni ’90, dove problematizzazione e concetti radicati e condivisi – come culture antagoniste e TAZ, per esempio – spariscono per far posto a sciatta propaganda, le intenzioni del questore potrebbero apparire persino nobili: ci preoccupiamo dei giovani, ci preoccupiamo non si facciano male. Però il bilancio parla chiaro e l’assenza di comprovate ragioni di necessità ed urgenza nell’evacuare il capannone di Cusago non riescono a spiegare in alcun modo il paradosso del ricorso all’uso della forza per preservare l’incolumità dei partecipanti : 50 feriti su 1000 partecipanti sono un danno collaterale inevitabile?
La legge prima di tutto, si potrebbe argomentare: chi organizza rave deve essere al corrente dei rischi che corre sul piano amministrativo e penale ma chi ha il compito di far rispettare la legge ha anche gli obblighi di mantenere una ragionevole proporzionalità negli interventi, che in questo caso, dubitiamo fortemente sia stata mantenuta.
Molti giovani affermano di essere stati picchiati, la tesi della ragazza che scivola, batte la testa e va in coma, ricorda tristemente le tante “fatalità” di cui è piena la cronaca nera legata a presunti (o meno) abusi delle forze dell’ordine. Certo è, che se il ripristino della legalità passa per “danni collaterali” di queste dimensioni, il buon senso suggerirebbe di scegliere il male minore.
E in questo caso il male minore sarebbe stato far terminare il party e solo in seguito, preoccuparsi per le conseguenze del caso; infondo un rave non è uno stadio e l’onirico e disordinato edonismo di una festa senza fine non ha nulla a che spartire con curve violente, agguati tra hooligans ed i pesanti interessi economici che ruotano intorno al calcio: che addestrati professionisti, gli agenti ed i dirigenti di polizia, non sappiano ammettere una tale banalità è sorprendente quanto lo è il neo-complottismo del questore di Milano che scomoda non ben identificate- organizzazioni criminali che si muoverebbero dietro il “racket” dei rave.
Il questore non fa nomi ma d’altronde non risultano informative o indagini della magistratura che si siano occupate di associazione a delinquere specializzate in party illegali – non fosse altro perchè quella scena in Italia ed in Europa, è oggi ridotta al lumicino – e cosi rimane un solo dato certo: una festa illegale, sicuramente, ma pacifica (non risultano confiscate armi) è finita in un bagno di sangue
Massimiliano Sfregola